di Mauro Baldrati
[Questo racconto è una cover di Chiara Palazzolo. E’ nato dopo la lettura della trilogia horror-letteraria Non mi uccidere, Strappami il cuore, Ti porterò nel sangue (Piemme 2005, 2006, 2007). Qui Chiara ha operato un interessante innesto tra diversi archetipi horror: il vampiro, col suo fascino, la sua ambiguità, e i superpoteri, è stato liberato dall’handicap della luce solare. Mentre il walker, lo zombie, conserva l’incubo del non-vivo, del mostro cannibale, ma ripulito dall’autismo che ne fa una creatura barcollante e lurida. Dalla loro unione nasce il personaggio del Sopramorto: bello, immortale, tormentato ma soddisfatto del suo destino, combatte una guerra totale coi Benandanti, un’antica setta segreta di viventi superaddestrati che cerca con ogni mezzo di individuare e di distruggere i sopramorti. mb]
Laura De Nicola camminava rasente il vecchio muro a secco, con le pietre incrostate di muschio e rampicanti. Lo sentiva. Era vicino. Avvertiva l’onda distorta del suo pensiero, quella vibrazione violenta e al contempo stupita, disperata. Era tipico dei sopramorti usciti da pochi giorni. Giovanni Dartemi era fuori da quasi tre settimane. E aveva mangiato almeno due volte. Era vorace. Affamato. Impiegavano molti giorni per rendersi conto del loro nuovo stato. Per capire chi erano. Cosa erano diventati. Zombie cannibali, questo erano. Ma scoprivano presto che avevano bisogno di cibo. Un bisogno urgente.
Erano stati trovati due cadaveri nella zona di Moraduccio-Castiglioncello. Un contadino e un cercatore di funghi. Dilaniati. Le autorità avevano parlato di qualche bestia feroce, forse un lupo, arrivato sull’appennino tosco romagnolo dall’Umbria. Un lupo! Ridicolo. Non mettevano neanche in collegamento gli omicidi con la tomba scoperchiata di Dartemi, e relativa “sottrazione di cadavere”. Era spuntata l’immancabile messa nera. Dilettanti. Ciechi e sordi.
Questi segnali potevano sfuggire a poliziotti di provincia, ma non ai cacciatori di sopramorti. Avevano immediatamente capito che un nuovo esemplare era in circolazione. E andava intercettato.
Ma il segnale non sarebbe sfuggito neanche a loro. I sopramorti antichi, che combattevano una guerra eterna coi cacciatori. Una guerra lunga 2.000 anni. Presto sarebbero arrivati, per rilevare Dartemi. Per istruirlo, addestrarlo a combattere, a mangiare senza abbandonare corpi sbranati nei boschi e nelle città. E quindi lasciare tracce pericolose.
Laura si fermò, a ridosso di un edificio mezzo crollato dell’antico borgo di Castiglioncello. Arretrò sotto l’arco di una porta. Dentro, un androne buio, col tetto scoperchiato. Travi spezzate, cumuli di macerie, edera che si arrampicava lungo i mattoni.
Spinse a fondo col pensiero, stringendo i pugni. Lanciò raffiche di onde mentali.
Benché Laura De Nicola fosse una cacciatrice tra le più potenti, selezionata anche per le sue doti telepatiche, non avrebbe mai potuto influenzare un sopramorto esperto. Si accorgevano immediatamente dell’intrusione, e avrebbero contrattaccato. Rischiando così di essere loro, i cacciatori, gli intercettati. Ma non Dartemi. Non era in grado di riconoscere l’interferenza. Era ingenuo, come tutti i nuovi arrivati
Vieni. Avvicinati. Qui c’è pace. C’è protezione.
Qui c’è cibo.
Se riusciva farlo avvicinare ancora Dartemi avrebbe sentito il suo odore. Avvertivano l’odore dei viventi come lo squalo annusa le prede nelle correnti marine.
Vieni a me. Ti aspetto.
Doveva spingere ancora, ma senza sovrastarlo. Doveva essere un richiamo. Un desiderio. Doveva sembrare il suo pensiero.
Ma il segnale si indebolì. Si stava allontanando. Forse aveva sentito qualcosa. Come un senso di pericolo che l’aveva spaventato. Doveva essere più leggera. Più insinuante.
La cacciatrice si mosse. Le borchie metalliche che rivestivano le spalle del giubbotto di cuoio strisciarono contro il muro, graffiando l’intonaco ammuffito. Il machete, che teneva appeso in cintura, tintinnò.
Uscì nel viottolo, stretto tra le case diroccate. Il silenzio era rotto solo dalle folate di brezza e dal canto degli uccelli. Lontano, proveniente dal basso, si udiva il rombo ovattato della piccola Cascata dei Briganti, che si gettava nel fiume Santerno. Sulla trave annerita che sporgeva da un muro fece capolino uno scoiattolo.
Laura De Nicola avanzava lentamente, guardinga, stringendo la grossa balestra tra le dita protette dai guanti di cuoio, tempestati di borchie acuminate. Gli anfibi con la punta metallica si posavano leggeri sulle pietre polverose.
Uscì dal centro abitato, costeggiò il piccolo cimitero. Le tombe, antiche, abbandonate, con le lapidi sghembe, sporgevano come tumuli ricoperti di vegetazione. Chissà se qualche sopramorto era emerso da quelle fosse. Chissà se in quel piccolo borgo di pastori c’era stato qualcuno abbastanza arrabbiato da risorgere per divorare i suoi simili.
Si addentrò nel bosco, fermandosi sotto a una quercia. In ascolto. Il segnale era di nuovo forte. Ma non riusciva a individuarlo. Sentiva la sua fame. Furiosa. Urgente. Questo era positivo. Il suo odore poteva confonderlo ulteriormente. L’odore di un vivente, che li faceva vacillare. Che li travolgeva.
Ma poteva essere ovunque. A destra, a sinistra, davanti.
O in alto. Se aveva già scoperto il volo, ed era in grado di controllarlo, poteva salire sugli alberi, passare da un ramo all’altro.
Appoggiata con la schiena al tronco della quercia, con la maschera di cuoio calata sul viso, la potente muscolatura, sviluppata in vent’anni di duro allenamento con la lotta e il kung-fu, in tensione, Laura De Nicola era come un predatore in agguato: ascoltava, osservava, cercava. Nient’altro. Doveva assolutamente catturare Dartemi vivo. Di per sé era inutile, così inesperto e isolato, ma rappresentava un’esca preziosa. Catturando uno di loro forse avrebbero potuto localizzare i capi. Coloro che coordinavano tutti i guerrieri morti nel mondo. I monaci. I nove cavalieri Templari, caduti durante l’assedio di Gerusalemme, risorti tra i mucchi di cadaveri, che si gettavano contro le truppe di Saladino scatenando l’inferno, seminando morte e terrore. Invulnerabili. Immortali. I generali dell’esercito della Morte. I principi degli zombies cannibali.
Riprese a lanciare segnali telepatici. Ma più discreti. Messaggi di benessere, di felicità.
Vieni. Qui c’è calore. C’è quiete. C’è luce.
Hai lasciato per sempre il buio della tomba. Il freddo della tomba.
Sono qui per te. Per accoglierti. Per proteggerti.
Intanto scrutava gli alberi, gli ombrelli di foglie delle grandi querce secolari, il sottobosco, gli intrichi di rovi, i roccioni avviluppati di muschio e di edera.
Dove sei? Ti sento. Sei vicino.
Avvertiva la sua eccitazione. La sua fame. Riconosceva l’istinto di attaccare, di sbranare.
Avanzò di qualche passo. D’un tratto intuì un guizzo improvviso, sulla cima della enorme quercia a cinquanta metri davanti a lei.
Laura De Nicola non si mosse. Valutò attentamente la distanza, studiò un percorso sicuro per avvicinarsi. Doveva raggiungerlo da destra, lungo una siepe di alberi nani soffocati dalla vitalba.
Si fermò a venti metri, dietro un cespuglio di pungitopo. Ora lo vedeva chiaramente. Appollaiato tra i rami, una camicia bianca stracciata, lurida, i piedi nudi, i pantaloni a brandelli, i capelli scarruffati. Un selvatico.
Lo teneva sotto tiro ora. Ma un dardo in quelle condizioni non l’avrebbe fermato. Si sarebbe disperso, in volo. Doveva farlo scendere, affrontarlo a terra. Anche se i sopramorti avevano una forza fisica almeno dieci volte superiore a quella di un vivente, una combattente esperta come Laura De Nicola avrebbe potuto avere la meglio con uno sbandato come Sartemi. Ma non doveva rischiare, mai. Erano gli ordini. La balestra serviva per questo.
Vieni. La terra è solida. E’ sicura.
Vieni giù. Coraggio. Io sono qui per te. Solo per te.
La forma umana ebbe un tremito. Le gambe si irrigidirono, la testa ruotò in varie direzioni, col naso all’aria.
Lascia l’albero ora. Raggiungi la madre terra.
Una gamba scavalcò il ramo, si sporse nel vuoto. L’ultima esitazione. Iniziò a planare lentamente verso terra, con le braccia aperte, la camicia gonfia d’aria.
Atterrò come una piuma. Leggero, quasi privo di peso. Si posò dolcemente sul terreno erboso, con la schiena a contatto col tronco.
La posizione ideale. L’attimo prezioso. Imperdibile.
Laura De Nicola puntò la balestra e fece partire il quadrello di alluminio, con la grossa punta a cilindro. Colpì Sartemi al centro dello stomaco, lo trapassò e si conficcò nel tronco con un colpo sordo.
Sartemi lanciò un grido, poi guardò stupefatto il dardo che spuntava dal suo corpo. Tentò di muoversi ma subito si immobilizzò, con la faccia contratta, gemendo.
Laura De Nicola sbucò dal cespuglio correndo.
“Non muoverti!” gridò, con la voce resa cupa dalla maschera “E’ una freccia speciale. Appena è entrata si sono aperti a ragno otto uncini lunghi dieci centimetri. Se cerchi di staccarti il tuo stomaco e tutti gli organi interni resteranno appesi alla corteccia. E io finirò l’opera con questo” soggiunse, impugnando il machete che aveva estratto dalla fondina.
Sartemi fissava quella maschera spaventosa, incapace di muoversi, paralizzato dal dolore e dalla paura. Laura De Nicola osservava la sua pelle grigia, chiazzata di macchie scure, gli occhi rossi, sporgenti. Non mangiava da giorni. Era già iniziato il processo di putrefazione.
Gli afferrò le mani, stupendosi per la sua arrendevolezza. Il pugno bene assestato di un sopramorto, benché ferito gravemente, benché attutito dalla maschera rinforzata, avrebbe potuto ucciderla. Invece riuscì a immobilizzargli le braccia con le manette d’acciaio. Poi ruotò la testata della freccia, per fare rientrare gli uncini ed estrarre il quadrello.
“Chi… chi sei?” disse Sartemi.
Quella voce. Gracchiante, fioca. Di chi non parlava da settimane. Di chi non sapeva di possedere una voce. Di chi non ricordava di averla mai avuta.
“Nessuno. Ora vieni con me” disse Laura, afferrandolo per un braccio, con la balestra a tracolla, il machete pronto a colpire in caso di un attacco improvviso.
Ora l’avrebbe condotto sulla radura, dove avrebbe inviato il messaggio satellitare per l’elicottero. Con l’intervento di un chirurgo sarebbe guarito in pochi giorni, grazie alla loro formidabile velocità di cicatrizzazione. Poi l’avrebbero rimesso in libertà, con un microchip sottopelle. Per tenerlo monitorato. Per localizzarlo in ogni momento.
Poi sarebbero arrivati i rilevatori. Sopramorti altamente specializzati. Qualcuno avrebbe certamente parlato. Bastava tenerli rinchiusi in una cella di cemento armato, senza mangiare. Si sarebbero putrefatti lentamente. E forse, finalmente dopo secoli, avrebbero localizzato i monaci.
I principi dei morti.
Per vincere quella guerra spietata, totale, millenaria.
I viventi contro gli immortali, che con la loro esistenza sembravano violare tutte le regole della natura, e la legge stessa del tempo.