di Danilo Arona
(Prefazione al libro di Mauro D’Angelo La Dea Nera, Atmosfera Edizioni, 2013)
Come attesta l’amico Mauro D’Angelo in un passo di questo suo prezioso manuale, sin dagli albori l’umanità intera ha registrato in varie e disparate forme una costante influenza occulta e subliminale da parte della Dea Nera Lilitu e del suo antitetico sposo Pazuzu. Trattasi, nel caso di Lei, di forme e figure (Imago) che risultano da sempre essere l’antitesi, cromatica e vibrazionale, delle accomodanti – e secondarie – funzioni femminili che troppe società, a Occidente quanto a Oriente, relegano in secondo piano a incarnare cliché di comodo in cui la donna risulta depauperata di qualsiasi effettivo potere decisionale.
Citando ancora Mauro, colpisce un’analogia quasi devastante: il crescente fenomeno che passa in cronaca con il termine di “femminicidio” potrebbe interpretarsi nel profondo come un attacco maschile “di massa” all’imago subliminale di Lilitu, avvertita come pericolo a causa del suo messaggio carnale e liberatorio. Torna alla mente un fondamentale studio del 1982 redatto dall’analista junghiano americano Bradley A. Te Paske, Il rito dello stupro (Red Edizioni, 1987), nel quale l’odioso e aberrante reato viene sostanzialmente ridefinito come attacco all’Archetipo, teso a distruggere l’eterna e totalizzante immagine del mistero femmineo.
Però l’aspetto, quasi par paradosso più interessante,del rapporto tra l’umanità e le proprie “connessioni” con Lilitu e Pazuzu (archetipi sessualmente differenziati di invisibili deità viventi in dimensioni che solo in tempi recenti la fisica quantistica ha preso ad analizzare) è quello che D’Angelo prende in considerazione nella parte intitolata “L’Immagine Subliminale”. E in un passo, che consideriamo allo stesso tempo quanto mai significativo e un po’ “nostro”, l’autore sottolinea che, nel corso dei tempo, molti “abitatori nei pressi della Soglia” hanno tentato di trasmutare in forma energie e visioni altrimenti non diversamente percepibili. Una intuizione folgorante che Mauro ben sintetizza nelle seguenti frasi che riporto nella loro imprescindibile interezza:
«Probabilmente, chi ci ha preceduto, ha volutamente tentato di sintetizzare una possibilità in questo senso, e cioè, quella di dare una forma visibile a “cose” che risultavano avvertibili solo attraverso stati di particolare alterazione della coscienza, ma che in qualche modo sfuggivano dalla logica ordinaria. Onore quindi a tutti coloro che nel tempo, tra luci e ombre, hanno contribuito a lasciare tracce organizzate delle proprie “Visioni” attraverso la loro Arte e la loro Scienza, perché questo ha permesso, alle generazioni che si sono avvicendate nei secoli successivi, di poter sperimentare e in qualche caso, aggiungere o perfezionare elementi di interesse al patrimonio Magico/Cultuale collettivo. Indipendentemente dal valore intrinseco posseduto da tali manufatti, è perciò indubbio che il loro linguaggio simbolico, a tutt’oggi, rappresenti oggettivamente la forma maggiormente accettabile di interazione tra il celebrante e le stesse forze occulte. Questo principalmente il motivo per cui abbiamo da sempre visto nel connubio tra Arte e Scienza, la via maestra atta a definire la struttura spaziale degli abitanti dell’invisibile.»
Ritengo a questo proposito di far parte, senza dubbio alcuno, della lista (alla cui compilazione forse un giorno mi dedicherò) dei Visionari e degli occasionalmente connessi. La figura di Pazuzu mi ha attratto sin dalla sua prima comparsa sulla scena della cultura di massa. Un film tratto da un libro, nei primi anni Settanta, di cui non è neppure il caso citare il titolo. Da allora la grifagna ossessione ha ben attecchito nelle zone ctonie del mio immaginario. Ho prodotto diverse opere collegate al suo nomen di potenza: L’ombra del dio alato, Pazuzu, Jay.rtf, Il ritorno di Jay, Pazuzu: ali sull’abisso, non facendo per quel che mi riguarda alcuna distinzione tra saggistica e fiction, una cesura per chi, come me, cresciuto (anche) sul limen del realismo fantastico di Pauwels e Bergier (Il mattino dei maghi è un libro che mai si finisce di leggere – chi lo possiede, capisce quel che intendo…), non ha alcun senso. E altre ne ho in serbo.
In queste immersioni a contatto, spesso quasi visivo, con l’Archetipo, ho acquisito la convinzione che la natura connettivista di quella che Mauro chiama “visione subliminale” sia di tipo vibrazionale. E’ un’intuizione ovviamente non solo mia, fatta propria ad esempio dall’artista Roberto Cuoghi che, nel suo percorso di immedesimazione con gli antichi Assiri e le loro credenze, si è più volte imbattuto in Lilitu e Pazuzu, dando loro forma sonora nella lamentazione detta Suillaku, che ricordo come un’esperienza primordiale, coinvolgente tutti i sensi, ma esclusivamente trasmessa per via aerea da un set circolare di casse e di colonne di potenza smisurata: un allestimento funzionale dentro il castello di Rivoli, che ti afferrava nelle viscere e ti trascinava in un universo lisergico e antico. Una macro-vibrazione che ancora mi porto dentro.
Peraltro anche Mauro non nasconde che parole e suoni, ricorrenti nei rituali di comunicazione con la Dea, siano in primis entità vibratorie, fonemi e suoni in grado di aprire porte e “buchi” attraverso le neuroconnessioni. E questa è forse l’autentica magia. Immagini e suoni possiedono una loro specifica, intrinseca, natura energetica e vibrazionale.
I grandi iniziati, soprattutto quelli che lo erano e che lo sono a dispetto di sé stessi, hanno avuto in passato e hanno tuttora la costante percezione della presenza di “cose” attorno a sé. Per quel che so, Lilitu e Pazuzu sono entità vibrazionalmente percepite da numerosi scrittori. Di quelli contemporanei che conosco non sono autorizzato a parlare. Ma tra quelli che si possono citare senza problemi spiccano i nomi di Lovecraft e dell’ancora vivente William Peter Blatty.
Presumo che non sia il caso di rammentare il “chi è” del celeberrimo scrittore di narrativa fantastica Howard Phillips Lovecraft. Meno note della sua opera leggendaria sono però alcune metodologie rituali “vibrazionali” (per esempio, all’interno del gruppo “Serpente Nero” di Bertiaux) proprio dalla sua opera desunte per entrare in contatto con un certo “Universo B”, laddove s’incontrano gli “spiriti di altri mondi”. Lavorando proprio con il Necronomicon (libro immaginario che da un certo punto ha preso vita e oggi esiste senza ombra di dubbio) tra le entità che vivono nell’Universo B, si può contattare “utilmente” il demone Choronzon, che si ritiene possa essere invocato mediante una cosiddetta “messa del caos”, almeno così sostengono gli adepti. Ma Choronzon è un nome sul quale occorre soffermarci. Se, infatti, da un lato lo studioso Stephen Sennitt associa il nome di Choronzon, dallo stesso definito come “uno dei simboli più complessi dell’occultismo occidentale”, all’archetipo primitivo del “diavolo del vento che abita nel deserto” – un ibrido che fonde il distruttore Set, la volpe Shugal (la metà “maschio” della Bestia 666 – l’altra metà femminile è appunto Choronzon) – e lo stesso Pazuzu, più di un esegeta del Necronomicon lovecraftiano lanciato alla caccia di parallelismi per suffragarne l’autenticità, mettendo a confronto il pantheon sumerico con i miti di Lovecraft e il pensiero magico (il Magick) di Crowley, ne ha concluso che Choronzon, l’immane “Cosa” descritta nel racconto L’orrore di Dunwich e il dio alato sumerico siano in realtà, sempre e ovunque, la stessa creatura.
La vicenda “connettivista” di William Peter Blatty con l’imago di Pazuzu è sorprendente e offre ancora il fianco all’ipotesi vibrazionale. Coltissimo sceneggiatore formatosi all’Università di Georgetown sotto la guida dei padri Gesuiti, ecco come Blatty rievoca il suo (primo?) incontro con Pazuzu :
«Durante gli anni Sessanta mi trovavo in Libano, dove lavoravo per l’Information Service degli Stati Uniti, e dovetti recarmi a Mosul per raccogliere del materiale per un settimanale che si chiamava The News Review. Alla fine del mio incarico, mi ritrovai con parecchie ore da trascorrere in attesa dell’Orient Express che doveva riportarmi a Baghdad e andai a visitare un sito archeologico, dove vidi degli operai caricare con un montacarichi una figura umanoide grande più o meno come la statua di Pazuzu nel film e trascorsi la giornata a rimuginare su cosa avrei potuto scriverne in merito. Così, quando cominciai ad accumulare elementi per il romanzo, scoprii la foto di una statuetta di Pazuzu in un libro di saggi sul demonio intitolato Satana e scritto dall’ordine cattolico dei Padri del Deserto. Pensai allora di usarlo, esclusivamente nella mia mente s’intende, come il demonio che fronteggia Merrin in un precedente esorcismo in Africa e che ritorna a combatterlo di nuovo ne L’esorcista”.
Come sostenevo diversi anni fa ne L’ombra del dio alato (libro che tornerà a breve in digitale e in nuova versione), una vibrazione transpsichica potrebbe avere guidato Blatty verso una connessione con l’Archetipo in una zona non conoscibile ed extra-temporale. La sequenza da Blatty stesso descritta è esemplare: in una fase forse particolare e stressante della sua vita, lo scrittore-sceneggiatore (che, di solito, lavorava su soggetti brillanti e solo dopo il successo planetario de L’esorcista si dedicherà quasi in esclusiva alle tematiche horror) non è probabilmente in grado di fronteggiare l’irruzione nel suo inconscio di contenuti archetipici. Vede una grande statua simile a un demone e ne resta colpito al punto da iniziare subito un’elaborazione mentale al suo riguardo. Quando vede la vera immagine di Pazuzu in un libro dei “Padri del Deserto”, considera immediatamente di avere trovato il “contenuto” per quella “forma” psicoide, ed ecco così nascere il personaggio “che Merrin ha già fronteggiato in un precedente esorcismo avvenuto in Africa e che ritorna a combatterlo ne L’esorcista”. Così l’archetipo-Pazuzu si costella di elementi che gli sono propri, anche da un punto di vista storico e antropologico. Non vorremmo andare troppo lontano, ma la possibilità che tanto Blatty che i successivi autori del film L’esorcista 2 – L’eretico (John Boorman e lo sceneggiatore William Goodhart) abbiano attinto ulteriormente e inconsapevolmente da una realtà intrapsichica, il cosiddetto continuum vibrazionale, non poi è così audace. Ne L’esorcista 2 il terreno di scontro tra Pazuzu e Merrin è appunto l’Africa, evento reiterato anche ne L’esorcista – La genesi di Renny Harlin e in Dominion di Paul Schrader.
Sarebbe interessante poter ascoltare, a proposito della primaria connessione, tutti gli artisti che, a qualsiasi titolo e livello, con Pazuzu (e con Lilitu) abbiano scelto di cimentarsi. Perché – così concludevo L’ombra del dio alato – le entità di quell’Altra Parte (per capirci…), continuano a esercitare sulla mente collettiva e sull’immaginario artistico del mondo un fascino ambiguo e inspiegabile al quale non si sottraggono scrittori, registi, musicisti e qualche migliaio di individui, uomini e donne, le cui energie vibrazionali sono in grado di connettersi con quelle dimensioni che da anni stiamo tentando d’identificare.
Lo dimostra persino la mia presenza qui. Chiamato dall’amico Mauro ad aprire, non so quanto degnamente, la sua importante opera, sento di far parte di una community che ancora vive una precaria consapevolezza di sé.
Ma in questa massa di individui la cosiddetta “Visione Subliminale” sta sempre più assumendo dignità, in primis, di riconoscimento e poi di approfondimento. Perché ognuno dei connessi occasionali aspira alla reale conoscenza delle Ancestrali Forme Oscure.