di Simone Scaffidi Lallaro
[Questo testo verrà radiofonizzato e trasmesso su Radio Città Fujico nel programma Vanloon curato da Il Caso S. in onda/streaming sabato 18 dalle 12 alle 13]
Il 20 novembre la deflagrazione di un ordigno collocato nel portone del civico n. 20 di Via Giacchero – in pieno centro cittadino – provoca la morte della signora Fanny Dallari (82 anni), avvenuta il giorno seguente, e di Virgilio Gambolati (71 anni) – verificatasi tre mesi più tardi a causa delle ferite riportate. Si tratta di uno dei dodici attentati dinamitardi che colpiscono Savona tra la primavera del ’74 e quella del ’75, il picco più alto di tensione politica vissuto dalla città dal dopoguerra in avanti. L’attentato irrompe in città con tutta la sua violenza e verrebbe da scomodare De André – che l’anno prima scriveva «io con la mia bomba portò la novità, la bomba che debutta in società[1]» – se non fosse che in Italia le bombe esplodono da almeno cinque anni. Nessuna novità dunque e pochi dubbi sui colori che si celano – e vengono complicemente celati – dietro gli attentati dinamitardi. Ricordarlo è importante soprattutto in questi tempi di becero revisionismo storiografico, pensiamo alla recente fiction Gli anni spezzati ma anche al film di Marco Tullio Giordana Romanzo di una strage o al testo Il segreto di Piazza Fontana dello storico Paolo Cucchiarelli.
In una città come Savona nel 1974 gli attentati non te li aspetti. Le organizzazioni neofasciste da più di trent’anni non hanno cittadinanza e la sinistra extraparlamentare più radicale è inconsistente. Il Pci domina incontrastato la scena politica e la conflittualità sociale e sindacale si attesta su posizioni moderate. Eppure le bombe non si fanno aspettare: sette in soli quindici giorni nel novembre del 1974. Colpiscono edifici pubblici, abitazioni private e infrastrutture.
Ordine Nero – organizzazione neofascista di squisita matrice terroristica nata dalle ceneri di Ordine Nuovo – rivendica la paternità di alcune azioni[2]. La stampa azzarda la suggestiva ipotesi che Savona rappresenti un laboratorio di azione terroristica per testare la reazione della popolazione in vista di un futuro colpo di stato. Non è da escludersi però la possibilità di un succedersi irregolare di attentati neofascisti[3] – a seguito della progressiva disgregazione del movimento eversivo di destra – con l’obiettivo di destabilizzare il sistema. In quel momento, infatti, le forze eversive di estrema destra venivano colpite, con grave ritardo e per la prima volta, dall’azione repressiva dello Stato[4] e contemporaneamente scaricate dalle connivenze interne ai servizi segreti[5].
Detto ciò, nonostante il bilancio di dodici attentati, due morti e una ventina di feriti nessuna inchiesta porta a risultati e polizia e magistratura non individuano nessun colpevole. Nel mese di novembre, il susseguirsi e l’impressionante costanza degli attentati – praticamente uno ogni due giorni – provocano la reazione popolare. Si assiste a una mobilitazione dal basso spontanea e capillarmente diffusa sul territorio al fine di prevenire altri attentati. Prende così forma un movimento che trova immediatamente nei Consigli di quartiere feconde strutture attraverso le quali tradurre l’iniziale e confuso spontaneismo in autogestita vigilanza civile.
Il terreno è fertile. Tra il 1969 e il 1974 sorgono in città ben quattordici Consigli di Quartiere – l’ultimo dei quali sotto impulso degli attentati dinamitardi – che arrivano a coprire la quasi totalità dell’area comunale[6]. Questi si riuniscono nei luoghi storici di aggregazione sociale dei vari rioni – per la maggior parte dei casi si tratta di Società di Mutuo Soccorso e, benché la loro capacità d’intervento politico rimanga limitata, creano i presupposti per «nuovi spazi di partecipazione e conflitto sul tema della qualità sociale e dello sviluppo urbano»[7].
Il presidio costante ed auto-organizzato dei quartieri va avanti per tutto il mese di dicembre. Sul finire del mese di gennaio ha una flessione per poi riprendere con forza all’indomani degli attentati di febbraio[8]. In alcuni Consigli di Quartiere, come quello di Savona Ponente, i volontari si dotano di tesserino identificativo e i presidi del territorio sono organizzati meticolosamente:
Dividemmo il quartiere in nove zone. Poi si pensò di organizzare le persone anziane, assieme alle donne, durante il giorno, che avrebbero dovuto vigilare davanti ed attorno alle scuole e nei punti più disparati. Prima dell’inizio della giornata scolastica, veniva esercitato un accurato controllo all’interno delle scuole. Dopo che i bambini erano entrati, con i cancelli chiusi, la vigilanza continuava all’esterno, sino all’orario di uscita. Questo giorno dopo giorno.
Invece la notte diventò il momento degli uomini che a gruppi di tre avevano il compito di sorvegliare gli edifici scolastici […]. Altri controllavano la S. M. S. e la parrocchia, ed infine diversi gruppi sorvegliavano le strade ed i caseggiati. Tutti i portoni sia di giorno che di notte, dovevano tassativamente essere chiusi. I muri di cinta della CHEVRON, dove nei suoi enormi serbatoi erano depositati milioni di litri di carburante venivano anch’essi sorvegliati con occhi di riguardo perché bastava poco a far saltare in area mezza Savona.
Si controllavano le strade, specie in entrata al quartiere […]. I veicoli che sembravano sospetti, venivano da noi segnalati alle forze di polizia. Ognuno di noi portava in tasca un tesserino di riconoscimento, riportante tutte le generalità ed il numero della carta di identità. Le tessere intestate al Quartiere di Savona Ponente erano rilasciate soltanto dal Comitato Unitario Antifascista. Al braccio ad ognuno di noi era legata una fascia rossa, con su scritto, con pennarello nero, “Consiglio di Quartiere – Savona Ponente”.[9]
È bene sottolineare che le forze istituzionali cavalcano l’onda del movimento, non avviene il contrario. L’indirizzo che il Partito Socialista dà ai suoi militanti è di partecipare e promuovere le azioni di mobilitazione democratica che stavano sorgendo su iniziativa degli organismi di base quali consigli di quartiere, società di mutuo soccorso, sezioni dell’ANPI e sindacati[10]. E l’allora segretario della CGIL riconoscerà che l’organizzazione della vigilanza «è un fatto che è venuto veramente dal basso dai quartieri»[11], non nasceva dal sindacato che l’ha certamente sorretta ma non ne è stato il promotore. Non c’è dubbio però che il movimento, pur mantenendo una sua autonomia organizzativa, subì o accolse l’egemonia culturale del Partito Comunista. Le posizioni degli organismi di base in riferimento alle forze di polizia coincisero con le politiche perseguite dal Pci, sia a livello nazionale che locale, le quali facevano eco alla volontà del Partito di riappropriarsi di un certo senso di identificazione con lo Stato.
Si palesa dunque un conflitto tra cittadinanza e istituzioni che non si traduce in scontro frontale ma rimane sotterraneo e contraddittorio. L’esigenza di spazi alternativi che includano la base nel sistema di rappresentanza cresce attraverso la voce dei Consigli di quartiere. I quali rivendicano luoghi di espressione e socialità che le forze politiche non garantiscono. La conflittualità sociale, a bassa intensità rispetto ad altre realtà del paese – sia in termini di pratiche di lotta al di fuori dei confini democratici che di contrapposizione con le forze di polizia –, si manifesta con forme diverse rispetto ai centri della violenza politica. Qui il conflitto non va ricercato in consuete contrapposizioni rossi/neri, stato/nemici dello stato, ma è altrove, meno eclatante e vistoso ma non per questo meno significativo: si tratta infatti di mettere in discussione il sistema di rappresentanza istituzionale con pratiche quotidiane di democrazia partecipativa e di decentramento dei poteri.
Note
[1]F. De Andrè, Al ballo mascherato, «Storia di un impiegato», 1973.
[2]Cfr. “Il Secolo XIX” 05-05-’74, qui vengono pubblicate le foto delle rivendicazioni di Ordine Nero; “Il Secolo XIX”, 27-11-’74, p. 1; “L’Unità”, 10-11-’74, p. 6; “L’Unità”, 17-11-’74, p. 5
[3]Cfr. Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta, Roma, Donzelli, 2005.
[4]Il 21 novembre 1973 Ordine Nuovo viene sciolto e dichiarato fuori legge dal Ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani.
[5]Cfr. Franzinelli, La sottile linea nera, cit., p. 10; Giorgio Bocca, Il terrorismo italiano 1970/1980, Milano, Rizzoli, 1981, p. 55; AA.VV., La strage di stato, cap. 5.
[6]Cfr. R. Bonfanti, L. Batkovich Ferrari, Una nuova democrazia nasce dalle città, «Quaderni del CRES», Savona, M. Sabatelli Editore, 1979.
[7]C. Papa, Alle origini dell’ecologia politica in Italia, in L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, Roma, Rubettino, 2001, p. 419.
[8]Cfr. Comunicato del Comitato Unitario Antifascista del Quartiere di Lavagnola del 25 febbraio 1975, in Archivio dell’ANPI provinciale di Savona.
[9]M. Tissone, “È una bomba fascista quella esplosa nel palazzo dove abitava il Sen. Varaldo” diceva la gente in ISREC, 35° anniversario delle bombe di Savona, «Quaderni Savonesi», 17, 2009, p. 59.
[10]F. Carega, Le decisioni del P. S. I. savonese in ISREC, 35° anniversario delle bombe di Savona, cit., p. 53.
[11]Testimonianza di S. Imovigli in M. Macciò, 1974-75 Le bombe di Savona, Savona, L-Editrice, 2008, p. 26.
Per approfondire
B. Armani, Italia anni Settanta. Movimenti, violenza politica e lotta armata tra memoria e rappresentazione storiografica, «Storica» 32, 2005.
G. Bocca, Il terrorismo italiano 1970/1980, Milano, Rizzoli, 1981.
R. Bonfanti, L. Batkovich Ferrari, Una nuova democrazia nasce dalle città. Pagine del movimento partecipativo savonese, «Quaderni del CRES», Savona, Marco Sabatelli Editore, 1979.
G. Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta, Roma, Donzelli, 2005.
M. Franzinelli, La sottile linea nera. Neofascismo e servizi segreti da Piazza Fontana a Piazza della Loggia, Milano, Rizzoli, 2008.
Istituto Storico Della Resistenza e dell’Età Contemporanea della Provincia di Savona, 35° anniversario delle bombe di Savona (30 aprile 1974 – 26 maggio 1975), «Quaderni Savonesi. Studi e ricerche sulla Resistenza e l’Età contemporanea», 17, 2009.
M. Macciò, 1974-75 Le bombe di Savona: Chi c’era racconta, Savona, L-Editrice, 2008.
S. Scaffidi Lallaro, Bombe a ponente. Savona 1974-1975 in Sotto attacco. La violenza politica in discussione, «Zapruder. Storie in movimento. Rivista di storia della conflittualità sociale», n. 32, settembre-dicembre 2013.
M. Tolomelli, Italia anni ’70: nemico di Stato vs Stato nemico, «Storicamente», 1, 2005.
C. Venturoli, La storiografia e le stragi nell’Italia repubblicana: un tentativo di bilancio, «Rivista Storia e Futuro», 11, 2006.