di Marilù Oliva
Si chiamano 77 Bombay Street, sono quattro fratelli tra i 23 e i 31 anni riunitisi in una band dal 2007, anno della loro nascita artistica, nella svizzera Scharans. Non sono ancora conosciutissimi – per fortuna, essendo io un po’ allergica ai troppo-giovani e pure troppo-famosi –, ma vengono seguiti con occhio attento dalla critica: stanno procedendo lungo il cammino del successo, costruendolo con ponderazione, passione e applicazione, giorno dopo giorno, concerto dopo concerto e tour in giro per l’Europa.
Il loro stile risente di sonorità folk e di indie rock, anche se, quello che mi viene da pensare ascoltandoli – e me lo confermeranno durante un simpatico colloquio – è che la loro musica non sarebbe così circolare se non fossero cresciuti studiando e amando soprattutto i Beatles. Durante la nostra chiacchierata si mostrano affiatatissimi e parlano uno alla volta, alternandosi con molta spontaneità: Joachim (voce e chitarra elettrica), Matthias (voce principale e chitarra acustica), nella seconda foto, e Esra (voce e batteria) e Simri-Ramon (voce e basso), nell’ultima foto.Il loro nome ha un’origine romantica, essendo il numero 77 di Bombay Street l’indirizzo della loro residenza ad Adelaide, in Australia, dove la famiglia Buchli, composta da ben nove persone, si era trasferita dalla Svizzera. Sono in circolazione dal 2008, quando è stato realizzato un EP di debutto, ma si è cominciato a parlare di loro seriamente tre anni dopo, grazie all’album “Up in the sky”, premiato con un disco d’oro e uno di platino. Il secondo album, “Oko town”, ha scalato le classifiche in Svizzera, diventando in pochi mesi disco di platino.
Li ho incontrati poche settimane fa, durante la tappa toscana del loro tour estivo, nel Comune di Civitella, all’Arezzo Wave Love Festival, intorno al quale vorrei dire due paroline per celebrarne lo spirito autentico, l’atmosfera di libertà, l’idea della contaminazione definita dal flautista Roberto Fabbriciani «contaminazione all’inverso, ovvero il rock contaminato dal classico e dal pop», ma soprattutto la democrazia della musica: una grande opportunità per alcune tra le miriadi di giovani band valide, che procedono faticosamente nell’impervia strada della professione. E allora cito, tra gli invitati, i nomi noti e meno noti di italiani che Mauro Valenti, direttore artistico, ha voluto assieme ai 77 Bombay Street: da Max Gazzè, dagli Unheimlich! – sestetto abruzzese dal sound trasversale tra electro e trip hop – ai Boxering Club, che propongono indie rock mescolato a world music e ritmiche selvagge, fino agli Avast dalla Basilicata, poi In medias res del Trentino Alto Adige, gli Ansomia della Liguria, The beautiful bunker del Veneto, i Gatti Mézzi, gruppo pisano di jazz e swing, che ricordano un mix tra Gaber, Conte e Buscaglione e il duo Iotatola, composto da Serena Ganci e Simona Norato. Così, giusto per farvi qualche nome e spiegare in che contesto e in che clima di ritmi e confini valicati si sono trovati a suonare i 77 Bombay Street la sera di domenica 14 luglio 2013.
In ogni canzone c’è un tocco di nostalgia, ma anche di ribellione. Così, ad esempio, “Up in the sky” è una poesia, o altrimenti un inno alla libertà, quella vera, utopistica, realizzabile senza le costrizioni di religioni di ogni risma né controlli tecnologici e abbattendo il potere dei soldi:
Up in the sky, there’s no religion
There are no cars and no phones and you cannot be controlled
Up in the sky, you just feel fine
There is no money making crime but a lot of good wine
Simri mi spiega – forse lanciando una critica ai testi non costruttivi, ripetitivi, vuoti – che nel comporre le loro canzoni prestano estrema cura alla scelta delle parole: «Non sono solo un “blablabla” di parole, ma esprimono realmente i loro principi fondamentali quali, fra i tanti, il rispetto per la natura e per gli altri». Basti ascoltare “In the war”, monito non paternalistico ma molto bello contro la guerra e contro i crimini di guerra.
And in the war you can kill for no reason, it’s no crime
In the war you can do the things you always had in mind
Azionata dal potere, la guerra è un motore di cui non ci possiamo liberare. Sono loro stessi ad ammetterlo, nella persona di Esra, il batterista: «La guerra è uno stato endemico della natura umana, ci appartiene». Burattinai sono i governatori, burattini centomila soldati che non sanno cosa cercare e finiscono per spararsi da soli:
And now all thousand battle ships are landing on the shore
And one hundred thousand soldiers don’t know what they’re looking for
For they cannot find their enemies, no weapons and no war
So they start to shoot each other ‘cause that’s what they were trained for
È incoraggiante che quattro nuove, giovanissime leve parlino con tanta cognizione di un progetto, quello musicale, che in qualche modo si nutre anche di ambizioni sociali. L’idea, quindi, è quella di dare un piccolo contributo per cambiare il mondo. Cosa non facile, certo, perché il progetto deve fare i conti anche con i problemi di sopravvivenza quotidiana, come mi conferma Matthias: «Essendo noi quattro fratelli certo con gli stessi interessi ma con personalità diverse, abbiamo idee non sempre concordanti, a volte è molto difficile trovare una strada che funzioni. È comunque una bella sfida». Ovviamente ragazzi come loro – molto educati, molto belli e molto talentuosi – sono già circondati da uno stuolo di fan. Ma hanno l’intelligenza per mantenersi entro quella linea di rapporto che non prevede presunzioni né rapporti vassallatici. Cito le parole di Joe, quando dice: “La cosa a cui non vorremmo mai rinunciare è il nostro rapporto con i fan. Una bellissima relazione”.
Prima ho accennato ai Beatles in quanto loro grandi maestri. Ciò non significa che ci sia una vera e propria emulazione, quanto piuttosto la ricerca di una strada attraverso la propria originalità e lo studio delle esperienze dei grandi. Del resto anche i Nirvana e Kurt Cobain erano debitori – esplicitamente, in musica e parole – di quella capacità melodica, anche nei pezzi più duri. Questo per dire che la “cattiveria” non esclude il debito nei loro confronti. Nel caso dei 77 Bombay Street non parlerei di cattiveria, ma di grinta. La partenza, comunque, ci lascia pieni di speranze.
Per il resto ne riparliamo tra qualche anno.
Non molti, però.