di Valerio Evangelisti
Il liberalismo è l’ideologia più letale della storia, perché è versipelle. Finge di interessarsi della democrazia, ma in realtà ha a cuore solo il mantenimento di un sistema economico e di comando. Quando questo è minacciato, è pronto a cedere il manganello a versioni di se stesso più brutali. Il fascismo, il nazismo, il militarismo, lo sciovinismo, oppure il semplice autoritarismo. Sotto quei panni, o anche senza mascheramenti, uccide impunito. Ogni giorno, sotto gli occhi di tutti.
E’ il sistema che usava la Chiesa ai tempi dell’Inquisizione. Direttamente non uccideva. Passava la mano al “braccio secolare” (la giustizia civile), che provvedeva ad applicare le sentenze del tribunale ecclesiastico. Formalmente la Chiesa non ha mai bruciato eretici, streghe, ebrei. Non ha mai torturato nessuno. Ci pensava il “braccio secolare”. I De Tormentis dell’epoca (dal nomignolo di Nicola Cocia, capo di una squadretta del ministero degli Interni incaricata di torturare brigatisti veri o presunti, tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta del ‘900) facevano tutto ciò che l’istituzione non si sarebbe permessa di eseguire a volto scoperto.
Cosa c’entra questo con il Venezuela? Il paese demoniaco per antonomasia, agli occhi degli USA e anche della UE, non ha mai violato le regole della democrazia politica. L’assetto attuale ha resistito a ben 18 elezioni, certificate come limpide dai più autorevoli osservatori internazionali. L’ultima è stata quella amministrativa del dicembre scorso. Maggioranza indiscutibile alle forze che si richiamano a Nicolás Maduro, continuatore del programma impostato dal defunto Hugo Chávez. Opzione privilegiata per i poveri, gli sfruttati, gli esclusi da sempre. Limiti allo strapotere del capitale individuale. Nazionalizzazione di ciò che era stato privatizzato. Spese sociali in istruzione, sanità, alloggio, impiego. Formule magari non risolutive, ma per chi abbia conoscenza di prima mano dell’America Latina e delle sue disparità di classe, quasi una rivoluzione. Resa più solida da forme di interscambio continentale (Alba, Mercosur, Petrocaribe, ecc.) capace di prescindere da FMI, Banca Mondiale, Trattati di libero commercio.
Hugo Chávez ha reso autonomo come mai in passato un continente che era sempre vissuto nella più totale subordinazione. Ciò a colpi non di cannone, ma di elezioni vinte. E’ riuscito dove Salvador Allende aveva fallito. La sua arma? Coinvolgere le masse popolari, strappandole all’anonimato e a una vita ai margini. Farle figurare in liste di elettori da cui erano assenti, quando non erano trascurate persino dai censimenti. Porle al centro dei programmi di sviluppo. Ed ecco scuole gratuite, assistenza medica gratuita (chiunque passeggi per una strada messicana resta colpito dal gran numero di storpi, dovuto al costo delle cure), programmi impressionanti di edilizia popolare (mezzo milione di nuovi alloggi), costruzione di università, assegnazione di terre coltivabili, diffusione capillare dell’informatica. I proventi del petrolio usati a beneficio della popolazione, e non delle multinazionali.
Nel 1917 Mario Missiroli, direttore de “Il Resto del Carlino”, scrisse un pamphlet. Si intitolava La repubblica degli accattoni. Denunciava ciò che il socialista Giuseppe Massarenti era riuscito a fare nella sua Molinella. Un quinto del bilancio comunale – che scandalo! – a sostegno dei poveri. Ambulatori gratis, mense gratis, scuole gratis, turnazioni di lavoro per i disoccupati, opere pubbliche concesse alle cooperative. Un enorme spreco di denaro.
Oggi, in riferimento al Venezuela, i Missiroli (divenuto poi fascista, sia pure critico, e firmatario del Manifesto sulla razza), si sprecano. Si chiamano Ciai, Mastrantonio, Morlino, Cotroneo. Detestano la nuova “repubblica degli accattoni”, ribelle al neoliberismo e al nuovo ordine occidentale. Ne condannano l’assistenzialismo, la mania di nazionalizzare i beni di interesse pubblico che erano stati ceduti ai privati, l’insofferenza verso le costrizioni del capitale globale. E, per suggellare la scomunica, chiamano in campo l’autoritarismo. Di Chávez, ma ancor più di Maduro. Non si aspettavano che, morto il loro spauracchio, un altro chavista avrebbe vinto e rivinto. Un ex lavoratore dei trasporti. Per definizione confuso, pasticcione, impreparato in economia.
Non se lo aspettava nemmeno l’opposizione venezuelana. Vista sfumare l’ultima possibilità di rovesciare il governo per via legale ha scelto di rendergli la vita impossibile, in due diverse maniere. La prima economica, con aggiotaggio, accaparramento dei beni, disagi alimentati ad arte, blocchi della distribuzione. Quando Maduro, dopo avere cercato invano il dialogo, ha abbassato per legge il ricarico sul prezzo delle merci dal 1000% al 30% del loro valore monetario, la rabbia è esplosa ed è divenuta violenza di strada, nei quartieri residenziali della capitale e nelle province in mano alla destra. Braccio armato (il “braccio secolare” di cui dicevo), gli studenti delle università private. Loro bersaglio, tutti i simboli dell’assistenzialismo governativo: ambulatori per i poveri, spacci a prezzo politico, case popolari in costruzione, camion per il rifornimento di beni alimentari. Ci sono stati 19 morti, di cui solo quattro attribuibili a uomini in divisa, finiti sotto inchiesta. Gli ultimi due assassinati: un poliziotto e quello che diremmo un pony express, freddati da cecchini. L’agente scortava un autocarro della nettezza urbana che cercava di liberare le strade di un quartiere residenziale bloccato dagli abitanti. Il giovane dava una mano per poter fare il suo lavoro.
Eppure, i media occidentali, nella loro stragrande maggioranza, non amplificano che le voci di una destra pochissimo presentabile, che denuncia “torture” (documentate a furia di rozzi collages: vedi qui), “miseria” (in realtà l’ultima delle preoccupazioni dei ceti privilegiati, tanto è vero che i loro figli devastano per prima cosa i supermercati con prezzi controllati), “repressione” (gli arrestati vengono regolarmente rimessi in libertà, a parte il sobillatore Leopoldo López, legato al Tea Party statunitense) e, naturalmente, “dittatura” (sebbene tutti i quotidiani del paese siano in mano all’opposizione). L’intento sembra essere quello di “fare come in Ucraina” o di provocare un intervento esterno. Peccato che ne manchino completamente le condizioni.
Resisterà la repubblica degli accattoni all’offensiva dei Missiroli del XXI secolo? Certo, la sua colpa è grave. Ha rifiutato il neoliberalismo, questa magica ideologia che, come chiunque può vedere ogni giorno, crea ricchezza a fiumi, occupazione, benessere diffuso in ogni parte del mondo. Chissà come mai gli accattoni, invece di pentirsi e di sottomettersi alla giusta punizione squadristica, paiono affezionati al loro modello obsoleto e inefficace, incentrato sui bisogni.
Forse la masnada è ancora condizionata da colui che Oliver Stone, nel documentario che presentiamo qui sotto (in spagnolo), ha il coraggio di chiamare “Il mio amico”.