di Carlos Alberto Lungarzo

Gli scenari occulti de caso Battisti

[Pubblichiamo la traduzione dell’Introduzione del libro dell’attivista e accademico argentino Carlos Lungarzo Os cenários ocultos do caso Battisti (Geração, 2013, pp. 384, 45 Rs). La Prefazione del libro è uscita la settimana scorsa Qui].

“Sa”, diceva Napoleone a Fontanes “qual è la cosa che più mi sorprende al mondo? L’impotenza della forza per fondare qualsiasi cosa. Non ci sono più di due potenze al mondo: la sciabola e lo spirito.  Alla fine la sciabola è sempre sconfitta dallo spirito”.

Albert Camus, Les Amandiers in L’Eté.

Di per sé una difesa di Cesare Battisti avrebbe bisogno di vari libri, come già successo in altri casi famosi di linciaggio giudiziario e politico, ma il caso dello scrittore italiano dà l’occasione d’analizzare anche la situazione dei diritti umani sia nella società brasiliana che in quella italiana, così come il movimento d’insieme dell’opinione pubblica. Il famoso psichiatra austriaco Wilhelm Reich ha affermato che i grandi movimenti di masse alienate che inneggiano alla guerra, al razzismo, al linciaggio e ad altre crudeltà sono vittime di quello che lui chiama Piaga Emozionale (Emotionale Pest), una situazione studiata anche da Erich Fromm, Hanna Arendt, Herbert Marcuse e vari altri. Questo concetto entra in relazione in modo non esplicito (e, forse, senza la completa comprensione degli autori che l’hanno utilizzato) con la nozione di alienazione di Karl Marx*. Di fatto i feticci che conducono alla piaga emozionale, come il nazionalismo, il patriottismo, la tradizione, la religione, l’obbedienza e le gerarchie sono processi di disumanizzazione di uomini e donne che vengono trasformati in una massa meccanizzata dalle classi dirigenti psicopatiche della società.

Indirettamente ha contribuito alla spiegazione della violenza di massa anche una grande biologa italiana, Rita Levi-Montalcini (Premio Nobel nel 1986). In alcune conferenze e interviste la scienziata ha attribuito la miseria morale ed emozionale della specie umana a uno sfasamento tra l’intelligenza e la sensibilità durante il processo evolutivo. Malgrado questa visione biologica sia più metaforica che operativa, l’approccio viene completato dalla visione sociale dei marxisti non leninisti. Il leninismo è stato (anche se questo non è rilevante adesso per l’analisi) una dottrina della resurrezione degli antichi feticci della società classista sotto l’influenza di valori apparentemente emancipatori.

Giudicando l’alienazione da un punto di vista più vicino al senso comune, vediamo che le aberrazioni umane sono anche il prodotto di un incidente storico: le persone più sfrenate hanno avuto una forza superiore rispetto alle persone normali che ricercavano la felicità e coltivavano la solidarietà. Le maggioranze pacifiche furono soggiogate dai guerrieri che finirono per imporre le loro regole. Così nacquero il patriarcato (infatti, il “maschio” era più forte della “femmina”) e il patriarcalismo (infatti, i vecchi erano più rispettati dei giovani) che imposero l’obbedienza e la repressione sessuale nel loro intorno. Conseguenza immediata di questa cultura sadomasochista sono il militarismo, il razzismo, il nazionalismo e le altre forme di barbarie, la cui legittimazione da parte dei teologi le ha rese quasi invincibili fino ad oggi.

In effetti, a dispetto dell’opinione di Napoleone citata da Camus nell’epigrafe qui sopra, nel mondo esistevano due poteri smisurati e non solo uno: la sciabola e la mistica. Però, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, vediamo che l’umanità va avanti, anche se lentamente, sulla strada della riconciliazione con la sua natura psichica e biologica. E’ la credenza in questo progresso che mi ha spinto a pensare che la scrittura di questo libro non sarebbe stata inutile.

Se il caso Battisti è così singolare e spaventoso, è perché tutti i fattori che si sono unificati per consolidare quest’ondata vendicativa hanno una bassa probabilità di combinarsi nello stesso luogo e tempo e su una stessa persona. Ma, come mostrano i fatti, non era impossibile che accadesse ed è successo a lui, a Cesare Battisti, come sarebbe potuto succedere ad altri. Nell’interazione tra il calvario di Battisti e il telone di fondo della vendetta sociale, era necessaria un’analisi chiara delle frodi commesse dalla magistratura italiana per incolpare lo scrittore e della loro ripetizione da parte dei livelli più alti del potere giudiziario brasiliano. Un’analisi esaustiva dell’aspetto giuridico avrebbe occupato totalmente un volume ben più grande di questo e sarebbe stata soporifera per il tipo di lettore non specialista al quale vorrei far arrivare più gli aspetti vincolati all’intelligenza e alla sensibilità etica del problema che un pesante chiacchierio.

Ho la certezza assoluta che la falsità delle accuse dei tribunali italiani, servilmente ripetute dalla maggior parte dei membri della corte suprema brasiliana nel 2009, resta ampiamente dimostrata. Tutte le visioni irrazionali trasformano i processi concreti individuali in grandi costrutti immaginari ai quali attribuiscono proprietà umane. I militari dicono che il loro paese (i cui abitanti sono tanto diversi come l’umanità intera) è nobile, generoso e coraggioso, mentre i nemici sono codardi, traditori e nefasti. La nostra razza è forte e pura e le altre sono viziose e deboli. La nostra fede è vera e le altre sono false superstizioni. I simboli della morte, come i fucili e le spade, sono sacri. Gli strumenti per aumentare le nostre conoscenze, come i libri scientifici e sociali, diventano carta da ardere nei roghi.  L’estradizione fa parte di questo feticismo. La Nazione è considerata un ente magico, superiore ai governi e alle organizzazioni sociali, e il perseguitato dalla Nazione non è semplicemente un fuggiasco: è una proprietà della Patria che si attribuisce il diritto di riaverlo come se fosse una barca o una merce. E’ interessante notare che i magistrati brasiliani usano l’espressione medievale “suddito italiano” per riferirsi a chi dal secolo XVIII è chiamato, negli ambienti civilizzati, “cittadino italiano”.

Dagli inizi della storia umana vi sono stati innumerevoli frodi e abusi giudiziari, ma solo alcuni hanno raggiunto la notorietà. Sono quelli avvenuti nei tempi moderni, quando esistevano i mezzi di comunicazione che potevano far entrare in azione l’opinione pubblica. Tra questi, ce ne sono vari che sono diventati dei paradigmi dell’intolleranza, la crudeltà e l’insania sociale. Oltre alla solidarietà nei confronti di Cesare Battisti e al dovere di denunciare un abuso, c’è stato un altro fattore che ha motivato la scrittura di questo libro: l’irruzione esagerata dell’alienazione collettiva che spinse alla persecuzione dello scrittore italiano. Si noti, in questi esempi, come tale persecuzione abbia sorpassato qualunque altra caccia disumana tra quelle che hanno lasciato traccia nella storia:

L’ebreo Alfred Dreyfus (1859-1935) fu ‘unico della sua ricca famiglia che optò per una vita da militare in Francia, mosso da fantasie preadolescenziali. Di fatto all’età di 11 anni assistette alla sfilata trionfale delle truppe prussiane nella sua città e restò colpito dal ritmo della marcia e dai colori sfolgoranti delle uniformi. Nessuno sospettava che la vocazione ad uccidere, implicita in quella pomposità impressionante, sarebbe stata ostile a un giovane sensibile e sognatore di una comunità stigmatizzata. Nemmeno si sapeva che sarebbe potuto diventare un complice della peggiore psicopatia umana e che i feticci dell’onore, della patria e dell’eroismo lo avrebbero fatto sprofondare in una prigione brutale su di un’isola deserta, senza aver commesso crimine alcuno.

Nel 1894, quando era capitano, l’esercito l’accusò di aver passato informazioni militari ai tedeschi. Fu sottoposto a un processo falsato e condannato all’ergastolo su un’isola-prigione, però i raggiri di quel processo furono molto minori di quelli del caso Battisti. La difesa del capitano unì molti intellettuali, tra i quali i famosi Émile Zola e Anatole France, che troverebbero i loro corrispettivi attuali in Valerio Evangelisti e Fred Var­gas.

Il caso più simile a Battisti fu quello dell’attivista svedese Joe Hill[i]. Joel Emmanuel Hägglund (detto Joseph Hillström; 1879 – 1915) nacque in Svezia, ma nel 1902 emigrò negli Stati Uniti, dove diventò un operaio e viaggiò per il paese svolgendo diversi lavori e insegnando ai suoi compagni i principi dell’anarchismo e della solidarietà.  Nel 1910 s’affiliò all’ultima grande organizzazione operaia radicale degli Stati Uniti, la Industrial Wor­kers of the World (IWW), in cui adottò l’appellativo di “Joe Hill” e un anno dopo si trasformò in un grande intellettuale del proletariato che componeva canzoni e scriveva poesie.

Messo in fuga dalla disoccupazione e dalla repressione, giunse a Salt Lake City (Utah) nel 1914 e lì, poco dopo il suo arrivo,  il macellaio John Mor­rison, poliziotto in pensione e paramilitare, venne ucciso da due uomini incappucciati. L’establishment della città non ebbe dubbi: Joe, straniero, ateo, povero e anarchico, sarebbe stato il colpevole. I magistrati scelsero 12 cittadini per formare una giuria che avrebbe “invitato” ad emettere un verdetto di colpevolezza in poche ore di “deliberazioni”. Joe, che si dichiarò innocente fino all’ultimo momento, e delle cui presunte azioni non c’erano prove, venne condannato a morte e giustiziato. Lui aveva compreso il montaggio della farsa, denunciandolo sulle pagine del giornale socialista Appeal to Reason:

Siccome il morto era una figura potente, doveva venir fuori un capro espiatorio. Io sono il più adeguato: un lavoratore, un uomo povero, un attivista, un rivoluzionario. Venne fucilato nel 1915. Con grande coraggio, affrontò il plotone d’esecuzione e cercò d’evitare, senza successo, che centrassero i suoi occhi. Nessuno poté impedire, però, che fosse lui stesso a dare l’ordine di far fuoco. Nonostante gli aiutanti della morte che dovevano fucilarlo dovessero obbedire solo ai loro capi, la forza morale del reo commosse le loro anemiche menti… e spararono.

Il caso dei due anarchici italiani, Nicola Sacco (nato nel 1891), operaio in un calzaturificio, e Bartolomeo Vanzetti (nato nel 1888)[ii], venditore ambulante di pesce, fu un immenso circo romano volto a trasformare persone innocenti in capri espiatori. Nell’aprile 1920 un contabile e una guardia di una fabbrica furono assassinati da degli sconosciuti nello stato del Massachusetts. La polizia sapeva che Sacco e Vanzetti erano due attivisti anarchici, anche se non violenti, però, malgrado i loro forti alibi, furono detenuti e accusati, pur in assenza di prove e testimoni.

Diversamente da Battisti in Italia, loro ebbero diritto alla difesa e potettero contare sui migliori avvocati socialisti tra i quali c’era il famoso giuslavorista Fred H. Moore. Un’altra differenza è che mentre Battisti fu accusato di essere il proprietario delle armi dei delitti, i due amici ebbero diritto a una prova balistica, malgrado alla fine il pubblico ministero Frederick Katzmann, con l’aiuto del giudice corrotto Webster Thyler, avesse falsificato le perizie.

Tre testimoni intervennero in loro difesa (Kurlansky, Burns e Guidobone), mentre Battisti non ne ebbe nessuno. Inoltre Battisti nemmeno ebbe degli avvocati reali e meno dei testimoni. I testimoni dell’accusa di Sacco e Vanzetti non erano fantasmi come quelli di Battisti, in quanto avevano reso noti il loro nome, professione e altri dati. Erano: la bibliotecaria Mary E. Splaine, l’infermiera Lola An­drews, il capitano della polizia William Proctor e il calzolaio Lewis Pelser. Tempo dopo i quattro denunciarono che le loro dichiarazioni erano state ottenute per la pressione e le minacce dei magistrati, ma il giudice non permise che depositassero la loro ritrattazione.

Nel 1925 Sacco conobbe in prigione l’immigrato portoghese Celestino Madeiros, membro di una gang violenta, il quale confessò di essere il responsabile della morte del contabile e della guardia; fece il nome dei suoi complici e giurò di non conoscere né Sacco né Vanzetti, ma il giudice si rifiutò di riaprire il caso e di registrare la confessione del vero assassino. Entrambi furono giustiziati nel 1927, dopo sette anni di attesa snervante nel braccio della morte durante i quali ricevettero migliaia di manifestazioni di solidarietà tra cui anche quelle dei più famosi intellettuali di quell’epoca: John Dos Pas­sos, Alice Hamil­ton, Paul Kellog, Jane Ad­dams, Heywood Broun, Wil­liam Patterson, Upton Sinclair, Doro­thy Parker, Ben Shahn, Edna St. Vincent Millay, Felix Frankfurter, John Howard Lawson, Freda Kir­chway, Floyd Dell, Bertrand Russell, Ge­orge Bernard Shaw e H. G. Wells.

Grandi crimini giudiziari sono accaduti anche in Brasile, uno dei pochi paesi in cui dittatori e torturatori adornano coi loro nomi le vie, i quartieri, le scuole e alcune ali del senato. La vittima fu una donna, l’attivista Olga Bená­rio Prestes (1908-1942), compagna del leader comunista Luís Carlos Prestes, spedita dal dittatore Getúlio Vargas, insieme alla sua amica Machla Berger, nella Germania nazista, dove entrambe furono assassinate. Per sacrificare Olga Benário non fu necessaria la fabbricazione di crimini o l’attribuzione di false colpe perché il governo di Vargas e il tribunale a lui sottomesso operavano in modo totalmente arbitrario.

Il caso di Olga fu più commovente di altri perché era in cinta e la sua estradizione avrebbe implicato buttare un neonato in pasto al nazismo. La figlia di Olga, Anita Leocádia Prestes, nacque in Germania, ma fu riportata in Brasile, dov’è restata fino ad oggi lavorando come scienziata e professoressa. Olga rimase prigioniera per sei anni e fu giustiziata nel 1942 nel campo di sterminio di Ber­nburg. Tanto nella Germania Orientale come nell’Unione Sovietica, la sua memoria fu molto acclamata e diede il suo nome a centinaia di luoghi pubblici. In Brasile la sua figura fu riscattata nel libro di Fernando Mo­rais[iii], però prima di questo non esisteva una letteratura su Olga in Brasile. La prima grande esecuzione del Dopoguerra, preceduta da un giudizio spettacolare, avvenne il 19 luglio 1953, quando due intellettuali ebrei comunisti, i coniugi Ju­lius (nato nel 1918) ed Ethel Rosenberg[iv] (nata nel 1915), furono sottoposti ad elettroshock nella prigione di Sing-Sing a New York. Non morirono con la prima scarica. Ethel spirò solo dopo aver ricevuto cinque scariche alle tempie dove gli elettrodi erano mal posizionati e produssero un fuoco che bruciò il suo cranio quand’era ancora viva. La FBI e i militari americani avevano raccomandato l’applicazione di un trucco per prolungare l’agonia: basso potenziale, elettrodi non troppo stretti e senza liquido conduttore affinché le vittime fossero cucinate vive.

Tra i casi più vili di linciaggio giuridico che ebbero una grande rilevanza nei media di quell’epoca, solo due si riferiscono a dei cosiddetti crimini “comuni”. La barbarie contro le persone povere ed emarginate, che non sono legate alla politica, non ha nemmeno la consolazione finale della celebrità. Una di queste riguarda un operaio di colore di 53 o 54 anni, Jimmy Wilson, che fu condannato a morte nel 1958 da una corte di bianchi dello stato dell’Alabama[v]. Il suo delitto fu rubare un dollaro e 95 centesimi  a una donna bianca!

In quasi nessun luogo d’Occidente si sarebbe creduto che fosse possibile siffatta barbarie. In centinaia di città dell’Europa, dell’Africa e delle Americhe si formarono comitati a favore della vittima e le autorità statali e federali americane ricevevano ogni giorno 25mila lettere di sdegno. Cinicamente, per astenersi dall’intervenire, il governo di Eisenhower usò i già ben noti pretesti dell’autonomia degli stati e della separazione dei poteri, ma questa farsa durò poco. Quando l’Unione Sovietica organizzò una grossa protesta contro il razzismo nordamericano, influenzando numerosi governi delle neonate nazioni africane (che furono spinte a mobilitarsi contro Washington), il segretario di stato Foster Dulles, che era stato un fervente ammiratore del partito nazista tedesco, venne preso dal panico e decise di fare pressioni sui razzisti del sud. Il governatore dell’Alabama, Ja­mes Elisha Folsom, un proprietario terriero evangelico e populista, decise di “perdonare” Jimmy e dargli una caritatevole punizione consistente in un “semplice” all’ergastolo. Alla fine poté uscire con la condizionale nel 1973.

L’altro è quello di Caryl Whittier Chessman (1921-1960), un giovane americano che fu accusato dalla polizia della California di una serie di crimini che non poterono mai essere provati e per questo rimase agli arresti per moltissimo tempo, come mai prima era successo ad alcuno. Il sadismo dei suoi aguzzini si realizzò con l’iniziativa di sottoporlo alla pena di morte che gli fu applicata nella camera a gas della prigione di San Quintino.

Avendo commesso alcuni furti, siccome la polizia non era riuscita a identificare un delinquente che aggrediva i conducenti di automobili, il pubblico ministero gli attribuì quest’accusa per favorirsi un’ascesa di carriera. Caryl seppe distinguersi nei lunghi periodi trascorsi in prigione per la sua enorme forza di volontà e la sua eccezionale intelligenza. Fu l’avvocato difensore di se stesso e, sebbene avesse studiato diritto solamente a questo scopo, a dispetto della parzialità di giudici e pubblici ministeri, riuscì a rimandare per anni la sua sentenza. In questo periodo pubblicò quattro libri sulla pena di morte e le arbitrarietà della giustizia che ebbero enormi ripercussioni al livello mondiale.

Il caso Chessman ebbe una notevole influenza in diversi paesi, inclusi alcuni europei, nel mettere in dubbio la pena di morte e la sua successiva abolizione. Tra i suoi sostenitori c’erano la moglie dell’ex presidente USA, Eleanor Roosevelt, e gli scrittori Ray Bradbury e Robert Frost. Il caso Battisti ha molto in comune con tutti questi, ma, nonostante il suo finale differente, supera alcuni di loro in tortuosità e irregolarità. Non lo paragoniamo alla persecuzione che soffrì Lev Trotsky perché questa non fu decisa dai tribunali.

Forse sarebbe più simile a quella dello scrittore indiano Salman Rushdie, condannato a morte nell’agosto del 1989 dalla teocrazia iraniana. Rushdie non vene mai preso e lo sforzo per fargli scontare quella condanna (con un attentato fallito in un hotel di Londra ad opera di Hezbollah) finì per spegnersi. Sono passati 23 anni e, malgrado la sentenza non sia mai stata ritirata, già da tempo Rushdie non è perseguitato concretamente e le poche lettere cariche d’odio che riceve non sono minacce reali. Il caso di Troy Anthony Davis, giustiziato in Georgia (Sud degli Stati Uniti) nel 2011, divenne il più famoso di linciaggio giuridico per motivi di razzismo, ma anche così l’arbitrarietà della sua condanna mostra dei contorni meno tortuosi e insani rispetto a quello dello scrittore italiano.

Cesare Battisti è stato braccato durante 32 anni e nel 2011 i suoi nemici pensavano di prolungare ancora la persecuzione nei tribunali internazionali. Lui rappresenta il caso di una caccia all’uomo tra le più lunghe e fanatiche che ricordi la Storia e sembra molto difficile spiegarne il perché. Quando ogni paragone di un fatto con la realtà è insufficiente, ci rivolgiamo a quanto possa offrirci la finzione. La persecuzione di Cesare si trova sul filo dell’orrore che unisce Jean Valjean, il protagonista de I miserabili di Victor Hugo, e Joseph K, la figura de Il processo di Frank Kafka. Il nostro libro non tratta solamente la persecuzione di Battisti: è una descrizione sintetica dei personaggi che hanno condotto questa persecuzione e dei tenebrosi scenari in cui hanno agito (clicca sulla foto per ingrandire la tabella riassuntiva).

Tabella Lungarzo



* Nel senso di Entfremdung.



[i] Uno dei più completi studi su Joe Hill resta ancora quello di Foner, Philip S.: The case of Joe Hill (International Publishers, 1965)

[ii] Ci sono molte fonti sul caso di Sacco e Vanzetti; una delle più creative e ispiratrici è: Avrich, Paul: Sacco and Vanzetti: The Anarchist Background (Princeton University Press, 1996)

[iii] Morais, Fernando: Olga (Omega, 1985)

[iv] Neville, John F.: The Press, the Rosenbergs, and the Cold War (Praeger Pub­lishers, 1995). Questo libro tratta in modo abbastanza oggettivo il problema dell’esistenza di giustizia negli Stati Uniti, quando i sospettati sono militanti di sinistra.

[v] Il caso di Wilson, malgrado sia stato molto commentato nei giornali dell’epoca, è analizzato in poche opere di ricerca. La più importante è quella di Dudziak, Mary L.: Cold War Civil Rights: Race and the Image Of American Democracy. (Princeton: Princeton University Press, 2000.)

Traduzione dal portoghese all’italiano di Fabrizio Lorusso.