Inferno, di Dan Brown, Mondadori 2013, pag. 522 € 25
di Mauro Baldrati
Il pregiudizio più diffuso è il seguente: essendo un superbestseller non può essere un testo valido dal punto di vista letterario. Per sua natura è di bassa qualità, perché il leone non può essere agnello, la quercia non può essere un albicocco e così via. Ovviamente queste considerazioni sono valide per chi ancora crede nel concetto di Letteratura, nel romanzo inteso in senso novecentesco, perché questo progetto di scrittura è secolare, è millenario, è parte dell’animo umano creativo e non è influenzabile dalle modalità variabili dell’espressione.
In un certo senso sembra partire proprio da questo enunciato lo “scontro” tra alcuni giornali e blog, che l’hanno stroncato pesantemente, e lettori commentatori che si indignano per l’atteggiamento “supponente” dei mammasantissima della critica snob. Le stroncature, che come accade per i bestseller non spostano di un millimetro il successo commerciale del “prodotto”, si equivalgono: “La narrazione – scrive Monica Hesse sul The Washington Post – sembra tratta da una guida Fodor’s, come quando Langdon si interrompe nel bel mezzo di una fuga, in un momento che potrebbe costargli la vita, per ricordare la storia di un ponte. È come cercare di risolvere un mistero mentre un’audioguida ti pende dalle orecchie: ‘Passate sopra questo corpo riverso e digitate 32 per conoscere i dettagli sulla scatola di velluto contenente la maschera mortuaria di Dante, nel Palazzo Vecchio’. Per ulteriori informazioni sugli orari del museo e i giorni di chiusura attendere il segnale acustico, grazie.”
E l’Osservatore Romano: “Gli errori storici non mancano e c’è chi si è già preso la briga di elencarli tutti, ma in fondo i thriller di Dan Brown sono una lettura da spiaggia senza pretese, e in questo caso la Commedia di Dante è solo un pretesto narrativo, una scenografia dipinta a tinte forti per facilitare il lavoro agli sceneggiatori che porteranno ben presto Inferno sul grande schermo. (…) Nel corso della trama (Langdon) cade in ogni trappola possibile, dalle più banali alle più sofisticate, si fida sistematicamente delle persone sbagliate, controlla la mail dal primo portatile che gli capita a tiro fornendo le coordinate precise del suo nascondiglio ai suoi supertecnologici nemici («si può essere così stupidi?» si domanda a pagina 77 uno dei cattivi del libro, a capo del Consortium, una sorta di Spectre internazionale), si perde in divagazioni erudite mentre un commando armato fino ai denti lo attende sotto casa.”
Insorgono alcuni lettori alle critiche sarcastiche e tranchant del magazine Totalità : “Tutta quest’acredine per un libro che si legge e scorre senza problemi a cosa è dovuta? Un tentativo fallito di pubblicare un proprio libro? Sono le classiche recensione negative da sfigati che magari non hanno neppure letto il libro.” (Ale, 7/11)
“E’ che traspare una sanissima invidia per un best seller mondiale che, in quanto tale, deve essere estremamente fruibile. Mi reputo una persona di buona cultura, Lei viene chiaramente da quell’ambiente autoreferenziale e distaccato dal mondo reale chiamato Università, trovo pertanto impossibile prendere sul serio il suo parere. Romanzo avvincente, descrizioni forse prolisse, ma nel contesto niente male assolutamente. Si informi sugli argomenti non letterari trattati, scoprirà un mondo nuovo e trasuderà meno invidia nelle recensioni.” (Catrovacer, 22/08)
Ma insomma, com’è Inferno? Chi ha ragione? Impossibile stabilirlo, perché lo scontro tra recensori inorriditi e lettori indignati ha origini opposte: per i primi: scrittura “alla carlona”, pistolotti per quegli ignorantoni di lettori americani (senza offesa, nel senso che ignorano molto) conservati anche nell’edizione italiana; esigenza di divertirsi, di leggere una storia coinvolgente, senza cercare sempre i riferimenti noiosi da radical chic alla letteratura “alta” per i secondi. Tuttavia alcuni dati possono essere definiti “certi”, incontrovertibili: scrittura infiorettata di descrizioni e specifiche che, sciolte in un testo di narrativa, hanno dell’incredibile. Tipo: “un bel parco verde con delle piante”; come dire: “un bel fiume con dell’acqua”; oppure: “Palazzo Vecchio, il famoso ponte pedonale che collega Palazzo Pitti alla città vecchia”; come dire: “Il Colosseo, l’antico anfiteatro romano dove si esibivano i gladiatori”; o ancora: “La Divina Commedia è un poema di Dante Alighieri diviso in tre parti: Inferno, Purgatorio e Paradiso.” C’è sovrabbondanza di queste “informazioni”, e non ci aspetti una Firenze segreta, al contrario: siamo nella cartolina pura, tutti luoghi turistici famosi, da qui le critiche al vetriolo di avere pescato dalle guide turistiche popolari; descrizioni e notizie storiche buttate sulla pagina con una sorta di allegro menefreghismo, come ballare un po’ brilli a una festa strapaesana. E chi ha letto l’edizione originale dice che è ancora peggio: “Ho letto il libro in inglese e confrontando alcuni passi con una copia italiana ho notato che chi si è occupato della traduzione ha intelligentemente evitato di mettere nero su bianco sfondoni del tipo ‘Palazzo Vecchio venne costruito per dare una sede al Parlamento italiano’ (come anche mia nipote di 9 anni sa bene l’Italia nel 1300 non esisteva ancora, ed il termine italiano era ancora lontano dall’essere concepito).” (Pao La 14/06)
Quando si trasferisce a Venezia, poi, perde il controllo. Quel po’ di narratore che tiene le fila del racconto subisce un processo di liquefazione e partono pagine e pagine di notizie turistiche che, in un cosiddetto thriller, fanno trasecolare. Un piccolo assaggio (con gli eroi in fuga e braccati): “Uno degli esempi più belli di architettura bizantina in Europa, San Marco ha un aspetto decisamente accattivante e originale”.
La storia è semplice, tutta giocata nella scansione della ricerca: il professor Langdon, famoso studioso di storia e simboli, si sveglia in un ospedale fiorentino con una ferita alla testa che gli ha causato una perdita della memoria. Dopo un inizio lunghissimo sui mal di testa intermittenti e sui vuoti mentali, il professore parte alla ricerca frenetica di indizi per risolvere un enigma (che tale non è, infatti già dopo un centinaio di pagine il lettore ha già capito di cosa si tratta, un mistero orribile legato a certe teorie malthusiane sull’aumento incontrollato della popolazione mondiale che porterà a una sorta di apocalisse planetaria), braccato dagli agenti di una organizzazione multinazionale con la complicità della polizia italiana. E’ assistito da una dottoressa inglese che, ci informa il narratore, è stata una bambina prodigio con un QI mostruoso. Solo che sembra una tontolona che non finisce di stupirci. Benché parli perfettamente l’italiano non riesce a intuire l’anagramma di una misteriosa parola, catrovacer, neanche quando Langdom traduce in cer…catrova: ancora non ci arriva a cerca trova, ma che se ne fa del suo QI? Si procede per colpi di scena, le descrizioni turistiche già abbondantemente sbertucciate dai recensori di cui sopra, pagine interminabili di spiegazioni su quadri, portali, affreschi, mentre i soldati armati fino ai denti inseguono i due fuggiaschi e aspettano fuori dalla porta. Non c’è molto altro da dire, se non che la scrittura è equiparabile a quella di un rotocalco. Sembra trovare applicazione l’osservazione di Loredana Lipperini, in un commento a un post su Lipperatura: “Abbassare il livello dei testi per venderne di più è quanto perseguito negli ultimi anni.” (18/11)
Testi bassi per esigenze di lettura basse. Su questo giocano gli editori, sul “brand” degli autori conclamati, dei quali i lettori acquistano i testi a scatola chiusa (vedi le file chilometriche all’uscita dell’ultimo libro di Fabio Volo ecc.). Trend irresistibile generato, enfatizzato dall’Hydra/Marketing Selvaggio, che sembra ormai il padrone assoluto dell’immaginario collettivo culturale. Se qualcuno ha dei dubbi sulla prepotente invadenza di questa creatura a molte teste, legga qua (i grassetti sono nell’originale):
“Contagiati dal virus Inferno durante la lettura dell’ultimo best seller mozzafiato di Dan Brown, abbiamo spesso immaginato di ripercorrere “dal vivo” l’itinerario di Robert Langdon nella meravigliosa città di Dante: per godere non solo con la mente, ma anche con la vista, le straordinarie location evocate dal fantascientifico thriller. Abbiamo quindi colto al volo l’invito di Samsung di provare tre fotocamere wi-fi tra le mura, le chiese e i monumenti della città del Giglio, seguendo i passi di Langdon e della dottoressa Sienna nel tormentato viaggio che li porterà alla scoperta del gran segreto finale.
Max § Gazzetta dello Sport (rubrica Altre passioni) 19 novembre;
“Ogni volta che torno a Firenze, la riscopro con un occhio diverso. In questa occasione l’ho osservata dietro l’obiettivo di una macchina fotografica e attraverso le pagine di un libro. Il romanzo è l’ultimo best seller di Dan Brown, Inferno, e la mia lente d’ingrandimento è stato il nuovo smartphone Samsung GALAXY S4 zoom, dispositivo che funziona come cellulare e come macchina fotografica compatta.”
Vanity Fair 12 novembre
“Ripercorrere questi monumenti con l’occhio, non sempre storico, di Dan Brown è davvero affascinante. Noi ne abbiamo percorso solo una parte, dato il tempo che stringeva, e lo abbiamo fatto in compagnia della NX 300 di Samsung. Devo dire che è stata un’esperienza molto interessante: rivedere i luoghi avendo presenti le sequenze del libro, è davvero coinvolgente.
Panorama 31/10
Omologazione, marketing, promozione nei luoghi televisivi appositi (Che tempo che fa in testa, dove l’intervistatore/promoter inonda l’ospite di elogi); eppure tutto questo non basta per spiegare il successo commerciale di certi bestsellers industriali. Come sempre, vi è una sorta di sinergia reciproca tra l’Hydra e i lettori che si mettono in fila. L’uno nutre l’altro. Crescono insieme. Il “pubblico” cerca di essere soprattutto rassicurato, tranquillizzato. Nessuna sfida, soprattutto conferme. Esorcizzare la paura di cambiare, di imboccare strade ignote, di iniziare avventure dagli esiti incerti. Fingere di dovere scoprire finali misteriosi, quando i misteri vengono svelati durante la lettura, da segni neanche troppo subliminali. Un altro enunciato che sembra trovare conferma è: il pubblico cerca sempre lo stesso libro, lo stesso film, la stessa canzone. Una coazione a ripetere continua, ossessiva. Si parla ovviamente di tendenze statistiche maggioritarie, senza pretese di generalizzazioni assolute. L’industria si adegua.
Inferno sembra la macchina perfetta per questo ciclo di produzione seriale. Eppure non basta. Da questa macchina di produzione-consumo si sprigiona un’esigenza che i partigiani di una Letteratura calpestata ma, forse, non del tutto estinta, dovrebbero tenere in conto. Inferno, con tutte le sue gigionerie e le americanate, riesce ad essere avvincente, nonostante tutto. E’ una sorta di assemblaggio, talvolta scoordinato, qua e là discretamente fuso, tra la narrativa scientifica divulgativa alla Crichton (Malthus + manipolazioni genetiche transumaniste), una guida turistica e un thriller di classe media. Si basa su un mistero narrativo che non è tale, eppure siamo disposti a fingere di crederci. Perché soddisfa un bisogno di storie, di favole, di racconto. Nel racconto in sé si cela la realtà, forse la verità, anche se edulcorata, banalizzata. Questo gusto del racconto, senza la sfida al lettore a tutti i costi, dovrebbe essere un requisito al quale gli autori che criticano o rifiutano lo status-quo dominato dalla tendenza qualitativa al ribasso, dovrebbero rispondere. Raccontare alzando la qualità, soprattutto la scrittura, perché “come” è spesso più importante di “quello” che si racconta. Poi il “dove” purtroppo è un’altra storia. L’Hydra cerca il “brand” autoriale, che non dipende dai contenuti. Eppure i tempi cambiano, talvolta repentinamente. L’imprevisto è sempre possibile. Intanto si potrebbe cercare di rispondere all’antico auspicio di Antonio Gramsci: creare, in Italia, una vera letteratura “popolare” di qualità, che da sempre stenta a decollare nel nostro paese. Racconti che soddisfino le esigenze del “pubblico” medio, senza diventare per forza ingranaggi della macchina infernale, corpi senza organi della creatura a molte teste.
Altrimenti continueremo a essere cittadini-polli di quest’era delle volpi. Perché oggi sono le dominatrici, col loro talento di svicolare attraverso i pericoli, senza combattere. Mentre i leoni, che combattono, sono rintanati, o sepolti, in caverne inaccessibili. Sono spariti dalla circolazione. Lo scrive Alberto Asor Rosa in un interessante editoriale pubblicato sul manifesto: “E’ così che si fa: muoversi, calcolando esattamente il rapporto che passa fra le condizioni preo-ordinate e costrittive del lavoro che facciamo e l’obbiettivo che ci si propone di raggiungere. (…) Se non si opera così, il leone resterà segregato nella sua tana, e le volpi, anzi le vulpecule affamate di spazio e di potere, dilagheranno sempre più a fare strage dei polli che noi siamo.”