di Sandro Moiso

sierra charribaSoldato, io sono Sierra Charriba. CHI MANDERETE CONTRO DI ME, ADESSO?!” (Sam Peckinpah, 1964)

Più la crisi istituzionale, economica, sociale e politica italiana tende ad avvitarsi su se stessa, più tornano a risuonare nella memoria le parole dette con ferocia da un capo apache ad un ufficiale dell’esercito americano, appeso a testa in giù su un fuoco acceso, nelle prime scene di un classico del cinema western dei primi anni Sessanta. “Sierra Charriba” appunto.

E’ chiaro che nei panni del capo guerriero non è individuabile una particolare forza politica o sociale, ma è possibile confondere la sua figura con quella della crisi attuale e nei panni del disgraziato ufficiale si può cogliere l’infelice destino degli uomini di governo che si sono succeduti, inizialmente in grande spolvero e con grandi squilli di trombe, sulla poltrona della presidenza del consiglio italiana nell’arco degli ultimi ventisette mesi. Monti, Letta e, ora, Renzi. Tutti finiti o destinati semplicemente a mordere la polvere del fallimento personale e politico.

Gli stessi tre governi succedutisi nel tempo sembrano, infatti, ripercorrere il destino di quel film.
Nato per durare 278 minuti, fu ridotto, prima ancora di andare nelle sale, a 156. Poi, viste le critiche negative a 136 e, infine, si attestò su una durata di 123 minuti. Come dire: il governo dei tecnici salvatori della Patria durò circa quindici mesi. Il governo fotocopia Letta è durato nove mesi e quello Renzi, se tutto andrà bene, probabilmente sei.

Un altro aspetto che unisce l’attuale momento della crisi italiana e del suo più recente governo con la trama del film è dato dal fatto che, in entrambi i casi, l’attenzione si focalizza su un comandante arrogante e già fallito che nel film veste i panni del maggiore Dundee (interpretato da Charlton Heston) mentre nella nostra dimensione temporale veste quelli, più dimessi, del Sindaco d’Italia (interpretato da uno scadente Matteo Renzi).

dundee 1 I “migliori” hanno già fallito nei loro intenti, adesso tocca ai secondi, anzi ai terzi. E probabilmente ultimi. Uno, Dundee, è già stato precedentemente allontanato dal comando operativo per motivi legati all’abuso d’alcol. L’altro, Matteuccio nostro, il comando non lo ha neppure mai visto essendosi dovuto genuflettere davanti alla volontà di sua maestà Re Giorgio I (e unico).
Uno comanda uno squallido campo di detenzione per prigionieri sudisti in prossimità del confine messicano, l’altro dovrà condividere talamo e servizi con un roditore d’aspetto umanoide.

Il primo vive ai margini della guerra civile che dissangua gli Stati Uniti facendo finta di essere ancora un valido soldato, mentre il secondo vive ai margini delle decisioni prese a monte dal potere finanziario europeo ed internazionale illudendosi e fingendo di contare qualcosa di più di una cacca di mosca su un vetro impolverato. Pronti entrambi ad essere divorati, come i figli di Crono, proprio da quella gloria e da quel potere così intensamente desiderati e mai realmente meritati.

Entrambi contano su un reparto di brocchi, i peggiori rappresentanti dell’esercito sudista e nordista da un lato e della politica e dell’economia italiana dall’altro. Nel primo reparto, quello di Dundee, vediamo sfilare davanti a lui (per preparare la lista): ladri di cavalli, alcolisti, vigliacchi, razzisti, desperados e bravi di ogni risma ed età. Nell’altro abbiamo visto presentarsi alla conta per i ministeri un dirigente delle Coop rosse, una rappresentanti della “giovane” Confindustria, un killer inviato dall’OCSE, la nuora di Re Giorgio oltre ai soliti mercenari alfaniani e vari nani e ballerine accomunati dalla giovane età.

Entrambi devono fare i conti con uno schieramento poco affidabile e profondamente diviso al proprio interno. Tra sudisti e nordisti, bianchi e neri quello di Dundee. Tra mercenari della politica di ogni colore e prezzo quello del giovane rampollo del fu Partito Popolare. In bilico costante tra il cadere negli agguati degli apache o dei lancieri francesi, ancora, il primo e in bilico costante tra i possibili agguati di Berlusconi, di Alfano o dello stesso PD il secondo.

Nella versione definitiva del film il reparto di Dundee raggiunge Sierra Charriba e lo sconfigge a costo di ingenti perdite per poi doversi scontrare con le truppe francesi, che in quel periodo occupavano il Messico, prima di poter riattraversare decimato il Rio Grande. Mentre nel film attuale il governicchio si farà ulteriormente bastonare in Europa e in Italia a seguito dei sicuramente disastrosi esiti delle elezioni europee e dei suoi cadaverici, già fin dalla partenza, programmi di governo.

sierra charriba 1 Sam Peckinpah, regista anarchico ed irriducibile al mainstream hollywoodiano, finì col disconoscere quel film troppo tagliato e modificato nel finale, che lui avrebbe voluto sanguinosissimo e senza superstiti. Noi abbiamo già disconosciuto questo squallido re-make dei governi Monti e Letta e, così pure, non possiamo far altro che auspicare un finale senza salvezza e senza superstiti per il drappello in carica. Inutile e senza gloria doveva essere la missione di Dundee per il regista americano, inutile, dannosa e odiosa sarà sicuramente la missione di Renzi per il movimento antagonista e di classe. Fino alla sua caduta. E a quella del comandante in capo di tutte le ultime missioni che vedremo, nei titoli di coda, mordere la polvere mentre un cavallo lo trascina nel deserto con il piede ancora impigliato nella staffa.

The Harder They Come, The Harder They Fall” (Jimmy Cliff, 1972).1

Ancora una postilla di carattere metodologico
Perché tracciare un parallelo tra una pellicola semisconosciuta di un pur grande regista e l’attuale situazione politica? Per semplice amore del détournement di carattere situazionista o, forse, anche per altro? Certamente il détournement, lo spiazzamento e la decontestualizzazione di un immagine o di un frammento di discorso è ancora molto utile al fine di non irrigidire il discorso politico in parametri definiti una volta per tutte e insopportabilmente marchiati dai sofismi del politichese. Ma la scelta del cinema significa anche la scelta di una lettura dinamica della realtà, molto diversa da quella fotografica che può essere molto precisa, ma sicuramente statica. Oggi, di fronte ad una situazione in rapida evoluzione, almeno sul piano del potere politico e delle istituzioni e del loro rapporto con le classi sociali di riferimento, è possibile rilevare, troppo spesso e proprio tra coloro che la dovrebbero avversare, una lettura schematica e sostanzialmente rinunciataria degli avvenimenti in corso, sia sul piano nazionale che internazionale.

Eppure, eppure… il frenetico succedersi dei governi vorrà dire pure qualcosa. Forse la classe dirigente non ha paura dei movimenti di classe che tardano a manifestarsi, ma teme le fratture interne a quello che dovrebbe il suo schieramento e nella propria area naturale di consenso. E di questo occorrerà tenere conto per poter comprendere le tempeste in arrivo.

Il pensiero politico radicale e l’analisi dialettica delle contraddizioni sociali, quella vera e non stravolta e mummificata dallo stalinismo nelle sue varie forme, ci dovrebbero insegnare a fare i conti con il reale e non con gli schemi e sapere che in ogni situazione è sempre necessario saper discernere quali potranno essere le condizioni più favorevoli per lo sviluppo della lotta di classe futura. Rinviare ad una migliore situazione o, ancor peggio, delegare ad altri i propri compiti politici non solo non serve a nulla, ma è anche estremamente dannoso per la sopravvivenza di un programma e di un progetto di autentico cambiamento. Marx insisteva su due cose: la prima era costituita dal fatto di non essere marxista e la seconda basata sulla considerazione che “Il capitale” costituisse un modello dello sviluppo delle contraddizioni capitalistiche, ma non la ricostruzione del loro svolgimento in ogni istante della loro storia. In entrambi i casi era sottinteso un pensiero che rifiutava di farsi imbalsamare in uno schema rigido di fronte ad una realtà sempre fluida e, talvolta, apparentemente imprevedibile, ma con cui occorre sempre fare i conti traendone insegnamenti e previsioni. Anche per evitare che il modello di Kiev trionfi nelle future lotte sociali europee.

Nuovamente… Dixi et salvavi animam meam


  1. da ascoltare, possibilmente, nella versione di Johnny Thunders e Wayne Kramer, riuniti nei Gang War tra la fine del 1979 e i primi mesi del 1980