di Antonino Fazio
[Sono passati quasi otto mesi dalla scomparsa del nostro collaboratore Riccardo Valla. Lungi dall’averlo dimenticato, pubblichiamo questo ricordo che descrive alla perfezione un intellettuale, ma soprattutto un amico che ci manca tanto.]
Ho visto per l’ultima volta Riccardo Valla sabato 5 gennaio, a cena con altri amici, due giorni prima della sua scioccante scomparsa. La prima volta lo avevo incontrato negli anni ’70 del secolo scorso. Ero andato nella sua libreria torinese di via Volta, la Sevagram, per comprare un paio di romanzi di Philip Dick. Mi colpì subito per l’esuberanza, sia fisica che mentale. Io ero un tipico giovanotto dell’epoca, con i capelli lunghi e un po’ stirati. Lui aveva la barba nera e una chioma scapigliata, da bolscevico. In quel momento non c’era molta gente, ed ebbi la possibilità di fargli qualche domanda. Ricordo che gli chiesi notizie sulla Semantica Generale di Korzybiski, citata da Alfred van Vogt nel ciclo del Non-A. Io dubitavo si trattasse di uno di quei volumi immaginari, come il Necronomicon di Lovecraft, ma mi spiegò che il libro esisteva davvero, e che lui ce l’aveva anche, ovviamente in inglese. Ric era uno che aveva tutto, e in più esemplari, come scoprii anni dopo.
Tornai al Sevagram ancora due o tre volte, ma era sempre pieno di persone che lui intratteneva con il suo eloquio ribollente di citazioni coltissime, informazioni erudite, riflessioni e battute, secondo una sua personalissima miscela. Non riuscii a parlargli direttamente, così mi limitai ad ascoltarlo. All’epoca non frequentavo l’ambiente, e in seguito non ebbi occasione di rivederlo.
All’inizio del nuovo millennio, tuttavia, entrai finalmente in contatto con il vasto mondo degli appassionati, per cui ci ritrovammo su un treno che ci portava a Piacenza per uno di quegli incontri memorabili organizzati da un altro grande che ci ha lasciato: Vittorio Curtoni.
Eravamo entrambi un po’ cambiati. Io avevo un filo di barba e non portavo più i capelli lunghi, lui non aveva più l’aspetto del rivoluzionario russo. Sembrava esattamente quello che era: uno studioso. Tuttavia, per chi non lo conoscesse, non era facile capire di cosa fosse esperto, per il semplice fatto che si interessava praticamente a ogni campo dello scibile umano. In quell’occasione, mi avvicinai a lui un po’ titubante e gli chiesi se lui fosse davvero il famoso Riccardo Valla. Lui confermò, con il suo sorriso bonario, e ci mettemmo a chiacchierare.
Da allora non abbiamo smesso di frequentarci, facilitati dal fatto di abitare nella stessa città, ma soprattutto dal fatto di condividere la passione per la letteratura di genere e il gusto per le riflessioni teoriche. Fu quasi inevitabile, o quantomeno naturale, instaurare anche una collaborazione che ci ha portati a scrivere insieme alcuni articoli, due dei quali pubblicati e uno non ancora uscito, più un quarto in fase di elaborazione, del quale abbiamo fatto in tempo a mettere giù una decina di cartelle.
Sono tutti articoli scritti sotto forma di dialogo tra noi due, secondo una formula che aveva proposto lui. Un’altra sua proposta, discussa all’uscita da una pizzeria, era stata quella di preparare un volume di saggi brevi su Cornell Woolrich, che Ric e io abbiamo curato e la Elara ha pubblicato nel 2010, con il placet di Ugo Malaguti e il coinvolgimento di Giuseppe Lippi.
Nell’ultimo periodo ci si ritrovava con gli amici torinesi del Mu.Fant, il Museo del Fantastico, per organizzare iniziative, mostre ed eventi di vario tipo, tra cui l’esposizione sugli Antenati della Fantascienza in Italia, gli incontri presso la Biblioteca Civica Centrale di Torino, e la celebrazione dei sessant’anni di Urania. Di tutto questo Riccardo era tra i principali artefici e ispiratori, nonché tra quelli in grado di fornire gran parte del materiale occorrente.
Quel che si dice di lui è tutto vero. Era generoso, affabile, cordiale, dotato di autoironia e senso dell’umorismo. Amava le facezie, il calembour, lo sberleffo, le battute irriverenti, gli aneddoti un po’ strambi, le citazioni insolite, le battute paradossali, i ragionamenti sottili, e tutto ciò che di meglio la cultura umana ha espresso nel corso dei millenni: letteratura, pittura, musica, mitologie, teorie scientifiche, filosofia, e produzioni artistiche di ogni tipo.
Tra le tante cose che gli ho sentito affermare, ce n’è una che secondo me riassume bene il suo peculiare punto di vista sul mondo. A proposito delle pratiche magiche, diceva che la sua posizione non era di respingerle per adesione al paradigma scientifico, ma per la semplice constatazione che una botta in testa gli sembrava più rapida ed efficace di un complicatissimo rito Vudù.