di Gianmario Leone1
Ci mancava soltanto la panzana dei russi. Nella giornata di ieri [25.11] infatti, le agenzie hanno battuto la notizia secondo cui oggi [26.11] a Trieste, quando il premier Letta incontrerà il presidente Vladimir Putin e la delegazione dei ministri moscoviti per il vertice italorusso, si proverà a “sondare” il terreno per un eventuale interessamento da parte russa di investire nelle aree di crisi italiane. Da Palazzo Chigi si sono limitati a sottolineare che la Russia “è già presente nella siderurgia italiana”. E sì che è presente: ma si evita di ricordare con quali risultati. Dunque, dopo aver assistito mesi addietro alla scenetta sulla possibile joint venture con Piombino, ora tocca sorbirci l’ipotesi russa nel futuro Ilva. Che, guarda caso, riporta ancora una volta al sito siderurgico toscano.
A tal proposito, ripercorriamo nuovamente come già fatto lo scorso giugno, la storia del sito di Piombino, tanto per rinfrescarci tutti la memoria. La storia dell’acciaieria di Piombino è lunga e complessa: basti pensare che prende il via nel lontano 1864. La storia degli ultimi 20 anni, ci dice invece che nel 1992 lo stabilimento viene scorporato dall’Ilva (proprietaria dell’acciaieria dal 1988 dopo una serie di passaggi societari) e conferito alla nuova SpA “Acciaierie e Ferriere di Piombino” della quale fanno parte l’Ilva e la società privata bresciana “Gruppo Lucchini” presieduta dal cavaliere Luigi Lucchini. Tre anni dopo, nel 1995, il gruppo Riva compra dallo Stato l’Italsider di Taranto lasciando Piombino alla gestione privata del gruppo Lucchini diventando “Lucchini Siderurgica”, che nel 1998 diventa “Lucchini SpA”.
Nel 2003 arriva per il gruppo Lucchini una grave crisi finanziaria che Viene affidata alle “sapienti” cure di, guarda un po’, Enrico Bondi, che trasforma la Lucchini SpA in una holding finanziaria a capo delle Business Unit operative. In economia è l’unità presa come Riferimento per definire la strategia, che può coincidere con l’impresa o rappresentare solo una parte di essa. Ad esempio, se un’impresa che commercializza un certo prodotto, opera sia all’ingrosso che al dettaglio, si avranno due business unit prese come riferimento per definire la strategia: una per il commercio all’ingrosso e l’altra per il commercio al dettaglio. Queste definizioni sono fondamentali per comprendere che, per una stessa organizzazione, si possono avere tre diversi livelli di strategia. Detto della Business unit, le prime due sono quella di impresa (che ha un’organizzazione economica il cui fine è il conseguimento di un profitto) e quella di gruppo (quando un’impresa, in genere una società per azioni, possiede azioni o quote di altre società in modo da poterle controllare direttamente o indirettamente.
Si parla, allora di holding. La Società che controlla tutte le altre è detta capogruppo e rappresenta il soggetto economico del gruppo). L’unità produttiva di Piombino diventa, nelle mani di Bondi, una di queste Business Unit, societarizzandosi con la denominazione di “Lucchini Piombino SpA”. Le altre erano la francese Ascometal e la divisione Lucchini Sidermeccanica di Lovere (matariale rotabile ferroviario) poi Lucchini RS. E qui veniamo all’epoca russa. Nel 2005 infatti, a seguito della ristrutturazione finanziaria e degli investimenti sugli impianti, la maggioranza (60%) del gruppo Lucchini passa, attraverso un aumento di capitale, al gruppo russo Severstal (uno dei più grossi gruppi siderurgici al mondo).
La famiglia Lucchini, invece, si lancia nel business ferroviario acquistando proprio da Severstal nel 2007 il 100% della BU Lucchini RS con sede a Lovere (Bergamo) e filiali industriali in altri Paesi europei. La totale separazione tra Severstal e famiglia Lucchini avviene nel 2010, quando la Severstal acquista tutte le quote del gruppo Lucchini ancora in mano alla famiglia bresciana (alla data deteneva ancora una quota del 20%). Dunque, nonostante la quasi omonimia tra Lucchini SpA e Lucchini RS SpA, la proprietà viene totalmente distinta (a qualcuno tutto questo ricorda qualcosa?). Sempre nel 2010, dopo l’acquisto del 20% dalla famiglia Lucchini, severstal dà il via ad un processo di vendita dell’intero pacchetto azionario di Lucchini SpA, che si conclude senza acquirenti.
Visto l’insuccesso, per deconsolidare il debito Lucchini SpA dai bilanci Severstal, il 51% di Lucchini SpA viene ceduto ad una società cipriota facente capo a Mordashov (principale azionista e ad della Severstal), mentre il restante 49% resta di proprietà di Severstal. Dopo la nuova crisi industriale e finanziaria del 2011, il gruppo Lucchini vende la BU Ascometal al fondo di Private Equity “Apollo” per 325 milioni di euro. L’incasso viene utilizzato per redigere un piano di ristrutturazione, omologato a febbraio 2012 dal Tribunale di Milano, col quale si prevedeva di avere altri sei mesi di liquidità per trovare al più presto un compratore. Il 21 dicembre 2012, la società richiede l’amministrazione straordinaria al Ministero dello Sviluppo Economico, che nomina Piero Nardi commissario della Lucchini S.p.A.
Il 7 gennaio scorso, il Tribunale di Livorno ha dichiarato lo stato di insolvenza dell’azienda, accogliendo la richiesta di accesso alle procedure previste dalla legge Marzano. Poi, lo scorso 26 aprile, il governo ha approvato il decreto legge n.43 per il rilancio industriale dell’area di Piombino (tra cui anche il Porto), che attende ancora di essere trasformato in legge (cinque giorni fa è arrivato il voto favorevole della Camera). Infine, il 18 novembre scorso, si è svolto un incontro al MiSE a Roma, dove è stato promesso entro Natale l’Accordo di Programma per il rilancio dell’area industriale di Piombino.
Come dite? Bondi che fine ha fatto in tutto questo? Se n’era andato già ad inizio 2004 per iniziare l’avventura di salvataggio della Parmalat. Ciò detto, difficilmente l’interesse russo, se mai ci sarà, si concretizzerà prima del 2016. Un impianto vecchio come il siderurgico tarantino, non interesserebbe nemmeno il più ricco sceicco del mondo. E nel 2016, ammesso e non concesso che l’area a caldo dell’Ilva sia ancora in funzione, sarà troppo tardi per tornare ad essere appetibile sul mercato. Al massimo, potremo essere un’appetibile succursale “a freddo” per non più di qualche annetto. Dopo di che, “da ssvidagnia” (“ciao” in russo).
Il futuro di Taranto, lo ripetiamo da anni, va rincorso nella direzione opposta.
Questo articolo è stato pubblicato su “TarantoOggi” e su InchiostroVerde il 26.11.2013 ↩