di Roberto Sturm
Capita spesso di sentire famosi accademici trattare la narrativa di genere come letteratura minore e, successivamente, sentirli sperticarsi di elogi verso lo scrittore di turno che raggiunge le vette delle classifiche con best seller di questo tipo. Capita anche che scrittori consolidati, considerati veri e propri maestri, si cimentino anch’essi coi generi. Di esempi se ne potrebbero fare diversi, mi limito a citare due romanzi che mi è capitato di leggere recentemente: La stella di Ratner, di Don De Lillo, e Nel paese delle ultime cose, di Paul Auster; di certo non due nomi da poco. Le case editrici si guardano bene dall’etichettare i testi – questi come quelli di altri autori – perché sembra che i critici e buona parte dei lettori, in questi casi, storcano decisamente il naso. Se, al contrario e come accade spessissimo, l’appartenenza viene taciuta pare che tutti siano più contenti e ben disposti.
Essendo stato amante della fantascienza per tanti anni, personalmente noto di più le incursioni verso questo genere rispetto ad altre e il fil rouge che unisce i due romanzi di cui voglio parlarvi è proprio il loro legame con questa narrativa.Ci sono libri che segnano le esistenze di noi lettori. Non necessariamente capolavori ma romanzi che, in qualche modo, toccano le nostre corde più intime e suscitano emozioni che proviamo di rado. Ognuno ha i suoi, dipende dai gusti e dalla sensibilità personale, e Le effemeridi di Stéphanie Hochet per me è uno di questi.
Il governo britannico ha annunciato che il 21 marzo 2013 l’uomo scomparirà dalla faccia della terra. Non è dato sapere perché e come, ma la consapevolezza della fine pervade tutti. All’inizio il caos viene tenuto sotto controllo da apposite ordinanze: infatti non è la reazione collettiva, disperata o terrorizzata, che interessa alla trentottenne scrittrice francese, bensì il cambiamento dei sentimenti di un gruppo di persone che, pur vivendo a distanza, hanno un grado di parentela che li lega. A questo punto non posso fare a meno di citare Ballard: la descrizione della trasformazione del paesaggio interiore (la sua teorizzazione dell’inner space) dei personaggi di fronte al mutamento delle condizioni esterne e alla ribellione degli elementi naturali rimane uno dei capisaldi della narrativa dell’autore inglese. Sono dei primi anni Sessanta i quattro romanzi che formano la tetralogia degli elementi (Vento dal nulla, Deserto d’acqua, Terra bruciata e Foresta di cristallo) e che rappresentano il punto più alto della prima parte della carriera dello scrittore tra i più innovativi del secolo scorso. Risulta abbastanza spontaneo, credo, accostare la psicogeografia dei sentimenti dei protagonisti de Le effemeridi ai paesaggi interiori dei protagonisti ballardiani.
Entrando nel vivo dell’azione, Tara e Patty sono amanti e si trasferiscono da Glasgow a un cascinale di campagna per curare un allevamento di cani, incroci di razze superiori, che sembrano essere i soli esseri che sopravviveranno all’uomo. È un’attività che svolgono di nascosto perché messa fuorilegge. C’è un sentimento limpido e intenso tra le due che sarà ulteriormente rinsaldato dalla tragedia imminente. Neanche l’arrivo di Alice, un’ex amante di Tara, e quello della sua piccola nipote, Ludivine, scalfirà una passione che dà un senso compiuto all’esistenza delle due donne. Tara, intanto, continua a lavorare in un bordello (il “club”), dove gli uomini più potenti e in vista della città scozzese ricercano la sottomissione, la sofferenza fisica e la perdita di ogni dignità, come se avessero bisogno di scontare le loro colpe prima della fine. E in questo, Tara è la più brava di tutte. Simon Black, suo cugino, vive a Londra e un cancro alla gola gli riserva pochi mesi di vita. L’annuncio dell’apocalisse prossima lo riporta nella stessa condizione degli altri, ed è una forza ritrovata e una rinnovata voglia di vivere che gli permettono di conoscere la splendida Ecuador, la donna con cui vivrà un amore coinvolgente ed estraniante. Simon trascorre buona parte del suo tempo a dipingere in un magazzino e a passare da un lavoro saltuario all’altro per sbarcare il lunario. È la sofferenza la sua ossessione: i ritratti di giovani nigeriani sfigurati dalla lebbra sono i primi quadri che riesce a vendere. Fino a quando, visitando una mostra, la carne dipinta da Rembrandt non fissa la sua mente verso un grido che dovrebbe racchiudere, nel momento della distorsione dei tessuti, tutto il terrore del mondo. Dopo diversi tentativi infruttuosi con se stesso, costruisce un dispositivo adatto allo scopo con dei fili d’acciaio ed Ecuador sarà la sua modella definitiva. Incontriamo poi a Parigi Sophie – sorella di Alice e madre di Ludivine – il cui amore per la figlia si esaspera ancor di più dopo l’Annuncio. Ed è per il bene della piccola che accetta di arrendersi alle sue richieste di andare a trovare l’adorata zia in Scozia salvo, poi, ritrovarsi nella disperazione più assoluta nel momento in cui prevedibilmente, considerata la fine sempre più vicina, gli aerei non decollano più.
Lo stile della Hochet è musicale ma essenziale, ti porta dentro la storia con la maestria degli scrittori più esperti non lasciando niente al caso. Nessuna parola è fuori posto e l’intreccio narrativo, a capitoli alternati, ha una struttura robusta e studiata. La capacità introspettiva del testo ci presenta i personaggi senza filtri ma con una loro personalità ben definita. I loro sentimenti sono a nudo, come sarebbero i nostri, probabilmente, in prossimità di una fine collettiva. Un romanzo pre–apocalittico sui generis, che rifugge dalla facile spettacolarizzazione di una trama avventurosa ma sonda l’intimo delle persone con lucida precisione.
Con La caduta, di Giovanni Cocco, entriamo dalla porta principale in un’opera prima portentosa. Dotato di una forte personalità, il romanzo ci rimanda alla letteratura americana di fine secolo: durante la lettura non ho potuto fare a meno di pensare al De Lillo di Underworld per la struttura robusta e ben congegnata dell’impianto narrativo. Stile fresco e incisivo, l’autore parte da avvenimenti realmente accaduti che hanno inciso e incidono sulla nostra storia attuale (le rivolte in Medio Oriente, l’uragano Katrina a New Orleans, gli attentati alla metropolitana di Londra, l’elezione di Ratzinger, l’annuncio della morte di Bin Laden, l’esplosione delle rivolte nelle banlieue di Parigi, la strage di Anders Breivik in Norvegia, la crisi economica in Grecia, e altro ancora), per narrare la caduta dell’Occidente in un futuro molto prossimo. La trama, infatti, con uno slittamento distopico ci porta fino al 2014. L’autore non ha dubbi, e identifica nel potere economico il grande colpevole: lo sfruttamento sul lavoro, le compagnie di assicurazione, le banche, le guerre etniche al soldo dei grandi interessi finanziari e delle lobby.
Giovanni Cocco si aiuta, e molto bene, anche con storie personali e vissuti quotidiani che si intrecciano con gli accadimenti reali e danno ancor di più il senso di una vita faticosa, da affrontare con la scarsità di strumenti adatti che ci vengono forniti. L’autore sembra volerci suggerire che le difficoltà a cui siamo sottoposti giornalmente altro non fanno parte che di una strategia politica globale, organizzata per tenere la gente comune al di fuori delle stanze decisionali del potere. Che se non è un punto di vista nuovo, di sicuro è trattato con molta originalità e con ampio respiro. La narrativa di Cocco è impietosa e non fa sconti a nessuno. La consapevolezza dei propri mezzi fa sì che riesca nell’impresa di creare un romanzo ambizioso, primo di successivi tre episodi, come annunciato nella nota finale, che riesce a far convivere ottima letteratura, citazioni bibliche e una struttura simile a un ciclo pittorico. L’autore non cade mai, infatti, nella trappola di voler dimostrare al lettore la propria bravura e, di conseguenza, non si perde mai in sterili esercizi di stile. Un difetto, purtroppo, assai frequente anche con nomi famosi, ma che la maturità artistica di questo esordiente riesce ad evitare.
Le effemeridi, di Stéphanie Hochet, Edizioni La linea, Bologna 2013, pp. 160, € 14,00 e La caduta, di Giovanni Cocco, Nutrimenti, Roma 2013, pp.223, € 16,00