di Mauro Baldrati
A me me piace ‘o blues e tutt’e journe aggio cantà’
Pino Daniele
Everyday, everyday I have the blues
B.B. King
Era il 1961. Bob Dylan era stato convocato dalla Columbia Record per l’incisione del suo primo album, intitolato semplicemente Bob Dylan. Era il risultato di un percorso musicale nei locali del Greenwich Village, di esperienze con altri musicisti folk e blues, concerti spesso gratuiti, o pagati con le mance del pubblico, i cosiddetti cantanti questuanti. Procedeva studiando i maestri, adorandoli, spinto dalla forza incrollabile di chi sa di avere qualcosa da dire, qualcosa da fare, qualcosa da sognare.
Nello studio del talent-scout e produttore John Hammond gli fu consegnato l’acetato di un disco in preparazione, King Of The Delta Blues. Ascoltalo, gli disse Hammond, è interessante. Dylan, già stregato dalla copertina (“un dipinto inconsueto nel quale era come se l’autore stesse guardando una stanza giù dal soffitto e vedesse un uomo concentratissimo a cantare e suonare la chitarra, di altezza normale ma con le spalle da acrobata”), lo portò con sé dall’amico Dave Van Ronk, un altro personaggio classicheggiante milleriano che animava il downtown del Greenwich. Fu una folgorazione. Forse la più intensa, la più abbagliante della sua vita, dopo — o a pari merito con — quelle per Woody Guthrie e per Kurt Weil: “fin dalla prima nota le vibrazioni che uscirono dall’altoparlante mi fecero rizzare i capelli in testa. I suoni della chitarra erano delle pugnalate, roba da rompere una finestra”.
Quel cantante era Robert Johnson. Era lui il “Re Del Delta” del Mississippi, la zona territoriale più creativa e prolifica del country-blues, o blues rurale d’anteguerra. Una musica essenziale, nomade, arrabbiata, disperata/romantica/maledetta. Una musica arcaica, abissale. Era la musica che inseguiva il Bob Dylan degli inizi, già folgorato dal lonesome-hobo folk Woody Guthrie. “Le canzoni non erano dei semplici blues. Erano pezzi portati alla perfezione”.
Bob continua ad ascoltarle fissando il giradischi, immobile, per ore e ore. E’ quasi un’ossessione. Trascrive i testi, analizza le strofe, insegue l’essenzialità e la fantasia che lo incantano. Studia la sua straordinaria tecnica chitarristica, mai sentita prima di allora. Si chiede se davvero Johnson avesse venduto l’anima al diavolo, per diventare così bravo: “Ogni volta mi sembrava che uno spettro entrasse nella mia stanza, un’apparizione paurosa”.
Questa era infatti una delle leggende che circolavano intorno al personaggio di Robert Johnson, sul quale si hanno scarse notizie.
Nato circa nel 1911 a Hazlehurst, Mississippi, condusse una vita randagia, dopo che la moglie, giovanissima, morì di parto. Vagò per le varie città del Delta, fu allievo del bluesman rurale Ike Zinneman (altro personaggio misterioso, del quale non si conoscono incisioni discografiche. Secondo Bob Dylan era un bracciante agricolo) che gli insegnò, pare, la sua tecnica chitarristica originalissima e innovativa, basata su una ritmica che diventa al contempo solista, supplendo, così, alla mancanza di altri strumenti (come il basso). Di Johnson si conoscono 29 canzoni, alcune diventate dei superclassici del blues con una quantità incalcolabile di cover (forse la più famosa è la versione di Sweet Home In Chicago dei Blues Brothers). Morì a sua volta giovane, a 27 anni, inaugurando così la triste lista di cantanti e rockers, più o meno tutti di derivazione blues, morti a quell’età: Brian Jones, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Kurt Kobain, Janis Joplin, Al Wilson, Amy Winehouse. Pare sia stato avvelenato (o pugnalato) da un marito geloso convinto che Johnson stesse cercando di sedurre sua moglie.
Per Bob Dylan era l’archetipo del musicista che ammirava, forse che idealizzava. Il musicista che sperava di diventare (e che effettivamente diventò): indifferente alle mode, cultore di generi e strumenti vecchio stile (il portarmonica, usato da Johnson e poi dimenticato, mai più utilizzato prima di Dylan). Ammiratore-discepolo di musicisti “imitatori”, come Van Ronk qualificava Johnson: “Dave mi fece notare che questa canzone viene da quest’altra e una era l’identica replica di un’altra. Non pensava che Johnson fosse molto originale. Capivo il suo punto di vista, ma per me era tutto il contrario. Ero convinto che Johnson fosse assolutamente originale”.
E’ questo un punto importante. Un insegnamento che ci viene dal blues: prendere canzoni (libri?), stili considerati vecchi, datati, senza curarsi delle mode e dell’attualità. Studiarli, analizzarli, amarli. Imitarli se necessario, perché l’imitazione è la forma più avanzata di ascolto (di lettura?). Riprodurli senza preoccuparsi di cambiarli, perché il cambiamento arriverà da solo, prima o poi, quando avremo finalmente qualcosa da fare, qualcosa da dire, qualcosa da sognare.
E forse, a quel punto, saremo pronti per dare loro il nostro stile.
Perché saremo pronti per essere assolutamente originali.
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. Tutte le frasi virgolettate di Bob Dylan sono tratte dall’autobiografia artistica Chronicles (per ora ferma al volume 1).
. La discografia di Robert Johnson consiste in un doppio CD della Columbia: The complete recordings.
. La parabola del cantante “maledetto” che ha venduto l’anima al diavolo è stata ripresa nel telefilm Supernatural, andato in onda in varie fasce orarie su RAI4. Qui l’episodio, ispirato a Robert Johnson.