di Marco Cavinato
24 maggio – Caracol de La Realidad, Chiapas, Messico. Il 2 maggio scorso un’infame aggressione nel territorio autonomo del caracol de La Realidad ha scosso l’universo zapatista: attraverso l’ennesima e premeditata azione paramilitare i membri della CIOAC-Histórica, un’organizzazione della zona da anni al soldo dei partiti, hanno distrutto la scuola e la clinica autonoma per poi attaccare uomini disarmati, ferendone quindici. Il maestro dell’Escuelita zapatista, José Solís López, “Galeano”, è stato circondato da una ventina di uomini armati di bastoni, machete e fucili. Galeano ha invitato i paramilitari a confrontarsi senza armi, disarmandoli uno ad uno finché non gli hanno sparato un proiettile in una gamba. A quel punto hanno iniziato a colpirlo con bastoni e machete, per poi piantargli un’altra pallottola nel petto che l’ha reso moribondo. L’hanno finito sparandogli alla testa.
E’ stato il primo attacco a uno dei cinque caracoles, i centri organizzativi che dal 2003 gestiscono tutte le questioni logistiche-organizzative delle comunità attraverso le proprie giunte del buen gobierno che seguono il principio di “comandare obbedendo”, cioè rappresentare e non soppiantare. Non rappresenta invece una novità l’attacco paramilitare come strategia controinsurrezionale: come sempre in questi casi i media ufficiali sul libro paga del governo hanno dipinto l’azione come uno scontro a fuoco, provocato da conflitti interni alla comunità. I militari dell’esercito non sono coinvolti direttamente e quindi nessuno tra i grandi mezzi d’informazione parla di premeditazione o di responsabilità imputabili a governi e partiti: la storia si ripete, e per chi ha seguito il modus operandi del governo messicano in Chiapas nel combattere gli zapatisti negli ultimi anni non c’è niente di nuovo.
In un comunicato del 13 maggio il Subcomandante Marcos ha invitato chiunque volesse rendere omaggio al compañero Galeano a raggiungere il caracol de La Realidad, nel Municipio de Las Margaritas, per un incontro nella giornata di sabato 24 maggio. Ha rivolto un invito speciale a partecipare ai “media liberi, alternativi, autonomi o come si dice”, quindi “non venduti”, e solo a questi. La stampa ufficiale non era benvenuta. E’ così che nei pressi della città chiapaneca di San Cristobal de Las Casas si sono concentrati i mezzi di trasporto della gran carovana, di circa mille persone, che è partita dalla stessa San Cristobal. Altri mezzi arrivavano da più lontano, da Città del Messico e Oaxaca. I problemi organizzativi di una carovana diretta in territorio zapatista sono sempre tanti. Man mano che ci si addentra nella selva, il cammino si fa sempre più ostile e impraticabile per gli autobus che vi s’inerpicano. Due vecchi pullman arrivati dalla capitale si bloccano, esausti, all’altezza di Margaritas e rallentano l’intera carovana. Il nostro gruppo parte da San Cristobal alle sette del mattino di venerdì 23 maggio, ma raggiunge La Realidad solo alle otto del mattino del giorno dopo, nonostante normalmente il percorso richieda non più di sette ore.
A La Realidad sono presenti compañeros e compañeras, accorsi da tutti i caracoles. Sono più di 3000 persone in totale, che si aggiungono alle mille persone della carovana. A circondare il campo da basket, punto di ritrovo di fronte al palco, ci sono i militanti e i membri dell’EZLN, disposti in formazione militare, col volto e la testa coperti da passamontagna, berretto verde e paliacate, cioè il tipico fazzoletto rosso. L’esercito insurgente non lascia sole le proprie bases de apoyo. Hanno l’occhio destro coperto da una benda, per guardare il mondo da sinistra. Verso mezzogiorno appare il Subcomandante Insurgente Marcos con la Comandancia General dell’EZLN. Arrivano a cavallo e dopo il saluto militare lasciano spazio alla parola. Legge un comunicato il Subcomandante Moisés, uno dei primi indigeni di etnia tzeltal formato completamente dall’EZLN negli anni ’90 e suo portavoce dal 2013: “Non vi offriamo molte comodità, ma la certezza di essere forti e ribelli. Benvenuti a questa terra umile e ribelle, benvenuti a La Realidad”.
Le sue parole da subito ribadiscono la linea dell’EZLN, coerente nel tempo in situazioni di questo tipo: “Cerchiamo giustizia, non vendetta, chiediamo a tutti di non provocare e di non cercare la giustizia per mano propria, di usare la rabbia contro il sistema e non contro questi poveri paramilitari comprati dal malgoverno, che non hanno il cervello per pensare alla vita dei propri figli”. Seguono le accuse contro il (des)gobierno di corrotti e assassini, che continua a creare gruppi paramilitari, comprando la gente per far ammazzare tra loro i contadini, “per farci uccidere tra fratelli”. Il governatore dello stato del Chiapas, Manuel Velasco Coello, viene definito come un capo paramilitare al soldo del supremo leader paramilitare Enrique Peña Nieto, attuale presidente della repubblica messicana. Il presidente viene soprannominato, come di consueto, “el vendepatria”, un uomo con le mani macchiate di sangue, succube dei suoi padroni che sono le multinazionali.
Secondo le regole zapatiste gli appartenenti alla comandancia dell’EZLN possono entrare nelle comunità solo se queste lo richiedono e per questo si trovano a La Realidad, adesso, con il compito di indagare sull’omicidio “dell’amato e indimenticabile maestro Galeano”. La rabbia di migliaia di indigeni, afferma Moisés quasi gridando, non è per gli assassini stupidi e ignoranti ma per il malgoverno e soprattutto per il capitalismo a cui è asservito. Il Subcomandante elenca i nomi dei responsabili a livello politico e dei paramilitari che hanno eseguito il codardo attacco. In passato un ex governatore già aveva confessato di aver fornito soldi e armi agli stessi paramilitari, “gente manipolata e venduta al malgobierno che vuole che ci ammazziamo tra indigeni e che perdiamo la testa diventando pazzi come sono loro. Stanno facendo il lavoro di Peña Nieto e del demonio del neoliberismo. Chiediamo a questa gente, cosa insegnano ai loro figli? Ad ammazzare la propria gente in cambio di denaro? La nostra vendetta va oltre questa gente, è contro il capitalismo”.
Ancora una volta la risposta zapatista alla violenza del governo è estremamente intelligente. La rabbia e il dolore per la morte di un compagno non generano altrettanta violenza cieca. Invece, si chiarisce ancora una volta che gli indigeni del Sud-est messicano hanno ben chiaro che la strategia del governo è fatta di provocazioni e bassezze. Soprattutto hanno ben chiaro chi è il vero nemico, chi sono i veri nemici. Nella notte il Subcomandante Insurgente Marcos annuncia l’imminente scomparsa della sua figura, che definisce “un ologramma”. Ha catturato l’attenzione di tutto il mondo che non sapeva guardare oltre alla figura di un leader meticcio, quindi non indigeno. Di fatto è passato dall’essere il portavoce dell’EZLN a una vera e propria arma di distrazione di massa. La lettura completa del suo discorso palesa l’essenza del suo personaggio, partendo dalla sua creazione definita “una completa manovra di distrazione, un trucco di magia terribile e meravigliosa, una giocata maligna del cuore indigeno”. Un personaggio creato ad hoc, quindi, che ricorda esso stesso a quelli che hanno amato e odiato il Sub Marcos che “hanno amato e odiato un ologramma”.
“Il loro amore e il loro odio, dunque, è stato inutile, sterile, vuoto”, spiega. Al suo lungo discorso, intitolato “tra la luce e l’ombra”, non c’è molto da aggiungere. E’ importante sottolineare un passaggio che testimonia la coerenza del movimento negli anni. Gli zapatisti hanno preferito la vita alla morte: al posto di ingrossare le fila dell’esercito, comprare armamenti e “rinforzare la macchina da guerra”, hanno costruito scuole e ospedali autonomi. “Perché anche se non sembra, ci vuole più coraggio a vivere che a morire”. Questa è ed è stata la forza dei ribelli del colore della terra, di tutti gli uomini e le donne che in questi anni, disarmati, hanno affrontato militari, carri armati, provocazioni e paramilitari. Se è vero che la base, in origine, è stata l’insurrezione armata, di nuovo il Subcomandante la descrive come una necessità, perché senza questa conquista l’autonomia non sarebbe stata una costruzione possibile. Il testo del discorso non tralascia un elenco di compagni scomparsi, uccisi, ma vivi nella memoria, che hanno mantenuto viva la lotta in tutto il mondo: Carlo Giuliani è tra questi.
Al momento dell’ultimo saluto alla tomba del maestro Galeano il serpentone di donne, uomini, bambini e bambine con il passamontagna, mescolati con tutti gli altri, venuti a dire Adiós a un uomo che mai s’è venduto e che ha lottato fino all’ultimo respiro, è impressionante per la sua lunghezza. Per più di un’ora la famiglia riceve abbracci, conforto, sussurri e solidarietà, incessantemente, da tutto il mondo a La Realidad. E’ impressionante anche la forza e la coscienza dei compagni e dei familiari di Galeano. “Siamo distrutti ma siamo forti: questa è la lotta”, risponde la vedova del maestro a un visitatore che le dice di farsi forza.
Il dolore e la rabbia, quindi, ma anche forza, lucidità, intelligenza. Idee chiare e determinazione. Ciò che ha permesso agli zapatisti di resistere vent’anni, creando autonomia e, all’interno di questa costruzione, sviluppare educazione, salute, dignità, giustizia, coltivando la propria terra e la propria libertà. Una lotta che non tutti possono o vogliono comprendere, un modello di organizzazione distante da tutti gli schemi rivoluzionari classici. Un modello che non si è logorato e che continua a essere esempio e fonte d’ispirazione per tante lotte nel mondo. Le reti continuano a tessersi, rivivono. Dopo vent’anni, ancora una volta, los compañeros y las compañeras ricordano a chi ha orecchie per ascoltare che non cadranno nella trappola della guerra sporca, che non faranno il gioco di chi cerca da sempre il pretesto per trasformarli in ciò che non sono: “Non siamo assassini come loro, siamo gente che lotta”, ribadisce Moisés. Non vendetta ma giustizia.
Le ultime parole del Subcomandante Insurgente Marcos sono “salud y hasta nunca… o hasta siempre, chi ha capito saprà che questo non importa, che non ha mai importato”. Poco dopo la stessa voce saluta: “Buongiorno, compañeras e compañeros. Il mio nome è Galeano, Subcomandante Insurgente Galeano. Qualcun altro si chiama Galeano?”. “Io sono Galeano”, urlano in molti. Il maestro e compañero Galeano rinasce nella voce dei presenti. E così si chiude il comunicato, firmato Subcomandante Insurgente Galeano. Marcos muore, Galeano vive. Il Sub resterà nell’EZLN, ma il suo personaggio pubblico scompare. Resta dunque il collettivo, e Moisés come portavoce dell’EZ.
Da questo spazio recondito della selva Lacandona, dal centro de La Realidad, migliaia di persone hanno reso omaggio al maestro Solís perché “se toccano uno, toccano tutti noi”, dicono da queste parti. Ancora una volta gli aggressori delle basi zapatiste hanno versato del sangue e ancora una volta il ricordo di un uomo caduto en la lucha s’è impresso nella memoria di chi ha conosciuto e ascoltato la sua storia. Ma l’EZ, le sue basi e le comunità si rialzano, annunciano la ripresa delle attività delle Escuelitas, la prossima ricostruzione delle strutture distrutte dall’attacco del 2 maggio, per cui chiedono solidarietà, e infine la fissazione di un nuovo incontro tra i popoli indigeni del Messico e del mondo. E dalle montagne del sudest messicano il grido riecheggia in tutti gli angoli ribelli del mondo:¡Galeano vive!
Comunicato “Entre la luz y la sombra”: ascoltalo qui in spagnolo o leggilo in italiano