di Sandro Moiso pecore

Quella storia sembrava davvero un sogno.
Quei giorni passati in quel recinto di griglie e filo spinato, con l’ombra di quella mostruosità che per un certo periodo aveva pesato sui ricoveri.
Quella confusione e, a tratti, quei rumori molesti.
Girare in tondo tenendo d’occhio quel buco nella montagna.

Poi, per via di quegli strani arnesi, andare in giro con tutto quel peso addosso solo per tenere tutti quegli umani lontani dalle grate che delimitavano il recinto.
Senza contare che stare ritti sempre sulle zampe posteriori era proprio un bel casino.
Eppure in quel sogno sembrava tutto così naturale.
Buio, luce, flash e cattivo odore nell’aria.
Scoppi. Urla. Bang! Bum!! Crash!!!

Ogni tanto si chiedeva cosa potesse aver mangiato per digerire così male.
E fare sogni così brutti.
In fin dei conti preferiva sognare i pascoli. Lassù in alto.
L’erba fresca, le gemme, qualche ramoscello dalle piccole foglie.
Osservare sonnachiosamente la valle e i rivoli d’acqua che la percorrevano.

Forse tutto quel via vai del sogno era effetto della transumanza.
Da quando era lì in Clarea il gregge era come impazzito.
Capre, pecore e montoni non si erano adattati troppo al nuovo ambiente.
E forse con l’erba e con l’acqua avevano ingerito qualcosa di diverso.
Oppure no, forse era stata quella donna bellissima dai capelli rossi a causare un cambiamento.

Era arrivata, insieme ad uomo bruno, scuro di pelle come un montanaro, ma che portava con sé un odore salmastro.
Dall’esterno del recinto avevano guardato tutto e avevano accennato a qualcosa, ma ora era tutto così confuso, estraneo e distante.
Così non ricordava più se tutto questo era avvenuto davvero oppure in sogno.

Adesso, pecora tra le pecore, provava un senso di smarrimento.
Riscoprendosi a belare lamentosamente con tutte le altre.
Poi, un barlume improvviso di coscienza.
Il ricordo di pochi suoni, ma chiari.
Indimenticabili.

E con questi, Ulisse, che devo fare?
Vai Circe, trasformali!
Pure questi in maiali?
Come a Genova e a Roma? No, cambiamo. Pecore…sì, per questa volta, pecore. E’ meglio.

Poi il ricordo svanì.
L’immagine si scompose in mille caleidoscopici frammenti.
E tornò a brucare l’erba.
Come le sembrava di aver sempre fatto.
O no?

L’agente scelto De Gennaro si risvegliò di soprassalto.
In un bagno di sudore.
Quel sogno si ripeteva ormai da giorni.
Quel sentirsi così pecora lo sfiniva.
Dormiva male, si rigirava tutta la notte e al mattino si risvegliava con quel gusto amaro in bocca.

Sì, non doveva farsi impressionare…ma ormai succedeva da troppo tempo.
Anche di giorno aveva iniziato ad avere delle allucinazioni.
Soprattutto con i colleghi dell’Arma. Anche con loro, anzi, soprattutto con loro.
Improvvisamente li vedeva tutti trasformati in quadrupedi ruminanti e con la bandoliera a tracolla.
Doveva smetter di farsi impressionare dagli slogan e dai lazzi dei manifestanti, gli avevano suggerito i superiori.

Ci aveva provato, ma…niente da fare.
Ogni notte il sogno si ripeteva. Sempre più vivido e realistico.
Quasi quasi gli sembrava di sentire il gusto dell’erba in bocca.
Forse doveva marcar visita e farsi vedere dallo psichiatra o, almeno, dal medico del reparto.
Sì, questa mattina farò così” disse tra sé e sé e si alzò dalla branda.

Si risciacquò, si infilò nella divisa, stirò gli arti e la schiena ed uscì sulla spianata del cantiere.
A quattro zampe.

Per Marco, Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò e tutti gli altri militanti No Tav processati a Torino

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