di Alexik
La prima volta che mi sono imbattuta nella supercazzola dell’ombrello era l’ottobre del 1986. Si stava celebrando a Trieste la farsa del processo a Nunzio Romano (Sisde), Giuseppe Guidi, Maurizio Bensa e Mario Passanisi (Digos di Trieste) per l’esecuzione di Pedro, Pietro Maria Walter Greco. Un anno e mezzo prima lo avevano aspettato in un androne accogliendolo con una pioggia di piombo, ma lui era riuscito a scappare lo stesso per strada, impedendogli così di ficcare una pistola in mano al suo cadavere ed allestire la solita messa in scena. Fermarono la sua corsa con un colpo alla schiena, in mezzo ai passanti. Non proprio una bella figura per dei tutori dell’ordine, il fatto di freddare pubblicamente un uomo ferito e disarmato mentre grida “mi vogliono ammazzare”. Insomma una bega che necessitava di una versione di comodo. All’inizio la questura di Trieste tentò di tenere in piedi la favola del conflitto a fuoco. Un po’ debole, dato che il fucilato era privo di armi. Fu lì che l’ombrello fece il suo debutto sulla scena. Un ombrello che nessun testimone aveva mai visto in mano a Pedro e che comparve consegnato da un agente al medico dell’ambulanza. Poi scomparve per riapparire nuovamente, ma di colore e forma diversi.
Ricordo un’aula di tribunale in penombra, dove un ometto togato si arrampicava sugli specchi per spiegare la potenziale pericolosità degli oggetti di uso comune, disquisendo su bastoni animati e penne che sparano frecce avvelenate (doveva essere un cultore di Diabolik). Ricordo un’atmosfera surreale, dove l’evidenza di un’esecuzione a freddo – confermata da testimoni violentemente intimiditi – veniva derubricata a legittima difesa a fronte della minaccia dell’ombrello, terribile arma offensiva.
La supercazzola riuscì. Romano, Guidi, Bensa e Passanisi vennero in assolti o condannati a pene irrisorie. Del resto, all’epoca dei fatti, il questore di Trieste era quell’Antonino Allegra, ex capo della squadra politica di Milano, che nel 1969 aveva giurato e spergiurato sul suicidio di Pinelli. Un esempio di come le esecuzioni extragiudiziali e le conseguenti montature spianino la strada a brillanti carriere.
Ma torniamo all’ ombrello. Dopo Trieste, il nostro eroe subisce ingiustamente più di una ventina d’anni di oblio, soppiantato in popolarità da altre puzzonate, come quella del sasso di Piazza Alimonda.
Così marginalizzato ormai rischia di cadermi in depressione, quando finalmente nel 2012 gli riaffidano una particina. L’occasione è il derby Lazio-Roma dell’11 novembre, quando M.G., tifoso giallorosso, finisce al gabbio per possesso di una molotov. In realtà lui non aveva in mano una boccia ma uno di quegli ombrellini corti e retrattili, perché quel giorno su Roma pioveva a dirotto. M.G. però viene condannato lo stesso ai domiciliari e al Daspo, perché “comunque il possesso dell’ombrello, in quelle circostanze, può essere considerato come “detenzione di un oggetto contundente atto ad offendere“.
E’ la riscossa dell’ombrello ! Purtroppo non si arriva ad inquisire per traffico d’armi gli ambulanti che ogni giorno ne vendono a decine alle fermate della metro, ma di certo viene ribadita ufficialmente la sua estrema pericolosità. Rinfrancato nell’autostima, l’ombrello prepara il suo grande ritorno.
Trascorre qualche mese e finalmente arriva il grande giorno: il 5 giugno 2013 a Terni, la questura pesta una bella merda. Succede durante un’ operazione di routine: si tratta di caricare un corteo di lavoratori delle acciaierie. Una carica come tante altre. Come quella contro i dipendenti Gesip a Palermo, o quella dei facchini Ikea a Piacenza, o degli operai del Cantieri Navali di Trapani, o dei lavoratori della Mangiarotti di Milano, o degli amministrativi, medici e paramedici del San Raffaele, o degli allevatori sardi a Civitavecchia, o …. beh, insomma sembra una giornata all’insegna del solito tran tran quando, assieme a vari operai, anche il sindaco di Terni finisce con la testa rotta e sanguinolenta davanti a quei maledetti telefonini supertecnologici che filmano tutto e caricano i video in internet in tempo reale. In pratica una sputtanata gigantesca che costringe persino il governo a premere sugli zebedei di prefetto e questore.
E’ allora che con provvidenziale tempismo riappare l’ombrello, che sovrasta trionfante la scena delle cariche in mano ad uno degli operai aggrediti. Poco importa se si tratta di un ombrello Ikea con manico in gommapiuma, e se il sindaco stesso nega con forza che sia stato l’operaio a colpirlo, ricordandosi molto bene la calata del manganello.
La questura grida che è stato l’ombrello, e di conseguenza i TG di Mediaset e La 7, La Nazione, Il Giornale, Libero, il Secolo XIX, si affrettano a giurare che il colpevole è l’operaio senza ombra di dubbio (altri media hanno almeno la decenza di usare il condizionale).
Dopo qualche giorno la bufala riappare per quella che è. Un video dimostra che l’ombrello incriminato era ben lontano dal sindaco all’atto del ferimento, ma ormai la notizia è già passata in secondo piano. A scanso di equivoci, l’operaio ombrellodotato viene inquisito comunque per lesioni, riunione pubblica non autorizzata, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamenti, getto pericoloso di cose e interruzione di pubblico servizio.
Così impara !!! Ad essere operaio, a rischiare il posto di lavoro, a prendersi le bastonate dalle guardie e soprattutto a non usare l’impermeabile.
Nel frattempo, richiuso in un angolo, l’ombrello aspetta di colpire ancora, felice della sua nuova funzione: proteggere assassini da piogge giudiziarie, coprire allo sguardo le gesta di picchiatori in divisa, attrarre fulmini su capri espiatori. Finchè non si alzi un vento capace di rivoltare anche lui e di portarselo via.