di Alessandra Daniele
Durante la sua gestione della rinnovata serie Doctor Who, Russell T. Davies era riuscito ad arricchire il già affascinante personaggio del Dottore d’una complessità e d’uno spessore drammatico degni della narrativa fantastica adulta.
Da quando lo ha rimpiazzato come showrunner, Steven Moffat s’è dedicato sistematicamente alla totale demolizione di quest’opera, fino ad approfittare dello special del cinquantennale, The Day of the Doctor, per abbatterne il muro maestro, cancellando la drammatica scelta del Dottore di innescare la distruzione del suo stesso mondo, l’imperiale Gallifrey, diventato una minaccia per la sopravvivenza dell’intero universo.
Dopo questo retcon, la serie è ormai completamente FUBAR, fucked up beyond all recognition.
Corrotti, arroganti, razzisti, classisti, colonialisti, imperialisti, guerrafondai: come il loro stesso nome suggerisce, i Time Lords di Gallifrey sono sempre stati un’allegoria abbastanza scoperta della classe dirigente britannica. Annullandone la meritata condanna – con un pasticciato trucchetto alla Lost, spostare l’isola – Moffat ha cancellato dal canone l’origin story, il pilastro fondante della nuova serie, e retroattivamente svilito, trasformandola in una paturnia da falsi ricordi, l’angoscia da reduce che aveva profondamente segnato il Dottore, dandogli statura tragica, maturando la sua personalità, e orientando tutte le sue scelte.
The Day of the Doctor è quindi un disastro non solo sul piano della continuty, della coerenza interna della serie (già in rovina da anni) ma su quello cruciale dello sviluppo del personaggio. Il Dottore di RTD – sia Nine che Ten – era un protagonista tridimensionale, un uomo tormentato e complesso, costretto a scelte laceranti e controverse. Il Dottore di Moffat è un cartonato. Una specie di vacuo Gastone Paperone sempre assistito da qualche ridicolo deus ex machina che gli salva il culo gratis, e che stavolta ha salvato anche i Time Lords, improvvisamente ritratti solo come vittime della Time War contro i Daleks, solo come padri di famiglia con venti bambini a carico ciascuno. Revisionismo fantastorico.
Niente più brutti ricordi, tutto cancellato. ”Everybody lives”. Tranne i Daleks, perché il Dottore di Moffat non dimentica di sterminare il Nemico.
The Day of the Doctor è pieno di tutti i soliti difetti tipici della scrittura di Moffat, il birignao compiaciuto, i doppisensi da Pierino, lo stiracchiamento ridicolo delle leggi dello spaziotempo oltre ogni possibile sospensione dell’incredulità. Il repellente sessismo, che stavolta ha ridotto la regina Elisabetta I° a una patetica buzzicona infoiata.
Le storyline abbandonate a metà senza spiegazioni: come hanno fatto Claretta e il Dottore a uscire sani e salvi dalla letale timestream nella quale s’erano ”tuffati”? Come sono finite le ”trattative” cogli Zygon?
Gli espedienti narrativi che creano aspettative esagerate per poi deluderle: uno spaesato Dottore soprannumerario inventato apposta, pomposamente presentato come ”Il Dottore Guerriero”, e rivelatosi solo un vecchietto contemplativo e brontolone. Un Doctor Umarell. Assurdo spreco del talento di John Hurt.
The Day of the Doctor si conclude poi con un orrido tentativo di cancellare e riscrivere persino il concept stesso dell’intera serie. Dice Eleven con aria stolida e sognante: “At last I know where I’m going. Where I’ve always been going. Home. The long way round”. Il Dottore secondo Moffat quindi non è più un viaggiatore e un ribelle, è un aristocratico nostalgico che vuole solo riprendere il suo posto nell’élite corrotta e crudele che aveva un tempo abbandonato con orrore.
“Gallifrey falls no more”. Stavolta nessuno ha fermato i Time Lords, che già nella serie classica il Dottore numero sei definiva ”rotten to the core”.
Grazie allo straordinario The End of Time però, l’ultimo episodio scritto da Russell T. Davies nel 2009, c’è ancora Ten ad avere avuto il coraggio almeno di provarci: ”Back into the Time War, Rassilon, back into hell!”
So say we all.