di Fabrizio Lorusso
Donna Sebastiana fa paura e affascina. Questa Dama è la morte santificata, una figura venerata per secoli ma poco nota nel contesto nella storia messicana e mondiale. Ha alcune analogie con la moderna Santa Muerte, la santa popolare che più è cresciuta negli ultimi vent’anni per numero di cultori e presenza mediatica nelle Americhe. Di Sebastiana, però, solo restano il ricordo, alcuni racconti e il suo nome. Di fatto il suo culto svanì e, forse, rivive a modo suo in quest’epoca di postmodernità religiosa e spirituale con la devozione alla Flaquita, uno dei soprannomi della Santissima Muerte. Sebastiana è parte della storia e delle tradizioni di quelle regioni, abbandonate da Dio e dallo stato, che, oltre 150 anni or sono, formavano il Nord del Messico e che gli furono sottratte dagli Stati Uniti. La devozione verso questa Dama scarnificata e ossuta ebbe il suo apogeo nell’era del selvaggio west, specialmente negli stati dell’Arizona e del Nuovo Messico, secondo quanto racconta l’antropologo Carlo Severi in un articolo su Donna Sebastiana, il Cristo trafitto dalle frecce e i loro relativi rituali. La vita della Signora Morte comincia durante la colonizzazione spagnola in America.
A partire dal secolo XVI, la corona spagnolo in Nord America cerca di controllare molti territori spopolati e lontani dal centro del potere, sito nella Gran Città del Messico, capitale del Vicereame della Nuova Spagna. Ciononostante gli sforzi per l’esercizio di un dominio credibile da parte dei colonizzatori, padroni di un impero decadente ma sempre avido di terre, non sono sufficienti. La spada ha quindi bisogno della croce.
Le missioni religiose spagnole vanno via via conquistando popoli e anime verso Nord, aprendosi strada lungo il Río Bravo fino a El Paso e Santa Fe. Oppure seguono un’altra vertente, su per il Colorado River verso l’Arizona. Alla fine del diciassettesimo secolo nei dintorni di San Diego e San Francisco già s’ergevano tenaci fortezze che spartivano lo spazio visivo con le missioni: la spada torna ad allearsi con la croce per difendere i piccoli gruppi di abitanti e coloni dagli attacchi dei popoli originari, padroni legittimi di quei territori.
Dopo la guerra d’indipendenza messicana, durata dal 1810 al 1821, il nuovo stato nasce debole, con un controllo infimo sulle sue province periferiche. L’isolamento e la povertà dei dimoranti nelle zone più remote e i conflitti con gli “indiani d’America”, in primis con le popolazioni degli Apaches e dei Comanches, generano una situazione esplosiva. La zona è lasciata a se stessa anche dal punto di vista religioso, in seguito alla progressiva ritirata del clero francescano che ha determinato una cronica mancanza di personale ecclesiastico stabile. Pertanto è quasi impossibile celebrare i sacramenti e i rituali nelle comunità cattoliche. Le chiese sono in rovina e diventano santuari che ospitano macabri presagi.
Tra il 1846 e il 1848 il Messico perde più della metà del suo territorio e firma con gli USA il vergognoso trattato di Guadalupe Hidalgo, un fatto storico che tuttora è considerato traumatico per l’orgoglio nazionale messicano. Gli States sono una potenza nascente che, mossa dalle dottrine della frontiera e del destino manifesto, incorpora California, Nevada, Utah e parti degli attuali Texas, Colorado, Oklahoma, Kansas, Wyoming, Nuovo Messico e Arizona. Uno dopo l’altro cadono e son gocce di sangue. Già dagli anni della lotta indipendentista messicana, in quei territori le comunità reagiscono al senso di sconforto spirituale, all’abdicazione dello stato centrale e al loro isolamento materiale e creano la Confraternita dei Fratelli del Santo Sangue o dei Penitenti. Questa, pur senza trasformarsi in una vera e propria Chiesa, apporta modifiche inquietanti e radicali al culto tradizionale.
Il verbo e le pratiche della Confraternita sperimentano un periodo di espansione e viaggiano nel deserto battendo l’antico cammino dei missionari lungo il Río Bravo e la frontiera Messico-USA. Cominciano a proliferare le moradas, chiesette sconsacrate che presto accolgono al loro interno una serie di nuove immagini e rituali. I membri della Fratellanza si dividono tra i Confratelli del Sangue, “I Veri Penitenti”, e i Confratelli della Luce, che hanno compiti di tipo organizzativo e fungono da guide spirituali.
Durante vari decenni il Vaticano cerca di riavvicinarsi a queste comunità per ricondurle ai precetti del cattolicesimo romano. Ma furono sforzi vani. Gli abitanti di queste regioni, soprattutto nel Nuovo Messico, s’affidano sempre più al fanatismo, aspirano a imitare pedissequamente la vita e la passione di Cristo e praticano la autoflagellazione nel corso delle processioni della Settimana di Pasqua. Riproducono tutte le fasi del martirio di Gesù nella Passione e le cerimonie raggiungono momenti culminanti e sanguinari con la crocifissione simulata di uno dei Penitenti. Ma i chiodi, le frustate, i fiotti dalle vene, le grida e il dolore sono reali. Ciò che preoccupa la Chiesa non è la violenza, né la credenza nel martirio fisico come mezzo di purificazione. Il problema è un altro e si chiama Sebastiana. La paura corre di bocca in bocca, solca l’Oceano Atlantico e arriva fino al centro del potere religioso.
La gente del profondo Sud statunitense assiste all’apparizione sempre più frequente, dentro le moradas e nelle cappelle, di un bizzarro ritratto della morte. E’ un’immagine femminile, scheletrica, molto comune in Europa negli ossari e nelle cripte delle Confraternite della Buona Morte, così come nelle chiese dedicate specificamente alla Parca, nei dipinti delle danze macabre e nelle vanitas. Tuttavia da secoli è severamente proibita nelle Americhe, dove è nota altresì con il nome di Doña Sebastiana, ma resta comunque la Gran Segadora, la Grim Reaper icona di un culto blasfemo secondo la Chiesa.
Nell’era coloniale gli inquisitori provenienti dalla Nuova Spagna cercarono, senza successo, di distruggere tutte le raffigurazioni della morte che la stessa Chiesa aveva portato dal Vecchio Continente per sradicare questa presunta “idolatria pagana” verso queste figure. In tutto il Messico, usualmente, i devoti delle immagini della morte erano indios e contadini, abitanti dei rioni marginali delle città o di qualche sperduto paesino di provincia che, in alcuni casi, già utilizzavano l’appellativo di “Santa Muerte” nelle loro invocazioni e, addirittura, durante i rituali con cui infliggevano vere e proprie punizioni alla figura della Morte con la Falce, se questa non concedeva loro il favore o miracolo richiesto.
L’Inquisizione fu abolita definitivamente in Spagna con il Real Decreto del 15 luglio 1834 (!). Tuttavia l’attitudine oppressiva di quella fase restò vigente. Donna Sebastiana scandalizza il clero cattolico, che parla di “eresia”, però spaventa pure i contadini della regione in cui è popolare. “Adorano la morte come fanno gli indiani del Nord America”, “torturano i loro Confratelli con vere e proprie crocifissioni”, “eccessi nelle penitenze, rituali segreti, preghiere non approvate dalle gerarchie”, denunciano i vescovi sempre più.
Agli allarmismi del Vaticano daranno ascolto i mass media statunitensi che, ancora nei primi decenni del novecento, indagano sugli aspetti più morbosi e sanguinari di quei rituali e sulla possibilità che esista una devozione autonoma verso la morte che loro chiamano Comadre Muerte o “morte amica”. Non viene condotto nessuno studio serio sul tema, anzi, si moltiplicano piuttosto gli effetti scandalistici degli articoli secondo un canovaccio molto simile a quanto avviene oggi riguardo al trattamento del culto attuale alla Santissima Muerte nella stampa messicana e mondiale.
Insieme alla morte, anche l’immagine cruenta di Gesù trafitto dalle frecce, el Cristo Flechado in spagnolo, è presente nelle moradas e serve ad avvisare i fedeli del pericolo rappresentato dalle popolazioni “selvagge” dei nativi, i “nemici” che minacciano l’esistenza dei Confratelli e delle loro comunità. Durante la Settimana Santa i Penitenti organizzano crudeli simulazioni della Passione di Cristo, molto simili, ma certamente più sadiche e inumane, a quelle che ogni anno si svolgono nel quartiere di Iztapalapa a Città del Messico il Venerdì Santo.
Il Salvatore, un “fortunato” scelto all’interno della Confraternita, viene ben fissato alla croce con dei chiodi di metallo, poi riceve il supplizio della flagellazione e brandelli della sua pelle schizzano via lungo il sentiero e imbrattano le vesti degli astanti. Altri Confratelli, intanto, si legano a cactus e piante spinose oppure trainano come buoi delle carrette stracolme di pietre con sopra la figura scarnificata di Donna Sebastiana.
Nella tradizione religiosa di queste confraternite s’identifica progressivamente il giovane Penitente, prossimo alla crocifissione, con il Cristo ma anche con la morte, la Comare. Si racconta che, in tempo di carestia, quando è facile venire a mancare per via delle penurie o del freddo, i morti facciano ritorno nelle moradas per festeggiare la Pasqua con i vivi. Presso questi templi improvvisati, chiamati anche “case dei morti”, sopraggiungono i Fratelli dell’Altro Mondo per aiutare gli abitanti di questo mondo. Tra la Vergine Maria e Gesù non mancava mai l’immagine di Doña Sebastiana, la Patrona scheletrica dagli occhi vitrei e metallici, armata di arco e frecce, che veniva portata in trionfo sulle carretas de la muerte durante le processioni. Nel Museo del Nuovo Messico ad Albuquerque, negli USA, c’è una scultura della “Morte sul suo carro”, realizzata nel 1860 dallo scultore Nazario López de Córdoba per la morada de Las Trampas. E’ una rivisitazione del motivo noto come Trionfo della Morte, un tema iconografico medievale in cui la Parca Sebastiana dichiara la sua vittoria su Gesù e scaglia frecce al petto del Salvatore.
Arco e dardi definiscono l’iconografia tradizionale del Cristo trafitto nella versione adottata dai francescani che evangelizzarono il Nord della Nuova Spagna, l’attuale Messico. D’altro canto in Spagna la morte era raffigurata con una falce in mano, non con arco e frecce. Questo suggerisce che nei territori a nord del Río Bravo potrebbe esserci stata una sovrapposizione tra la figura del Cristo e quella del martire San Sebastiano, rappresentato tipicamente con le frecce conficcate nel costato e rivoli di sangue colanti e abbondanti. E’ possibile che il nome del santo abbia avuto un cambio di genere, passando al femminile, e che la sua figura sia stata associata a quella della morte dotata di arco e frecce, dando vita, così, alla hermosa Donna Sebastiana, forse una progenitrice o “cugina nordamericana” della Santa Muerte.
*Questo articolo è stato tratto e riadattato dal paragrafo dedicato alla splendida Donna Sebastiana del libro Santa Muerte. Patrona dell’Umanità di Fabrizio Lorusso (Ed. Stampa Alternativa, Italia, 2013). Tradotto in spagnolo per il supplemento settimanale del quotidiano La Jornada, è stato poi riportato alla sua lingua originale in questa versione modificata.