di Girolamo De Michelemano_galera

È bastata una coincidenza apparsa sospetta tra l’intervento di Napolitano in favore di un provvedimento di amnistia o indulto e le vicende giudiziarie di Berlusconi (ma quando qualcosa non coincide con lo stato di eccezione giuridica permanente di Berlusconi?), e una battaglia di civiltà – dunque politica, oltreché etica – fino a ieri trasversale (con qualche sorprendente voltafaccia, come vedremo), avanzata da almeno due anni, è ricaduta all’interno dell’ordine del discorso politico attuale. E, in qualche modo, nella sua caduta ha messo in mostra quello che chiamerò “il divenire-zombie della politica italiana”.

Voglio provare a ribaltare il discorso corrente e le sue logiche, mostrando, attraverso la debolezza degli argomenti contro un provvedimento di amnistia (e l’ipocrisia del messaggio alle camere di Napolitano), come in realtà il discorso sull’amnistia sia indirizzato verso la prosecuzione del discorso sicuritario. Voglio essere chiaro: non ho alcuna speranza di incidere sulla questione, né ho speranza che venga varato un provvedimento in qualche modo “svuotacarceri”. Credo che il governo si laverà la coscienza dichiarando di averci provato e che nel PD ci sarà un gioco delle parti già stabilito a tavolino tra “buonisti” e “manettari”. Mi interessa lavorare, spero con qualche utilità, sull’ordine del discorso sicuritario, per mostrare come esso si annidi anche in angoli insospettabili. E, in ogni caso, di fare un po’ di chiarezza su quei numeri e quelle percentuali dietro cui ci sono vite umane – e talvolta morti di carcere.
Perché, mentre a Sagunto si blatera, in galera si crepa.

1. Di cosa stiamo parlando, in ogni caso?

[Fonti: Dossier Morire di carcere“; Osservatorio permanente sulle morti in carcere“; Ministero della Giustizia,  www.giustizia.it, sez. Statistiche; ISTAT, I detenuti nelle carceri italiane, anno 2011]

L’attuale popolazione carceraria (al 30 settembre 2013) è di 64.758 reclusi, dei quali solo 38.845 condannati definitivamente. Circa 24.600 detenuti sono o in attesa del processo di primo grado, o in attesa di appello o ricorso. È bene ricordare che, statisticamente, la metà di loro sarà assolta, e farà causa per il dovuto risarcimento dell’ingiusta detenzione: nel 2011 lo Stato ha speso 46 milioni in risarcimenti [fonte: Relazione del guardasigilli sull’amministrazione della Giustizia nell’anno 2011]. A fronte di questa popolazione carceraria, la capienza regolamentare delle carceri è di 47.615 posti. Le celle, anche questo va ricordato, sono  dimensionate ancora in base al Regolamento di Igiene Edilizia delle Strutture ad Uso Collettivo (del 1947!), misurano 8mq + 4 di bagno annesso, ma oggi sono sovraffollate da 2, 3 e più detenuti per cella. Per dire: a norma di legge (art. 22 del Codice Penale), i condannati all’ergastolo avrebbero diritto a trascorrere la notte in una cella singola – ma col sovraffollamento non succede. Il che ha comportato condanne all’Italia da parte della Corte dei Diritti Umani di Strasburgo: al netto dei circa 100.000 € di risarcimento da versare ai sette detenuti ricorrenti (e della prossima multa comminata all’Italia dalla Commissione Europea per inadempienza), questa sentenza apre la strada a ulteriori futuri ricorsi.

– Ah! Quindi pensi che sia una questione economica, alla fin fine?
– No. Ma molti manettari hanno il cuore a forma di salvadanaio, e allora è bene che sappiano anche questo.

I tagli al bilancio della giustizia riducono ogni anno del 10-15% i fondi per la gestione delle carceri. Basta leggere le voci di bilancio oggetto di tagli per capire di cosa stiamo parlando: vitto, acquisto libri, manutenzione e riparazione di mobili e arredi, attività culturali e ricreative per i detenuti, asili nido per i figli delle detenute madri, trattamento tossicodipendenze, e infine la mercede (cioè lo stipendio) per i detenuti lavoranti. Per legge (Ordinamento Penitenziario, L. 354/75, art. 20), ogni detenuto condannato in via definitiva dovrebbe lavorare. Invece a poterlo fare sono solo il 20%, e di questi solo poco più di 2.000 all’esterno.

– Lavoro esterno? Così escono e poi evadono, vero?
– Lo sai qual è la percentuale di detenuti in lavoro esterno che non rientrano? Lo 0.22%.
– Ah… quindi ho detto una stronzata?
– L’hai detta!

In aggiunta, i tagli alle ASL locali hanno comportato il peggioramento dei livelli di assistenza per i detenuti ammalati.

– Beh, in definitiva è quello che dice da tempo il presidente Napolitano: allora sei d’accordo con lui?
– Tempo al tempo.
– Ma almeno con Emma Bonino, che come radicale si batte da anni per queste cose, sarai d’accordo?
– Tempo al tempo.

riabilitazione_sospesaLa conseguenza più drammatica di queste condizioni di vita è un impressionante numero di suicidi: oltre 60 detenuti e 10 agenti ogni anno, con una percentuale, rispetto alla totalità delle morti in carcere, superiore di 20 volte alla media dei suicidi nella società.

– Beh, sono ambienti in cui può succedere. L’ex ministro La Russa aveva detto: «Non è che se gli mettiamo il frigobar, otto ore di aria e la musica soffusa non ci sarà neanche un suicidio…»
– Pensa se qualcuno, davanti al suicidio di un imprenditore per la crisi, dicesse: «Non è che se gli regaliamo un viaggio premio alle Seychelles quando la loro azienda fallisce non ci sarà neanche un suicidio»…

In ogni caso, i nudi dati dimostrano che l’aumento di suicidi è correlato al peggioramento delle condizioni di detenzione.

Per concludere: per il corrente anno, la cd. legge di stabilità, con ampio uso di termini quali “rimodulazione”, “contenimento”, “razionalizzazione” di spese e acquisti, fissa in 16 milioni € l’ammontare di un fondo unico con cui far fronte alle voci di spesa che indicavo sopra, che nel 2010 era di oltre 23 milioni, e di 20 nel 2011. Nella stessa legge è previsto uno sconto di circa 100 milioni € per la sanatoria delle concessionarie di slot machine che hanno evaso 98 miliardi.

– Quale legge di stabilità?
– La 228/2012. Quella approvata la vigilia di Natale dal consiglio dei ministri nel quale c’è anche Emma Bonino.
– Ah…
– Quella difesa da Giorgio Napolitano.
– Ah…
– Ah!

2.1. Cosa dicono, in generale, i contrari a un provvedimento di amnistia?

Gli argomenti dei contrari a un provvedimento di amnistia/indulto si riassumono così:

  • è un tentativo mascherato di fornire un salvacondotto a Berlusconi;
  • non si può violare periodicamente il principio di legalità e si vanifica la certezza della pena: si rischia di far passare il messaggio che si può delinquere, tanto poi arriva all’indulto, e comunque…
  • …i diritti dei detenuti non possono prevalere sul diritto alla sicurezza dei cittadini;
  • è un provvedimento inutile: nel 2006 ci fu l’indulto, e dopo pochi mesi (in realtà in due anni) il numero di detenuti ritornò quello ante indulto;
  • è un autogol politico: gli italiani sono contrari a provvedimenti di questo tipo.

I nomi da appiccicare a queste affermazioni, per il momento, lasciamoli stare.

2.2. Perché gli argomenti contro l’amnistia non tengono

Che qualcuno cerchi, in ogni modo, di fornire salvacondotti di vario genere a Berlusconi è fuor di dubbio. Ed è vero che con l’indulto del 2006 Berlusconi ha beneficiato di una riduzione della pena detentiva: ma non sulle pene accessorie, cioè la famosa interdizione dai pubblici uffici (e la conseguente deadenza dal Senato, tutt’ora in discussione). Ma è un fatto che B. non andrà in carcere (perché ha più di 70 anni), e che ciò che dovrebbe essere amnistiato o indultato non è un automatismo: lo decide il parlamento. Sarebbe bastata una ferma e pacata affermazione del tipo “vigilerò Io affinché questo provvedimento non sia un favore a B.” e rendere pubblici, cioè evidenti alla pubblica opinione, i reati esclusi dal provvedimento. Ma questa argomentazione è, per  me, poco rilevante: qualunque cosa si pensi di  B., il malcelato desiderio di vedere un ultresettantenne in galera ha meno a che fare con la giustizia, e più col rancore come passione sociale prevalente.

Il principio di legalità e la certezza della pena. A voler essere garantisti…

– Quindi sei un garantista?
– No: è un punto di vista che assumo solo come strumento retorico.

A voler essere garantisti è l’attuale situazione delle carceri a violare legalità, certezza della pena e, soprattutto, Costituzione, che recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (art. 27 c. 3) e “È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà” (art. 13 c. 4). La certezza della pena, e le modalità della detenzione che comporta, non possono eccedere i limiti stabiliti dalla legge.
Punto.
E non ci sarebbe bisogno neanche della sanzione delle istituzioni europee per affermarlo: in questo caso, l’aspetto giuridico-formale e quello etico coincidono perfettamente. Aggiungo: in punta di diritto e di Costituzione, lo Stato non può esimersi dai propri doveri ipotizzando una qualche gerarchia tra i diritti: i diritti sono universali, riguardano tutti, quale che sia la loro condizione, e non possono essere negati o sospesi a Tizio o Caio (quale che sia la condizione di Tizio o Caio) senza ledere la natura stessa dei diritti.
E il diritto alla sicurezza?
Il diritto alla sicurezza, nella Costituzione, non c’è. La sicurezza è nominata come una delle condizioni che fanno parte della totalità della persona umana: e – attenzione! – costituisce un vincolo paragonabile a un diritto inalienabile solo nell’art. 41, laddove si afferma che l’iniziativa economica, pur libera, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Pretendere che esista un diritto alla sicurezza in quanto tale, significa introdurre la possibilità di limitare altri aspetti della persona umana in una sorta di scambio – ad es. sicurezza in cambio di meno libertà, o meno democrazia. Sicurezza, libertà e dignità sono un tutt’uno, e riguardano tutti, perché i diritti o sono inalienabili o, semplicemente, non sono.

– Come se la Costituzione non fosse regolarmente violata in molti punti, a cominciare dal comma che citi…
– Appunto. Ma ne parliamo tra un po’…

Infine (per ora): l’argomento dell’inutilità dell’indulto a fronte del successivo riempimento delle carceri avrebbe valore se, e solo se, a riempire le carceri dopo l’indulto fossero stati gli stessi detenuti liberati ope legis. Ma così non è.
Tra i detenuti usciti con l’indulto nel 2006, la percentuale di quelli che sono tornati in carcere è del 30.3%, contro il 68.45% della media. In altre parole, la percentuale di detenuti che, dopo aver scontato la pena in condizioni disumane, tornano a commettere reati è più che doppia rispetto a quelli che sentono di aver scontato il giusto perché il minor periodo di detenzione è controbilanciato dalle condizioni carcerarie patite. Tra gli stranieri, poi, la percentuale scende addirittura al 21.36%. Insomma, l’indulto del 2006 ha fatto bene sia al carcere che alla società.

– Ma ti pare possibile questo dato sugli stranieri, visto che sono circa un terzo dell’intera popolazione detenuta?
– Si: tra breve citerò altri dati coerenti con questo.
– Resta che dopo l’indulto le carceri si sono riempite: vorrà pur dire che l’emergenza-sicurezza esiste davvero, no?
– Dici?

3. Ah, la sicurezza sociale…

Diamo un’occhiata fuori dal carcere. Proprio nel 2006 la polizia di Stato  pubblicava un Rapporto sulla criminalità in Italia dal 1993 al 2006, dal quale emergeva un diffuso calo dei principali reati. Per dire: gli omicidi passano da 1441 a 621, gli scippi diminuiscono del 63%, i furti in appartamento del 41%. Negli anni seguenti, stando ai rapporti del Viminale il calo dei principali reati prosegue: e sono proprio gli anni in cui le carceri si svuotano, e poi si riempiono nuovamente. Dal 2010 al 2011 i piccoli reati tornano a salire per effetto della crisi, per assestarsi nel 2012: ma senza raggiungere i livelli degli anni precedenti. Dati alla mano, non c’è alcun elemento che possa sostenere una reale emergenza-criminalità.

– E allora perché la gente ha sempre più paura?
– Perché, ad esempio, mentre i reati diminuiscono, lo spazio della cronaca nera nei notiziari si quintuplica. E perché la crisi colpisce anche la psicologia delle persone. E soprattutto perché… ne parliamo tra un attimo.
– E allora in carcere?

Già… Chi c’è, in carcere? Il reato principale non è l’omicidio, né la rapina: è la violazione della legge Fini-Giovanardi del 2006 (occhio alla data!) che trasforma il possesso di droghe, anche leggere, in reato penale. Circa un terzo dei detenuti – al momento, 23.000 – sono in carcere per effetto di questa legge. Inoltre, la legge Bossi-Fini che trasforma in reato la condizione di immigrato: in teoria poco più di un migliaio di detenuti (cui andrebbero aggiunti le migliaia detenuti nei CIE). La condizione di clandestinità, come dimostra un rapporto della Fondazione Rodolfo Debenedetti, è criminogena, perché in realtà solo gli immigrati irregolari commettono più reati:

«”La condizione d’irregolarità – si legge nel rapporto – incrementa fortemente il rischio di coinvolgimento in attività criminali, in quanto preclude l’accesso a opportunità di guadagno lecite, aumentando la propensione a delinquere”. Non è un caso che gli irregolari rappresentino l’80% degli immigrati coinvolti in attività criminali, mentre la loro quota sul totale degli stranieri residenti è molto al di sotto del 20%. Insomma, la probabilità di commettere crimini per gli stranieri irregolari è pari a 16 volte quella dei regolari (che mostrano invece tassi di criminalità simili al resto della popolazione italiana)».

C’è un altro aspetto da considerare: molti dei circa 22.000 stranieri detenuti, proprio per la loro condizione di irregolarità – quindi prive di residenza e familiari fuori dal carcere – non hanno accesso alle misure di pena alternative.
In altri termini, ci sono leggi che creano figure di criminalità che prima non esistevano, o che incrementano la criminalità: che trasformano in reato una condizione o uno stile di vita. Le galere sono poi un moltiplicatore di queste condizioni: chi entra in carcere, anche per un reato minore – uno scippo o uno spinello – viene trasformato in un soggetto destinato, scontata la pena, a comportamenti che lo riporteranno in carcere. Anche perché la popolazione carceraria, nel corso del tempo, è profondamente mutata: è una popolazione composta nella gran parte da detenuti incarcerati per piccoli reati, quindi molto mobile e mutevole, priva di coesione sociale che consentirebbe di supportare e aiutare le situazioni umane e personali più fragili e borderline.
Senza un diretto intervento – il che vuol dire assistenti sociali, strutture adeguate, spazi di socializzazione, ecc. – la vita nelle carceri non può che essere al di sotto della soglia di dignità e di umanità. E se la volontà politica di attuare questi interventi non c’è, vuol dire che allo Stato sta bene la creazione di criminalità a mezzo legge, e produzione di carcere a mezzo carcere.

– Si potrebbero svuotare le carceri da quei detenuti, allora.
– Se lo scopo fosse solo quello di riportare le carceri a condizioni di civiltà minime, si potrebbe cominciare con l’intervenire sulla Bossi-Fini e sulla Fini-Giovanardi, che fu esclusa dall’indulto del 2006.
– Ma lo dicono anche Grillo e Renzi, che queste leggi vanno abolite!
– Grillo solo la Fini-Giovanardi, in verità. Ma appunto: se queste leggi sono sbagliate e dannose, come si può chiedere la loro abolizione e non sanare con un indulto la posizione di chi per via di queste leggi è finito in galera?
– Ora che mi ci fai pensare…

E si potrebbe ampliare la quota di detenuti che lavorano, soprattutto all’esterno. Negli Stati Uniti e  nella maggior parte dei Paesi Europei il numero dei condannati in misura alternativa è doppio rispetto al numero dei detenuti, in Italia è appena un quinto. Anche perché la percentuale di detenuti in misura alternativa che ha goduto dell’indulto ed è ritornata in galera è di circa il 21%.

Come si vede, basta sapere di cosa si parla, e quei provvedimenti legislativi che dovrebbero seguire all’indulto per una vera riforma della condizione carceraria vengono fuori senza fatica.

4. L’invenzione dell’emergenza-sicurezza

Tirando le somme:

  • si creano tipologie di reato come l’immigrazione clandestina, si approvano leggi criminogene, e si mantengono condizioni che sono anch’esse criminogene, e che porteranno due terzi dei reclusi alla recidiva;
  • si impediscono, o si ostacolano con forza, provvedimenti come l’indulto e le misure alternative che producono un drastico calo della recidiva e una effettiva diminuzione dei reati.

– E questo perché?
– Perché così si creano le condizioni per lanciare l’allarme-criminalità e per denunciare un’emergenza-sicurezza che in realtà non esistono.
– Questo l’ho capito. Non capisco perché dici di non essere un garantista.
– Perché il garantista è un’anima bella che si ferma alla superficie di questi fenomeni, magari crede che le leggi siano scritte da incompetenti, e non si interroga sul senso di questo allarme, sulla sua funzione, sui suoi scopi.

Spacchettando la situazione carceraria, abbiamo visto come l’emergenza di cui si sta trattando sia creata proprio da chi ha il potere di determinarne la prosecuzione o l’interruzione. E questo in coerenza con altre “emergenze” create a bella posta per rimpolpare un’altra emergenza, quella della sicurezza. A che serve riempire la società di paure, anche soltanto nulla facendo per prevenirne la formazione? A chi giova una società pervasa da panico, rancore, odio sociale da sfogare ora verso il carcerato, ora verso il migrante, ora verso i presunti responsabili della crisi economica, ora verso chi si ribella contro questa società?
femminicidio_no_tavIn primo luogo, la “politica della paura” (come la chiama il nostro amico Serge Quadruppani in un suo libro) serve a garantire consenso. Non è una storia recente, e non è una storia solo italiana: è una caratteristica delle società moderne. I governi non sono in grado di rispondere, se non in modalità provvisorie, alle richieste e alle proteste della società, ed esercitano la propria ridotta capacità di amministrazione (la cosiddetta “governance”) scegliendo le richieste a cui dare risposta. O meglio, creando queste richieste: come la richiesta di maggior sicurezza, che non è fondata su elementi reali, ma può essere creata e accresciuta, facendo leva sul panico sociale, attraverso l’uso dei mass media. Non a caso la risposta alle reali emergenze sociali – il razzismo dilagante, il femminicidio – è sempre in termini penali: si sciacquano la coscienza con leggi che non intervengono sulle cause, e propongono come soluzione la galera – che, di per sé, non risolve i problemi, ma li accresce.
E dentro questi pacchetti-sicurezza nascondono norme ancor più repressive: come quelle che aumentano le pene per chi protesta, cucite ad hoc sul movimento No Tav, nascoste dentro la legge sul femminicidio. Come quelle che rendono la protesta, a volte la semplice idea di protestare, un reato più grave della speculazione finanziaria.

– Un complotto, insomma?
– No: una precisa tecnica di governo della società. Ma non basta…

La Costituzione, ricordate? Quella che viene violata non solo negli articoli che determinano l’esecuzione della pena, ma in molti altri articoli – dal diritto all’istruzione alla rimozione degli ostacoli economici e sociali che impediscono il pieno esercizio della cittadinanza attiva, dalla parità dei sessi al diritto ad una vita degna di essere vissuta. Mentre la carta costituzionale resta sempre lì, immobile come una statua, una fitta serie di provvedimenti amministrativi – decreti, ordinanze, regolamenti – improntati a criteri di “efficienza” e di “compatibilità economica” realizza giorno per giorno una costituzione di fatto che rende superata la Costituzione del 1948, e illusoria l’idea che la sua difesa possa essere il fondamento dell’opposizione a questo stato di cose. E su questi provvedimenti (come abbiamo visto nel caso della legge di stabilità) il presidente Napolitano non solo tace, ma volentieri acconsente, quando non promuove in prima persona. E lo stesso per i membri dell’attuale governo, che nel migliore dei casi fanno da foglia di fico per queste politiche: non per caso in molti abbiamo tifato e tifiamo asteroide. Anche questo, peraltro, non è un tratto unico dello Stato italiano, ma una caratteristica dello Stato moderno: e non a caso si parla, nella dottrina giuridica, di processo di decostituzionalizzazione.

– Stai dicendo che i problemi sono altri?
– No. Sto dicendo che la battaglia per l’amnistia è illusoria se non si ha presente lo sfondo generale sul quale si colloca la questione. E che battersi per l’amnistia può essere utile per modificare l’ordine del discorso sicuritario, per battere in breccia l’emergenza-sicurezza, e aprire spazi di lotta e di libertà: basta saperlo, e volerlo.

5. Il nuovo che avanza – ma davvero tutto ciò che avanza è “nuovo”?

Resta un ultimo punto da affrontare: l’opposizione all’amnistia da parte dei nuovi soggetti politici, ossia Renzi e Grillo. Che fino a ieri la richiesta di amnistia/indulto l’avevano appoggiata e sottoscritta.
Nel giugno 2011 Grillo scriveva sul suo blog: «Marco Pannella si sta battendo per una causa giusta, contro le morti in carcere, ogni anno più di 150, molte di queste oscure e riportate purtroppo con regolare cadenza su questo blog. Non ci vogliono più carceri, ma meno detenuti.»
Nel dicembre 2012 Renzi sottoscriveva una lettera aperta a Marco Pannella che diceva: «Le tue richieste sono giuste e legittime, nella loro immediatezza oltre che nel loro contenuto. […] Con grande apprensione e la piena solidarietà, da oggi introdurremo nelle nostre priorità istituzionali le necessarie misure affinché si possa limitare e riparare al collasso della giustizia e della sua appendice ultima delle “catacombe” carcerarie, luoghi di sofferenze atroci, di tortura e di morte quotidiana […] sperando, con forza e caparbietà, che il Parlamento italiano conceda un provvedimento di amnistia e si attivi con atti urgenti per porre rimedio all’emergenza carceraria, al vergognoso sovraffollamento delle nostre strutture penitenziarie, non come soluzione ma come punto di partenza per una riforma strutturale della giustizia, con misure alternative alla carcerazione, in primis per i tossicodipendenti».
Oggi si scagliano contro questa “giusta causa” con argomenti del tipo: è un autogol, perderemmo voti, gli italiani non la vogliono.

– Ma è vero che gli italiani non vogliono questo provvedimento.
– E chi lo dice? Quei sondaggi che sbagliano regolarmente le previsioni elettorali, ma quando serve diventano verità scientifiche?

Posto che sia vero: che l’opinione pubblica sia contraria, è l’effetto di quelle passioni tristi di cui parlavo prima. Ma, sempre fingendo di prendere per buona la politica: a cosa dovrebbero servire partiti e governi, soprattutto in una condizione di “larghe intese”, se non ad assumersi il coraggio di provvedimenti impopolari, seguiti da misure effettive che facciano mutare l’opinione degli elettori?
Il rischio di essere sanzionati alle elezioni non dovrebbe essere lo stimolo per attuare quella riforma generale della condizione carceraria prima delle elezioni?

– Lo scrivi, ma non sembri crederlo,
– Infatti non credo che lo faranno. E non solo perché, come ho già argomentato, questa situazione serve a produrre un consenso malsano e drogato. Piuttosto, hai presente gli zombie?
– Zombie? Cosa c’entrano gli zombie con la politica?
– C’entrano.

Con gli zombie funziona così: tu sei vivo, e loro sono morti – e questo fa la differenza. Però non sono del tutto morti: una parte del loro tronco encefalico (così, almeno, è in The Walking Dead) è ancora attiva. Quello che non hanno, è quella parte del cervello che sovrintende allo sviluppo della persona umana. In altri termini si muovono, si nutrono, sono in grado di agire di concerto – come branco o mandria, ma sempre un agire comune è – per soddisfare il bisogno primario di nutrirsi: sono utilitaristi, rispetto alle necessità biologiche. Ma non sono in grado di esercitare il discrimine critico tra bene/male, giusto/ingiusto, ecc.
Ora, il punto è che se lo zombie ti morde, tu diventi come lui, e la differenza tra lui e te cessa: fine della storia.
twd1La politica dei sondaggi, dell’utilitarismo, è una politica che – per supportare interessi classisti di ordine superiore – considera irrilevanti cose come valori, scrupoli morali, lotta all’ingiustizia, ecc. Magari sarà sempre stato così, ma Berlusconi ha reso palese questo atteggiamento, lo ha addirittura rivendicato e se ne è fatto vanto.
Ora che la sua barca affonda, avanzano dei figuri che si pretendono nuovi, e che ragionano esattamente come lui: sono stati morsi dallo zombie, e sono diventati zombie anch’essi (e una volta che sono zombie, a cosa serve aver mozzato la testa allo zombie n. 1?). Cambiano idea a seconda del sondaggio o della strategia di marketing; non gli interessa dire la verità, ma solo quello che serve (secondo loro) a ottenere percentuali di voto in più. È il divenire-zombie della politica, ed è molto pericoloso: si rischia di essere morsi.

– E cosa si può fare?
– Fuggire da loro. E nel fuggire, come diceva Deleuze citando George Jackson, cercare nuove armi.