di Nico Macce
In questi tempi di trasformismo osceno, dove l’onestà intellettuale non è meno bassa di quella morale, della Rivoluzione d’Ottobre nessuno ne parla. Nessuna forza politica che non si richiami direttamente al Comunismo.
Eppure in quell’Ottobre del 1917 (secondo il nostro calendario) si compiva un evento storico che avrebbe cambiato il mondo, aperto a nuove lotte di emancipazione sociale, a nuove visioni. Le classi popolari dell’epoca erano avvolte nell’analfabetismo e nell’ignoranza, in una vita dura e abbruttita, in ogni angolo d’un’Europa in cui lo sviluppo del capitalismo andava formando un proletariato insieme ai processi di industrializzazione e al formarsi dei paesi moderni.
La Rivoluzione d’Ottobre rappresentò tante cose. Ne voglio citare alcune. Fu l’apice di una straordinaria lotta dei movimenti socialisti dell’epoca a livello internazionale, che elevavano con la coscienza di sé milioni di operai e contadini. La cultura non era più appannaggio della borghesia e il mondo si poteva cambiare, lo potevano trasformare semplici manovali, sarte, minatori, braccianti, se solo si univano. Fu quindi la prima rivoluzione socialista e proletaria, della classi popolari subalterne che si compì. E da allora il mondo fu diverso.
Nei decenni successivi il socialismo, nel bene come nel male, rappresentò un contrappeso alle peggiori tendenze del capitalismo, alla predazione e allo sfruttamento, alla guerra, all’oppressione in genere. Il popolo sovietico diede un tributo di milioni di morti tra civili, partigiani e soldati dell’Armata Rossa contro il nazismo e il fascismo. Questa grande idea di affrancamento dalla schiavitù salariata e dal totalitarismo echeggiava giù per Monte Sole nei “viva Stalin” dei partigiani della Stella Rossa. E così era per i garibaldini della Valdossola, delle Langhe come per i maquis francesi, per i partigiani iugoslavi di Tito.
Il resto è storia.
Ma dalla visione del socialismo e da questa forza, nel dopoguerra i movimenti operai in Europa e nelle società a capitalismo maturo disegnarono nuovi rapporti di forza e fu l’epoca dello stato sociale e dei diritti sul lavoro e come cittadini. Da questa grande idea di uguaglianza e di governo popolare, i comunisti si affiancarono ai Parri, ai Calamandrei come padri della Costituzione, una delle più progressiste nel mondo capitalista, questo era…
La Rivoluzione d’Ottobre fu presente come idea, insieme di teorie della rivoluzione sociale (fecondandone di nuove), nelle lotte di liberazione dei popoli. Altro che integralismo islamico! Il Movimento Palestinese, per esempio, rappresentava una forza di popolo laica nei paesi dell’Islam. E poi Cuba, il Cile di Allende, di Corvalan e del MIR, il Nicaragua Sandinista, e quanti altri che non menziono neppure. I frutti dell’Ottobre Sovietico.
E i frutti di oggi, in un’America Latina che sta rinascendo: Lenin, Bolivar, Gramsci.
E’ uno schifo e una vergogna che in questo paese, coloro che in un modo o in un altro sono appartenuti alla storia di quegli eventi, non ne parlino, che non lo si celebri l’Ottobre, al di là di quello che si possa pensare dell’esperienza di socialismo che ha prodotto. Un silenzio che rappresenta un’immane opera di rimozione di un percorso, di radici, di valori. I nani della politica che vedo attorno al grande cadavere della loro storia vivono in apparenza una farneticante babele di luoghi comuni e retorica, ma in realtà parlano una sola lingua: quella del pensiero unico neoliberale. Senza l’Ottobre non sarebbero neppure stati “sperma”, figuriamoci soggetti della politica.
I mentecatti non riescono neppure a immaginare mentre mandano, via prefettura, dai rettorati la polizia contro gli studenti e dalle “cooperative” i carabinieri contro gli operai migranti della logistica, cosa sarebbe stato il mondo senza l’Ottobre, quanto peggiore sarebbe stato nella barbarie quotidiana ed epocale.
Ma chi lo celebra questo lo sa. E sa anche quanto sia attuale oggi più di ieri, l’Ottobre, in questa nuova fase di neoliberismo selvaggio e di attacco del capitalismo finanziario e delle multinazionali ai poteri e alle Carte Costituzionali, ai diritti fondamentali, ai beni comuni, al lavoro, a tutto ciò che fa la differenza tra una società civile e una darwiniana e selvaggia, tra una cittadinanza e una sudditanza.
Chi lo celebra, sa che non ci sono altre strade, che le scarpe sono rotte, eppure bisogna andare.