di Claudia Boscolo
È notizia di questi giorni che il Comune di Brescia ovvierà alla scarsità di fondi ormai drammatica in cui versano le scuole di questo Paese con una iniziativa, che si rivela deleteria su almeno due fronti, e creerà molti più danni di quanto beneficio potrà apportare.
L’assessore Roberta Morelli ha accolto la richiesta pervenutale dagli istituti di istruzione del Comune di Brescia di creare un albo degli ex insegnanti in pensione, che si mettono a disposizione per insegnare la lingua italiana agli studenti migranti e al quale i dirigenti potranno attingere per sopperire alla carenza endemica di personale nelle scuole. L’iniziativa parte dal fatto che le scuole non sono più nelle condizioni di inserire nel bilancio la spesa per i facilitatori linguistici, ovvero gli insegnanti specializzati nell’insegnamento dell’italiano come lingua seconda che operano nelle scuole e nelle realtà sociali presenti sul territorio.
Non è pensabile che il Comune di Brescia (e ciò vale anche per gli altri Comuni) stanzi fondi per i facilitatori linguistici, in modo da andare incontro alle esigenze delle scuole, in quanto notoriamente le casse dei Comuni sono vuote. Tuttavia, l’iniziativa partita dalle scuole e accolta dall’assessore Morelli rivela molto di più di quanto possa apparire a un primo sguardo.
Apparentemente, infatti, la lodevole e proverbiale buona volontà dei pensionati va a risolvere un problema gravissimo con cui tutte le scuole del Paese si confrontano ogni anno a settembre: la presenza massiccia di studenti migranti nelle scuole, alcuni con insufficiente competenza nella lingua italiana tale da impedire la normale partecipazione alle lezioni e alla vita di classe. Questi studenti necessitano di essere seguiti passo dopo passo nell’acquisizione delle competenze di base e più avanzate, di modo da inserirsi nel modo più veloce ed efficace nel contesto di classe e poter entro breve tempo integrarsi nel contesto scolastico e sociale. Si tratta di un passo fondamentale dell’iter di integrazione dei migranti, non solo degli studenti ma anche delle loro famiglie, che attraverso l’esperienza scolastica dei figli entrano a far parte di un tessuto sociale, e spesso, proprio grazie ai figli, imparano la lingua o comunque migliorano le proprie competenze linguistiche. Molto spesso i figli agiscono da intermediari con la burocrazia del Paese: sono quindi un anello fondamentale della corretta integrazione di interi nuclei famigliari nel territorio in cui essi lavorano, usufruiscono dei servizi della comunità e contribuiscono a sostenerne le spese attraverso il fisco. Non è solo miope, è soprattutto molto grave che non si consideri il contributo che gli immigrati portano al Paese, non solo in termini culturali, ma in termini molto concreti di gettito fiscale e di indotto, parte del quale è proprio l’insegnamento della lingua italiana.
L’insegnamento della lingua italiana ai migranti è una attività professionale che si differenzia da quella svolta da un insegnante di lettere in servizio su una classe di concorso. È un mestiere che richiede molto più di una laurea: richiede una competenza specifica che si acquisisce attraverso Master e corsi di formazione e con anni di esperienza specifica sul campo. In altre parole, insegnare l’italiano agli stranieri non significa banalmente aiutarli nei compiti, o trascorre con loro alcune ore curricolari durante le quali sono costretti a uscire dalla classe, e mancando in molti istituti dei laboratori di lingua adeguati, a sostare nei corridoi con accompagnatori, cioè insegnanti di qualsiasi materia che devono completare l’orario. Con la creazione dell’albo degli ex insegnanti pensionati, questi studenti verranno affidati a volontari, i quali non sono tenuti a seguire programmi, a verificare i progressi, a presenziare ai consigli di classe. Quindi, in buona sostanza, il momento fondamentale dell’integrazione dell’alunno migrante nelle scuole del Comune di Brescia verrà affidato al caso e alla buona volontà dei singoli pensionati volontari. Una vergogna per un Paese che voglia dirsi veramente civile.
Ma cosa significa diventare insegnante di italiano come lingua seconda (L2)? Significa essere in possesso di diplomi e certificazioni, le quali hanno costi pressoché insostenibili dai neolaureati, che tuttavia sono disposti ad affrontarli con l’aiuto delle famiglie d’origine per acquisire un titolo che sia valido per entrare in uno specifico settore del mercato del lavoro nel campo della formazione: quello dei facilitatori linguistici.
Figura professionale di cui si avvalgono le realtà locali come le scuole, i comuni, le associazioni e chiunque si occupi con fondi pubblici o privati del fondamentale tassello del processo di integrazione che è l’apprendimento della lingua, il facilitatore linguistico nella realtà viene impiegato con contratti di prestazione d’opera, i quali non entrano in conflitto con la normativa che disciplina la retribuzione del pubblico impiego, inclusa la professione di insegnante. Infatti, i facilitatori spesso sono insegnanti già impegnati nel normale insegnamento scolastico attraverso graduatoria. Quando il facilitatore non è anche docente scolastico viene per lo più utilizzato a monte ore: in quel caso si tratta quindi di una libera professione. I facilitatori sono lavoratori della cultura sprovvisti di ogni tutela garantita ai lavoratori dipendenti, come sono invece gli insegnanti sia di ruolo sia precari del sistema scolastico italiano.
Un facilitatore tuttavia sa parecchie cose che un insegnante di lettere non sa: sa insegnare una lingua; sa quali approcci e metodi utilizzare e in quale situazione; sa creare attività e materiali adeguati al livello dei discenti; sa progettare percorsi di apprendimento su misura; e soprattutto nella scuola agisce da intermediario fra l’alunno migrante e gli insegnanti di classe, coinvolgendo questi ultimi nel percorso di apprendimento.
Il fatto che non si ritenga più necessario affidare l’educazione linguistica degli studenti non madrelingua a docenti opportunamente formati ed esperti, non solo sottrae lavoro a chi ha investito anni e denaro nella formazione, aumentando la già macroscopica e insostenibile bolla formativa, che nella scuola è esplosa già da tempo. È soprattutto indice che gli studenti migranti rivestono scarsa importanza nella gestione delle risorse scolastiche. Si tratta quindi di una rinuncia doppiamente lesiva, in quando va a ledere il diritto al lavoro di chi si è formato credendo alla necessità di questa figura professionale, e va a ledere il diritto delle famiglie migranti a ricevere un’educazione scolastica per i propri figli che tenga conto dei vari stadi dell’iter di integrazione.
L’iniziativa del Comune di Brescia ha causato una levata di scudi fra gli insegnati di L2. È recentemente partita una campagna di informazione sulle caratteristiche di questa figura professionale, cancellata con un colpo di mano dalla delibera dell’assessore bresciano, con il rischio concreto che esso funga da precedente illustre giustificando simili azioni da parte di altri Comuni, e azzerando da un lato un mercato del lavoro che finora era in espansione, e dall’altro lato andando a limitare i diritti degli immigrati.
Con questa campagna di sensibilizzazione ci si prefigge non solo l’obiettivo di spingere l’assessore e i dirigenti scolastici bresciani a pensare a una soluzione alternativa, ma al di là della contingenza bresciana, si auspica una presa coscienza dei danni gravissimi che sta causando la politica economica di questo Paese, che costringe scuole e comuni ad arrangiarsi. Il problema infatti non è l’assessore Morelli, che comunque non avrebbe dovuto avallare una richiesta così incongrua da parte dei dirigenti scolastici, ma semmai trovare i fondi:il problema come sempre è a monte.
Un Paese civile ed europeo che spinga il proprio sistema scolastico a trovare soluzioni di fortuna e ad avvalersi del volontariato perché non più in grado di retribuire adeguatamente personale specializzato deve iniziare a giustificare con argomenti solidi e credibili la scelta di finanziare altri settori a discapito dell’istruzione, lasciando a casa contingenti di lavoratori già privi di adeguate tutele. Si tratta di una strategia miope, che non tiene conto degli aspetti più positivi dei movimenti migratori, delle occasioni sociali, culturali e lavorative che questi movimenti creano. Una politica economica e culturale fallimentare, votata all’annientamento di impulsi su cui è necessario invece iniziare a costruire, modificando le normative e impiegando i fondi pubblici in maniera produttiva, cosa che questo Paese – ostaggio da troppi anni di una classe politica impresentabile – ha ormai disimparato a fare.
La campagna contro l’albo dei pensionati per l’insegnamento della lingua italiani ai migranti a titolo volontario è promossa da Lavoro culturale e dal blog per il Riconoscimento della professionalità degli insegnati di L2/LS.