di Sandro Moiso
Tears of rage, tears of grief
Why am I the one
who must be the thief?
Come to me now, you know
We’re so alone
And life is brief1
Rabbia. Il minimo comune denominatore di gran parte del migliore cinema americano dalla fine degli anni sessanta in poi. E nel film di John Wells, I segreti di Osage County, sceneggiato da Tracy Letts che è anche l’autrice dell’opera teatrale da cui è tratto2 , di rabbia ce n’è tanta. Una vera esplosione di rabbia e frustrazione. Tutta al femminile e quasi sempre incompresa nelle sue ragioni profonde.
Rabbia. Intorno e dentro ad una riunione di famiglia in occasione della scomparsa del patriarca (interpretato da Sam Shepard). Morte cercata? Annunciata? Ignorata da chi per troppo tempo aveva condiviso i problemi del matrimonio e della maternità senza, mai, condividerne la gioia? Ma esiste la gioia nel matrimonio e nella famiglia per una donna? Per tutte le donne? La commedia nasconde spesso la tragedia e un’autrice donna può far letteralmente esplodere la poetica aristotelica. Da cui, sicuramente, elimina l’epica.
L’epica resta per gli uomini: l’eroismo, il sacrificio volontario, il conflitto con il padre. Tutto ciò che sa di sublime è destinato agli uomini. Edipo, da Sofocle a Freud, è dramma e problema maschile. Come nella lettera al padre di Kafka o in decine di altre opere. La donna, la moglie, la figlia si sacrificano per dovere. Tale è la condizione femminile. Sembrerebbe per natura oggettiva. E quindi non può esserci eroismo, non può esserci pathos.
Il conflitto madre-figlia, spesso il più drammatico poiché si svolge all’ombra dell’apparentemente imperturbabile autorità maschile, resta troppo spesso fuori dal campo visivo. Nascosto, escluso, proibito. E’ il non detto dell’anoressia, è la ribellione silente di coloro che, non potendo scalzare il dominio patriarcale, sono costrette a rivolgere gli artigli verso le proprie simili. Così il dolore diventa furia, scherno, odio. Di solito rimosso o trattato come follia.
Rabbia e follia. Il destino delle donne forti. Più forti dei loro uomini anche se la società, anche quella di oggi, non vuole davvero sentirlo dire. E loro non lo possono dire. Devono chiudersi in difesa e rasentare la follia. Oppure volare via con la testa con la dipendenza dai farmaci. O dall’alcol. Perché la famiglia è, comunque, sacra. Per l’uomo, altrimenti a cosa varrebbe ancora la sua autorità? Uomo cui si può e si deve perdonare qualsiasi debolezza e qualsiasi viltà, mentre per la donna non è perdonabile nemmeno l’invecchiamento fisico.
Invecchiamento fisico, che fa scontare alle donne troppo forti il loro peccato principale: la forza di carattere appunto. Quella che non può essere perdonata o ammessa. Che se si manifesta nell’adolescenza deve essere derisa, mentre nella maturità deve essere trattata come una malattia. Anche nel cristianissimo ed evoluto occidente. Anche nell’estremo occidente della provincia americana. On the Great Plains of Oklahoma. Dove la moglie di uno scrittore e docente universitario, poeta colto ed intelligente, resta comunque e sempre, prima di tutto, una moglie.
Rimane il problema della colpa originaria che, proprio nel cristianesimo, viene attribuita alla donna. Tentatrice e irresponsabile se non lavora, ma, allo stesso tempo, colpevole e deprecabile se per il lavoro trascura affetti e doveri famigliari. Colpevole sempre e guai a lei se si ribella contro un’attribuzione di colpa troppo spesso profondamente interiorizzata dalle stesse interessate. Colpa che produce frustrazione, paura ed è causa di conflitti. Anche tra sorelle.
Sorelle in lotta per lo stesso uomo. Sorelle che si amano e si odiano. Sorelle vittime della stessa colpa e, magari, dello stesso uomo. Non occorrono i serial killer per far soffrire le donne. Possono soffrire in ambito domestico anche senza violenze. Anche se quelle sono state sofferte in gioventù, in una società arcaica, e non durante l’età adulta. Vittime del fascino maschile. In nome del perbenismo e della norma occorre digerire tutto. Ma fin dove e fino a quando?
E poi ci sono tutte le altre donne: le figlie deboli, impaurite, incerte, smarrite. Non c’è pietà nemmeno per loro. Se vogliono possono accompagnarsi ad un imbecille o a un cretino pieno di soldi. Naturalmente mettendo da parte orgoglio, speranze e rassegnandosi. Così è, così è stato e così sempre sarà. Solo rabbia e follia sembrano poter sfuggire a tale destino. Anche se colei che le manifesta è condannata, inevitabilmente, alla solitudine.
Tutto ciò, e molto altro ancora, è evidenziato in quella che per ora si è rivelata la miglior pellicola dell’attuale stagione cinematografica. Bravi tutti gli interpreti, anzi le interpreti, da Juliette Lewis a Julianne Nicholson. Bella la fotografia con un che di anni settanta nel taglio delle inquadrature e nella scelta della luce. Standing ovation, infine, per Meryl Streep e Julia Roberts. Magnifiche interpreti di una madre e di una figlia “vittime” dello stesso carattere forte ed accomunate da un identico destino di solitudine.
Lacrime di rabbia, lacrime di angoscia / Perché devo essere l’unico colpevole / Vieni da me adesso, tu lo sai / Siamo così soli / e la vita è così breve (Bob Dylan, Richard Manuel, Tears of Rage, The Basement Tapes, 1967-1975) ↩
Tracy Letts, Agosto, foto di famiglia, Rizzoli 2014, pp. 208, euro 10,00 ↩