di Mauro Baldrati
Sappiamo che Swann, uno degli eroi – benché assai poco eroico – della Recherche, sta preparando da molto tempo un saggio sul pittore Vermeer. Ma è un progetto che non porta, né porterà, a termine. Perché Swann è pigro, indolente, incapace di passare all’atto, come molti dilettanti. E’ raffinato, colto, ma alle domande irritate della fidanzata (e futura moglie) Odette, di spiegarle cosa c’è di veramente bello in Vermeer, non sa, o non vuole rispondere. Più probabile la seconda ipotesi, conforme alla proverbiale indolenza del nostro, e alla sua forma di modestia fondamentalista, che in realtà è la vera classe di chi non si profonde in spiegazioni o esibizioni della propria erudizione.
Dunque cosa c’è di veramente bello nel pittore olandese secentesco? La luce straordinaria dei fiamminghi? Il loro delicato iperrealismo? La trasparenza celestiale dei colori? Chissà se le migliaia di spettatori che, in febbraio, entreranno nel museo privato bolognese Palazzo Fava, in una grande mostra su Vermeer che, dopo molti anni, fa uscire Bologna dal suo provincialismo e dall’autoesclusione dalle mostre internazionali (grazie a una banca), se lo chiederanno.
Per la verità la mostra non è monografica. Ci saranno altre tele di maestri fiamminghi, Rembrandt, Hals, Ter Borch, Claesz, Van Goyen, Van Honthorst, Hobbema, Van Ruisdael, Steen, ma chi tira è lui, Vermeer. Il suo capolavoro La ragazza con l’orecchino di perla avrà un salone interamente a disposizione, con altissimi soffitti a cassettoni e affreschi di Carracci. Su una parete di questa grande sala sarà posizionato, in una teca climatizzata, da solo, il piccolo quadro di cm 39 X 40.
A dire il vero questo non era il titolo originale del quadro. E’ stato cambiato. Vermeer lo chiamò Ragazza col turbante. Ma è un dettaglio trascurabile. Ora Vermeer è diventato un personaggio pop, e deve sottostare alle regole poco democratiche del marketing selvaggio. Un libro di successo, che ha rinominato il quadro, di Tracy Chevalier (ottimo peraltro, intrigante, ben scritto e piacevole), e un film interpretato dalla superstar hollywoodiana Scarlett Johansson, hanno generato una concatenazione di macchine produttive di immaginario, pubblicità, gossip, che è diventata macchina del tempo, ha fatto un salto di alcuni secoli, ha prelevato Vermeer e l’ha catapultato nel sistema dell’entertainment e della fabbrica dei miti.
Non che il pittore fosse poco conosciuto, o sottostimato. E’ uno dei grandi maestri dell’età dell’oro dei fiamminghi. Ma era lo stesso prima? Cosa pensava di lui Odette, ragazza ordinaria, ignorante, bugiarda, la musa incomprensibile del raffinatissimo Swann? Dietro la sua esasperata domanda: cosa c’è di veramente bello in Vermeer si nasconde la battuta: insomma smettila di rompere con ‘sto Vermeer! E la sua maestra di vita, la petulante, ricchissima, feroce Madame Verdurin, avrebbe apprezzato il pittore solo se adeguato alla sua visione egoistica della moda, della tendenza, e mai, mai, se oggetto di culto per intellettuali d’élite.
Così, accanto agli spettatori che riusciranno a prenotare un biglietto per la mostra, ci saranno Odette e Madame Verdurin, a porsi con loro la domanda. Forse Madame Verdurin non se la porrà, essendo incapace di provare sentimenti che non siano l’astio, il disprezzo per i chic, la crudeltà verso i deboli, ma si limiterà a cercare di stabilire se il pittore, e la mostra, siano conformi al suo modello di artista non-noioso. Odette e gli altri, invece, forse proveranno quel senso di doloroso straniamento che sempre interviene quando, ebbri di mitopoiesi mediatica, ci troviamo di fronte all’oggetto reale che l’ha generata. Proprio come il Narratore delle Recherche che, dopo giorni e notti e mesi di sogni sul salotto mitizzato dei Guermantes, una volta entrato, si stupisce di non provare nulla di speciale né di elevato, ed è incredulo quando è costretto a constatare che si tratta di persone normali, che parlano in maniera normale.
Ovviamente il quadro non è normale. In quello sguardo Vermeer ci ha messo la vita, il sentimento. Nelle labbra socchiuse della ragazza ci sono promesse, sensualità e persino innocenza. C’è la grazia.
Ma cosa c’è di veramente bello?
Gli spettatori spinti, costretti alla visione dalla fabbrica dei miti, forse riusciranno a sdoppiare la domanda e a chiedersi cosa c’è di veramente bello nella monumentale impalcatura di stelle mediatiche, red carpet, flash di fotografi, articoli entusiasti e tutti uguali, filmati celebrativi, primissimi piani ad alta definizione di volti glamour de-contestualizzati, aggettivi roboanti e omologati, gadget e bel mondo. E la domanda potrebbe diventare: perché non riesco a consumare fino in fondo il veramente bello? Perché questo distacco, questa insoddisfazione? Sono io o è il quadro, così piccoletto in confronto all’enfasi di cui è avvolto?
Non sarà invece che la macchina di fabbricazione del mito mi costringe a nutrirmi del suo prodotto, e mi impedisce di godere dell’unica vera bellezza, quella dell’arte, che ci invia i suoi segni reali, addirittura modesti, mentre siamo travolti dai segni mendaci della mondanità?
Ma è dura. Dubitiamo che Odette de Crécy, la cui pigrizia mentale è seconda solo a quella del suo futuro marito, abbia il tempo, e la pazienza, di porsi una simile domanda.