di Carlo Dal Pane

Moretti66

Nonostante le fatiche dei suoi ultimi anni, Vincenzo ce l’aveva fatta. Aveva appena timbrato il suo ultimo cartellino dopo trentacinque anni di lavoro. Migliaia di birre erano sfilate davanti ai suoi occhi sul nastro durante quegli anni, l’odore del malto aveva ricoperto i suoi vestiti e mutato il sapore delle sue mani, i suoi occhi si erano fatti mese dopo mese più stanchi, ma era arrivato alla fine. Vincenzo se ne andava in pensione. In trentacinque anni di lavoro era riuscito a prendersi cura dei figli, pagare loro l’università, accudire la madre malata, sopravvivere con tre pasti al giorno. Non era riuscito a salvare il suo matrimonio, ma erano passati dieci anni e non aveva molto di cui rimproverarsi.  Vincenzo lasciava per l’ultima volta il suo posto di lavoro con il rimpianto di chi avrebbe voluto spendere meglio la propria vita ma si era ritrovato a non poter fare altrimenti.  Vincenzo, troppo stanco anche per la malinconia: guarda distratto la sua ultima Moretti correre sul nastro, sente suonare la sirena. Le luci della fabbrica cominciano ad abbassarsi. Vincenzo si infila alla meglio il brutto cappotto di cui va orgoglioso, timbra con rassegnazione, e corre a casa.

L’Autogrill Sant’Eufemia Est è un brutto posto appena fuori Ravenna, lungo l’autostrada che collega l’antica capitale romagnola a Bologna. Alle 17 di un fresco mercoledì di marzo si ferma a Sant’Eufemia Est una rovinatissima Ford Fiesta modello Boston del 1993. Scendono Francesco, Luca e Marco. Stanno andando a Bologna a trovare Fabio, che da quando si è trasferito lì per l’università non torna a Ravenna nemmeno per sbaglio. Si sono fermati al Sant’Eufemia perché non vogliono arrivare a mani vuote a casa dell’amico. Francesco ha insultato gli altri due perché, si sa, all’autogrill tutto costa il doppio, e va bene che ruberanno un paio di birre, ma qualcosa dovranno pur comprare. La televisione all’interno dell’autogrill invita ad oltranza l’acquisto di birra Ceres. «Non ascoltate la pubblicità, solo Moretti chiara» sorride Francesco, e gli altri eseguono. Due Moretti passano tranquillamente sotto i giubbotti, mentre altre sei vengono a malincuore pagate. «Ceres: C’è», continua a ripetere la televisione.  Francesco, Luca e Marco ripongono con cura le otto birre nel portabagagli, di fianco a: un pallone da calcio, una felpa, un bong, una pila di libri, un’assurda scatola di Clenil per Aerosol. Tra le otto birre, la terza da sinistra è l’ultima birra di Vincenzo anche se i ragazzi non lo sanno. E poi, che cambia? I tre salgono in macchina e partono, il motore accelera mentre alla radio elencano le partite del turno infrasettimanale di campionato. «Ma che, stasera c’è il campionato?», «Stasera si esce, coglione!», «Così mi spacchi gli occhiali, e smettila su…». Francesco ride con gli altri due, e ride e guida fino a Bologna.

A Bologna è impossibile trovare un parcheggio. «Ma dove cazzo l’avete messa?», «A ‘Fabio, manco saluti? E poi non ti lamentare, guarda qui». Fabio si lamenta con Francesco di aver camminato per dieci minuti prima di raggiungere la loro auto, mentre Francesco spiega a Fabio che solo un idiota può essere tanto incapace di indicare dove abita. Poi per farsi perdonare, apre il bagagliaio e indica all’amico le otto birre. «Questa è mia!». Fabio è felice di vedere gli amici e scherzando afferra una bottiglia dall’auto. La terza da sinistra. Piove. Il tempo è pessimo ed è sua abitudine rendere Bologna gotica fino ai primi di aprile. Il grigiore del cielo si proietta sui portici, che a loro volta incupiscono la città con concentrici giochi di ombre. I quattro attraversano Bologna fino a casa di Fabio, che si trova esattamente dietro a Piazza Verdi. Entrano in casa e si affrettano a mettere le birre in frigorifero, tranne Fabio che abbandona la sua sopra il tavolo, «tanto è aperta, la finisco subito», dice. I tre si siedono a chiacchierare fumando qualche sigaretta quando sentono scattare la serratura. Entra Andrea, il coinquilino di Fabio, tornato il giorno prima dalle campagne veronesi. Nemmeno il tempo di salutarsi che Andrea già deve scappare. «Fabio senti devo volare che ho un problema con Giulia…questa è per me vero?». Andrea si infila il parka che era stato di suo padre, afferra l’unica bottiglia presente sul tavolo ed esce sotto la pioggia dei portici bolognesi.

Andrea scivola velocemente fino in piazza Verdi, trovando sotto i portici del teatro un rifugio per se stesso e per la sua birra. Qui incontra Giulia. Giulia è la terza volta che scarica Andrea, anzi no. In realtà è la settima, ma le ultime tre si sono susseguite nell’arco di un mese e quindi vanno cumulate. Si guardano negli occhi senza dire nulla. «Andrea, è finita». Nella pietà del Signore, non di nuovo. Andrea incomincia a fissare il vuoto. Dopo le ultime due volte che era stato lasciato non erano mai tornati insieme, ma Giulia aveva iniziato a chiamarlo ogni volta che sentiva il bisogno di sfogarsi. Questa era la terza volta che lo chiamava, e lui ci era ricascato.  Di lì a pochi minuti avrebbe sentito parlare di sé nei termini di: fannullone, imbecille, stronzo, maleducato, sporco, vile, povero, stupido, alcolista, drogato, viziato, pigro… Andrea abbassa la testa e non sa nemmeno perché si trova lì, a prendersi in spalla una collezione di insulti resi ancora più ostili da una variegata serie di noiose autoreferenzialità io, io, io… Ripensa a come si sono conosciuti in Spagna, al cammino di Santiago. Settecento trentotto chilometri per questo. Andrea si alza e se ne va. Guarda Giulia, farfuglia un poco convinto «mi dispiace», e se ne va bevendo un sorso di quella birra raffreddata dall’ambiente gelido della sera. Ha smesso di piovere, e prima di tornare a casa Andrea si concede una sigaretta sui blocchi di cemento al centro di piazza Verdi. La fuma tutta d’un fiato, posando la birra pressoché ancora piena alla sua destra, alla destra del cubo. Poi getta quello che rimane del filtro alle sue spalle, e pensando a Giulia torna a casa.

Lucia e Irina arrivano in piazza Verdi dopo pochi minuti. Sono coinquiline e vivono a cinque minuti lì. La loro vicina di appartamento Anna è una vedova di ottant’anni che non saluta mai Irina poiché la sospetta di origini russe. Invece Irina è Italiana e viene da Padova esattamente come Lucia, che però è stata adottata e non si capisce bene da dove venga. Le due si fermano su un blocco di cemento spostato leggermente sulla sinistra. Stanno discutendo con l’entusiasmo delle matricole di un esame di pedagogia appena sostenuto, avvolte da una nebbia che, mescolandosi all’ombra gettata dal teatro, rende le nove di sera più sospettose del previsto. Si stanno recando al numero 38 di via Zamboni occupato, dove ci sarà una serata di autofinanziamento del Collettivo. Si sono fermate perché Lucia è tutta distratta nel cercare di scrivere un messaggio alla madre senza far capire di essere ubriaca. Irina non ricorda se l’amica è uscita con una birra o meno in mano, e domanda a Lucia se la bottiglia alla sua destra le appartiene. Lucia, che ha completamente ignorato la domanda, le risponde con un vago assenso e così Irina solleva la bottiglia e incoraggiando l’amica, si dirige stancamente verso il 38.

Al 38 la gente attraversa i corridoi, occupa le aule, taglia gli spazi in brevi file per prendersi da bere. I tre piani dell’università si riempiono di volti più o meno sconosciuti fra loro che si incrociano scoprendosi per la prima volta. Nel cortiletto interno un improvvisato DJ mescola rhum e cola alla peggior elettronica di sempre. Tra la folla non emerge in nessun modo Paolo, ventitré anni e capelli castani, studente di ingegneria finito per sbaglio a lettere occupata. Paolo se ne sta in disparte a fumare, quando la sua attenzione si sposta su una bottiglia di Moretti vuota per i suoi tre quarti e piena per uno, abbandonata sul terzo scalino della rampa di emergenza interna al moderno chiostro. Paolo pensa che non beve un goccio di Moretti esattamente da sette mesi, quando stava a Pisa con gli amici al bar a discutere della brutta avventura del suo amico Martin, che era appena entrato in ospedale per un brutto male. Sei mesi dopo Martin se la stava ancora sbrigando al Cisanello e lui era qui a questa festa, con la voglia di bere un goccio. Allora Paolo afferra la birra e pensando ai suoi ultimi mesi esce dal 38 per prendere aria.

Davanti al 38 cala il silenzio al passare della legge. La legge striscia lentamente davanti al 38 su una Fiat Grande Punto scura dalle sirene spente con a bordo due carabinieri dai volti in ombra che scrutano furtivamente quello che sta succedendo a pochi centimetri da loro. Tutto è sotto controllo. Pochi metri più in là in piazza Verdi succedono un sacco di cose. Giuliano e Valentina, romani, amici, tifosi della Lazio e pure compagni bevono vino suonando una chitarra a quattro corde. Dietro di loro Vittorio saluta Bologna, lascia l’università e i suoi genitori sono venuti a riportarlo a Bari. Ancora non lo sa ma è l’ultima volta che può guardare la sua vita dalla prospettiva di piazza Verdi: per tutto un gioco di coincidenze non tonerà mai più a Bologna in vita sua. Vicino a Vittorio siede Riccardo, che sta raccontando agli amici la bizzarra storia di Settecapotti, un mitologico personaggio che aveva abitato la città nei decenni precedenti e che si diceva fosse solito girare per i portici indossando sette cappotti in ogni stagione, per paura di presunte radiazioni. Più indietro in via Francesco Acri, un gruppo di individui di incerta origine sta rapinando un passante inerme davanti a due ragazzi che chitarra in spalla passano e guardano senza sapere che fare.

A mezzanotte, Marzo scivola verso Aprile e Paolo ha già da tempo abbandonato la birra ormai vuota al suo destino. L’ha lasciata su un muretto, ma da questo muretto la Moretti in vetro è già caduta senza rompersi, ha rotolato per qualche metro fino a nascondersi dietro al colonnato che precede la piazza. La bottiglia è rimasta qui nascosta tutta la notte, sopravvivendo ai camion degli spazzini intenti a pulire tutta l’area da cocci di vetro e cicche spente. Alle sei del mattino la bottiglia ha incontrato il Dr Martens taglia 38 di Alba, ventun anni, studentessa di Medicina con un occhio di riguardo per il cinema e per l’ecologia.

Alba ha dunque raccolto la bottiglia e l’ha gettata nel cestino della piazza, dove quella disgraziata Moretti da 66cl ha esaurito una volta per tutte il suo vagare.

Con l’aria di aprile alle porte, alle 17 spaccate in piazza Verdi c’è l’assemblea del Collettivo e le guardie sono massicciamente dispiegate verso quei ragazzi che megafono alla mano cercano di organizzare un cerchio di discussione a cui tutta la piazza può prendere parte. Non appena un gruppo di studenti inizia a radunarsi, la polizia carica invano cercando di disperdere la folla. È allora che gli studenti reagiscono compattandosi, decisi a non abbandonare la piazza, ed è allora che la polizia carica una seconda volta più duramente. Qui, un amico dal volto coperto indietreggia fino al bidone, rovista alla meglio al suo interno e incontra una Moretti da 66 cl vuota e pronta all’utilizzo. La nasconde per un momento dietro di se… trattiene il fiato due secondi e la lancia. Allora l’ultima Moretti di Vincenzo, che è stata di Francesco, Fabio, Irina, Paolo, Alba sorvola lentamente in decollo non autorizzato una testa dopo l’altra, mentre Vittorio torna a Bari e Giulia decide se telefonare anche oggi ad Andrea o se lasciare perdere… ed ecco che la bottiglia che un attimo prima volava su piazza Verdi precipita sempre più forte, sempre più forte fino a quando mille pezzi di vetro invadono l’aria attorno al casco di un uomo in divisa. Con incredulità si potrà assistere ad una sua breve genuflessione, al di fuori dei luoghi preposti a questa pratica.

La carta stampata avrebbe poi rallentato il tempo riportando le notizie al giorno prima, raccontando questa stessa storia svuotata di significato e priva dei suoi protagonisti.