di Mauro Baldrati
[Riassunto delle puntate precedenti 1 2 3: Rick e Max, giovani attivisti del movimento No Tav, sono stati condannati a trent’anni di carcere per avere bruciato un compressore d’aria durante una manifestazione. Evasi dal penitenziario, stavano cercando di raggiungere la Slovenia, dove speravano di trovare aiuto e protezione, quando sono stati catturati dai militanti del Partito Democratico, condotti in un carcere privato della Lega Coop, sottoposti a tortura e condannati ai lavori forzati a vita.]
Cinque anni. Cinque anni di lavoro in un’azienda della F.I.G.A. di Semoletti (Federazione Italiana Gastronomi Agricoltori) li avevano fatti uscire dalla realtà.
Ma era realtà?
Sembrava un viaggio nel tempo: la campagna aveva vaste zone incolte, e molti contadini si spostavano con carretti trainati da muli, o cavalli. Accanto alle case coloniche erano sorte capanne di legno coi tetti di paglia, e non era raro vedere qualcuno che arava coi buoi.
Qua e là, appesi agli alberi, penzolavano gli impiccati, divorati dai corvi e dalle cornacchie.
Rick e Max erano riusciti a fuggire dal campo di lavoro. Si trovavano in Calabria, tra le colline, in prossimità di Lagonegro, in un campo di papaveri da oppio. Questa infatti era una coltivazione sulla quale Semoletti stava investendo ingenti capitali.L’oppio veniva venduto ai laboratori di raffinazione sudamericani (trasportato con gli aerei del Ministero dell’Agricoltura) che lo trasformavano in eroina pura. Tutto regolare, il quarto governo Superbone aveva concesso alla F.I.G.A. l’appalto della coltivazione intensiva per “scopi scientifici”.
Ma c’erano dei problemi. La penetrazione di Semoletti in Calabria, terra particolarmente adatta a quel tipo di coltivazione, non era andata liscia come in Puglia. La Ndrangheta era un’organizzazione internazionale, molto potente. I boss non avevano accettato la sottomissione alla F.I.G.A. di Semoletti, come i loro colleghi pugliesi della Sacra Corona Unita. Quindi era nata una guerra, che il Primo Ministro Superbone non era riuscito a scongiurare, nonostante una sorta di invasione degli squadroni della morte montiani coadiuvati da truppe speciali dalemiane. Il giorno dell’evasione c’era stato un attacco della ndrangheta con mezzi blindati e bombe a mano. Era nato un violento scontro a fuoco che aveva permesso la fuga di numerosi schiavi. Molti erano stati catturati, o uccisi, ma Rick e Max avevano pianificato con cura la migrazione verso la Francia: camminavano solo di notte, restando nascosti di giorno, in grotte, boschi, case diroccate. La stagione estiva era favorevole.
Avevano risalito la penisola mangiando quello che trovavano, rubando dai frutteti, dagli orti, dai pollai, spesso soffrendo la fame per giorni, ma avanzando con una sorta di tenacia disperata, perché non c’erano dubbi sull’esito di una nuova cattura: li aspettava la garrota, la forma di esecuzione introdotta dal Partito Democratico per giustiziare i terroristi.
Dopo molte notti di marcia erano arrivati in Lombardia, nei pressi di Lodi. Avevano in programma una sosta a Milano, dove era attiva una cellula clandestina della Resistenza. L’aveva rivelato loro uno schiavo appena arrivato in Calabria, prima di essere ucciso a frustate dai guardiani dalemiani perché si rifiutava di lavorare.
Stava per albeggiare. Occorreva fermarsi. Anche perché erano stremati. Rick aveva certamente la febbre. Avevano mangiato avanzi andati a male, trovati in un cassonetto di rifiuti in prossimità di un supermercato Coop. Erano nascosti in un cespuglio ai bordi dell’aia di una fattoria. La casa colonica, grande, malandata, aveva i muri segnati dalla muffa e dall’umidità. Di fianco era stata costruita una capanna, rudimentale, con materiali di recupero, assi, lastre di plastica, un pezzo di cartellone pubblicitario.
“Entriamo lì dentro” disse Max. “Magari troviamo qualcosa, cibo, acqua, vestiti. Forse possiamo restare nascosti fino a questa notte.”
Avevano strisciato sull’aia, fino alla porticina sgangherata della capanna, che avevano aperto senza difficoltà. Era un deposito di vecchi attrezzi, con un soppalco carico di pannocchie di mais messe a seccare. Erano riusciti a mangiarne una a testa, masticando a lungo i chicchi per renderli una poltiglia che i loro stomaci infiammati avrebbero digerito senza danni.
Mentre stavano cercando un riparo dietro uno scaffale crivellato dai tarli la porta si spalancò. La luce già accecante del sole irruppe nell’ambiente polveroso, sagomando in controluce la forma minacciosa di un uomo che imbracciava una doppietta.
“Chi siete? Che volete?” disse. Sembrava anziano, con la schiena curva, i capelli bianchi, la barba non rasata.
Rick e Max alzarono le mani. “Per favore. Volevamo solo dormire un po’. Siamo viaggiatori, in cerca di lavoro.”
“Viaggiatori, eh?” disse l’uomo. Non c’era sarcasmo nella sua voce. Sembrava stanco, come rassegnato. Fece un passo, entrò nella capanna. Continuava a fissarli, senza parlare. “Voi siete i due terroristi evasi, altro che viaggiatori.” Rick e Max non fiatarono. Pensieri vorticosi si incendiavano nelle loro menti. Era finita? Era la morte definitiva della speranza? Potevano aggredirlo, disarmarlo? Ma poi che fare con gli altri occupanti della casa? “Lo so chi siete” disse l’uomo, dopo una lunga pausa. “La televisione ha parlato molto di voi. Quelli” soggiunse, indicando l’esterno, “vi cercano come dei matti. Siete pericolosi, dicono. Pericolosi per loro. Beh, sapete cosa vi dico? Vi aiuterò. Perché i loro nemici sono miei amici”
L’interno della casa era pulito, ordinato, benché fosse evidente la povertà. Sul fuoco del camino stava iniziando a bollire un paiolo. Una donna vestita di nero rimestava con un mestolo di legno. Non c’era una cucina moderna, ma un vecchio lavello di ceramica annerita, con un rubinetto del tipo industriale. Niente acqua calda, e il gas era staccato.
“Colpa delle bollette non pagate” disse la donna, la moglie dell’uomo. “E chi può pagarle? Il governo ha rincarato le tariffe fino a renderle inaccessibili. Non abbiamo neanche la luce, a parte un piccolo generatore, appena sufficiente per la televisione”.
Rick e Max infatti erano rimasti stupiti per la presenza di un televisore moderno, che strideva palesemente in quel contesto neo-arcaico.
“Tutti devono avere un televisore” disse l’uomo. “Anche chi non può permettersi il pane. Il governo li distribuisce gratuitamente, col generatore, perché i cittadini, dicono, devono essere informati. Vale a dire devono sorbirsi le prediche e le balle quotidiane di quei maledetti bastardi figli di puttana maiali ladri assassini…”
La donna lo interruppe prendendogli una mano. “Basta Arturo, ti prego. Non serve a nulla arrabbiarsi così. Ti fai solo del male. Ti rovini il cuore, e il cervello. E fai del male anche a me.”
L’uomo, che era diventato paonazzo, sembrò calmarsi. “Hai ragione, Rosa. Tanto quelli continuano a prosperare, mentre noi moriamo di fame.” Rick e Max addentarono un pezzo di pane, sul quale avevano spalmato un sottile strato di lardo tenero come il burro. “Si prendono tutto. A noi resta appena il necessario per non crepare. Gli esattori del partito arrivano tre volte all’anno e dobbiamo consegnare loro il raccolto, gli insaccati del maiale, il latte, tutto. E guai a nascondere qualcosa. Se ci scoprono veniamo frustati a sangue. Oppure uccisi sul posto, dipende dalla gravità del reato.”
La donna sospirò. Poi allungò una mano e appoggiò un palmo sulla fronte di Rick.
“Questo ragazzo ha la febbre” disse. “Dobbiamo portarlo dalla Stellina.”
“La Stellina?” disse Max.
“Sì, è una vecchia signora che cura noi contadini con le erbe” disse.
L’uomo ebbe uno scatto, come se volesse prendere a pugni l’aria. La donna, ancora una volta, lo calmò. “Voi ragazzi siete stati fuori dal mondo per cinque anni, giusto?” Rick e Max annuirono. “Scommetto che nel vostro campo di lavoro c’era la televisione. Perché c’è sempre la televisione.” Rick e Max annuirono di nuovo. “Scommetto che non facevano che ripetere che va tutto bene, benissimo, no? Che il governo lavora per risolvere i problemi del paese, giusto?” Rick e Max confermarono. La televisione, che era sempre accesa, non parlava d’altro. Avevano visto spesso anche il sosia di Riccardo Schicchi che predicava. “Beh, non esiste più niente” disse l’uomo. “Il paese non esiste più. La sanità è stata completamente privatizzata e affidata all’Unipol, che gestisce le cliniche private. Noi ne siamo esclusi. Come le pensioni del resto. Non possiamo pagare le quote. E’ tutto riservato a loro, i dirigenti del partito, i militanti, e i padroni.”
La donna sospirò di nuovo, col capo chino. “Però la Stellina è bravissima, trova sempre la cura, per tutti.”
In quel momento, con uno schianto, la porta si spalancò. Due uomini si affacciarono sulla soglia. Sembravano incerti, barcollanti. Impugnavano mazze da baseball.
“Allora, bifolco, dov’è lei?” disse uno. La voce era rauca, la lingua impastata. Erano sbronzi. Un forte odore di alcol si stava diffondendo nella stanza. “Eh, lurido contadino? Eh, miserabile morto di fame? Dov’è la tua bella figlioletta? Dove la nascondi?”
L’uomo si alzò, andò di fronte ai due uomini e si inginocchiò. “Vi prego, ragazzi, vi scongiuro. Ha solo quattordici anni. Lasciateci in pace.”
I due sghignazzarono. “Appunto, pezzente! Quattordici anni, una bella prugna ancora acerba! Tirala fuori, se non vuoi che bruciamo questa topaia!”
Rick e Max li osservarono attentamente: giovani, capelli scuri, facce ghignanti: renziani, senza ombra di dubbio. E quindi con l’istinto compulsivo dello stupro.
D’un tratto i due si accorsero di loro, pur tra i fumi della sbronza, e iniziarono a fissarli.
“Ehi, chi sono questi due stronzetti?”
“Ma io li ho già visti” soggiunse l’altro. “Sì, sono… sono…”
Rick e Max scattarono. Benché indeboliti dalla lunga marcia, e dalla denutrizione, avevano muscoli solidi, formati e consolidati dal duro lavoro nel campo. In un attimo furono addosso ai due renziani, i quali, ubriachi com’erano, non furono in grado di opporre resistenza. Max strappò la mazza al primo, che usò per colpirlo ripetutamente alla testa, sfondandogli il cranio, Rick trascinò l’altro sul pavimento, dove lo strangolò senza sforzo.
Si rialzarono, guardarono i due cadaveri, ansimando.
L’uomo era ancora in ginocchio, esterrefatto. La donna piangeva con la faccia tra le mani.
Il tempo sembrava fermo, la scena era immobile.
“E ora?” disse l’uomo, rialzandosi. Li avete uccisi. Per noi è finita. Saremo sterminati.”
Max andò verso la porta di ingresso, guardò fuori.
“Dovevamo farlo” disse Rick. “Vi avrebbero accusati di dare ospitalità a due terroristi, vi avrebbero uccisi tutti.”
“Lì fuori c’è la loro auto” disse Max. “Vado a nasconderla dietro la casa. Non si vede nessun altro in giro.” E uscì.
“Erano soli” disse Rick. “Secondo me andrà tutto bene. Dobbiamo solo seppellire i cadaveri. L’auto la porteremo lontano da qui, e la bruceremo. Non potranno risalire fino a voi.”
Si udì il motore accendersi, in cortile. Dopo qualche minuto Max rientrò.
“Seppellire i cadaveri?” disse l’uomo, con voce cupa. “Non è così semplice. Dobbiamo scavare una buca profonda, con le pale. Non abbiamo più le macchine, siamo stati costrette a venderle. Qualcuno potrebbe notarci. Gli esattori del partito sono sempre in giro, controllano, sorvegliano. E ogni giorno passa un elicottero.”
Tutti tacquero, per lunghissimi, interminabili minuti. Ognuno era immerso nei propri pensieri. Ed erano pensieri oscuri. Rick e Max si sentivano in colpa per ciò che avevano causato a quella famiglia. L’uomo e la donna erano travolti dall’angoscia.
Fu la donna, che uscì dalla sua disperazione, a proporre una soluzione.
“Tagliamoli a pezzi. In tanti pezzi. Possiamo disperderli qua e là, seppellirli in piccole buche. Giù in cantina abbiamo tutto pronto per la macellazione del maiale, tra un mese.”
L’uomo annuì, mentre sembrava riflettere intensamente. “La macellazione, certo…” guardò verso la porta che conduceva in cantina. “Hai avuto una buona idea, Marta… ma possiamo… migliorarla. Possiamo addirittura ricavarne un utile.”
“Che vuoi dire?” chiese la donna.
“Sì… farò delle salsicce, dei cotechini, e dei prosciutti che sembreranno culatelli. Nessuno se ne accorgerà. E quando arriveranno gli esattori li daremo a loro, mentre per noi terremo quelli di maiale, che nasconderemo. Così… così…”
Si scambiarono occhiate, guardarono i cadaveri, tornarono a fissarsi, meditabondi.
“Così… quei cani rabbiosi si mangeranno tra loro!” conchiuse l’uomo. Poi guardò la donna, guardò Rick e Max, chinò il capo e disse: “Pensate cosa mi tocca fare, io, che prima dell’avvento di questo regime di belve ero vegetariano!”
E in quel momento tragico, coi due cadaveri scomposti sul pavimento, con una minaccia mortale che incombeva sulla casa come una creatura mostruosa, coi cuori oppressi dall’ansia e dall’incertezza del futuro, con quell’energia particolare, unica nel variegato mondo delle creature viventi che abitavano il pianeta Terra, quell’energia che porta l’uomo a staccarsi dalle situazioni, a rompere la spirale naturale di causa-effetto, di aggressione-fuga, incurante della tragedia che lo sfiora con le sue ali nere, i quattro personaggi che in quel momento abitavano la povera casa, ignorando tutte le incognite che sembravano vaporizzare il concetto stesso di realtà, scoppiarono in una lunga, torrenziale, liberatoria risata.
[Le vicende qui narrate sono finzioni letterarie. In esse compaiono nomi e circostanze reali in qualità di pure occasioni narrative. I nomi di personaggi e di enti del mondo della politica e dell’economia vengono usati soltanto ai fini di denotare figure, immagini e sostanze dei sogni collettivi che sono stati formulati intorno ad essi, e si riferiscono quindi a un ambito mitologico che non ha nulla a che vedere con informazioni o opinioni circa la verità storica effettiva degli avvenimenti o delle persone su cui questo racconto elabora una pura fantasia]
Le immagini sono di Frida Kahlo