di Danilo Arona
Che Cosa è l’oscuro carisma? E perché viene di solito associato ai perdenti, a coloro che, citando lo slogan di un noto giornale, trascorrono coscientemente la loro vita dalla parte del torto? A quali e quanti personaggi possiamo attribuire, anche in prospettiva, una tanto potente carica energetica in grado di contagiare folle, gruppi e audience, per quanto sia riconoscibile la sua Ombra un po’ sinistra?
Sono le domande, non da poco, che mi hanno affollato la mente dopo la lettura di un libro di rara importanza nell’attuale panorama italiano, Sangue di tutti noi di Giorgio Bona, uscito per Scritturapura. Non c’è da nascondersi, Giorgio è un amico e, come tale, non ha bisogno dei miei auspici in forma scritta perché il successo arrida alla sua opera. Il dato in questione è che Giorgio mette in campo, non so quanto consapevolmente, tematiche degne della Luce Oscura, ovvero congrue a quella mitografia del reale che sostiene la nostra rubrica. A partire dal titolo del libro, che al momento accantoniamo.
Sangue di tutti noi, come ha saggiamente sottolineato da par suo Valerio Evangelisti nella prefazione, è un testo di controinformazione in forma di romanzo. Vi si racconta della triste odissea, umana e politica, di Mario Acquaviva, il “compagno Paolo”, militante durante il periodo della Resistenza nel Partito Comunista Internazionalista e per questo portatore di una tesi scomoda e “non allineata” all’interno del PCI di allora. Tesi che si può riassumere, citando Bona a pag. 44 (che cita a sua volta Acquaviva), nell’assunto: «… riconosciamo nei centristi i collaboratori delle forze borghesi; i centristi, innalzando i valori della lotta al nazifascismo, salvaguardano la democrazia progressiva, ignorando la democrazia antiborghese e anticapitalista.»
In altre parole, Acquaviva considerava una trappola subdola l’alleanza di tutte le forze disponibili contro i nazifascisti. Per lui le forze autenticamente rivoluzionarie dovevano essere in grado, anche nel pieno della Resistenza, di gestirsi autonomamente senza condividere alcun tipo di alleanza, quantunque strategica, con la borghesia. Il tutto a discapito di una strategia unitaria, in quel momento universalmente giudicata doverosa e necessaria per riuscire a sconfiggere i nemici. Questa sua posizione “eretica” gli costò sino alla Liberazione isolamento, ostracismo e denigrazione. Poi l’11 luglio del ’45 cinque colpi di pistola lo fermarono per sempre in quel di Casale Monferrato. Non fu una vendetta fascista. Rubando le parole al morente Acquaviva: «Sono stati i centristi a sparare. Dopo tutto mi avevano avvertito che me l’avrebbero fatta pagare.»
Il libro di Bona è un secco ed emozionante reportage sui giorni intensi di Acquaviva dal marzo 1943 sino al giorno della morte. E’ tagliente come un thriller, con i tempi narrativi distillati in crescendo, e profondamente commovente, ma è tempo di tornare all’assunto, ovvero, ridando la parola a Bona (pag. 49):
«… (I compagni della Brigata Garibaldi) si trovano concordi nel sostenere ciò che Mario sta affermando con insistenza. In lui tutti notano il carisma oscuro venato di malinconia e sorretto da una buona fede che contrasta con l’energia con cui contagia chi si trova accanto.»
Il presagio di sconfitta per Acquaviva è netto e leggibile. Proprio nel momento in cui il carisma oscuro, energicamente contagiante, è visibile al mondo. Un mondo esterno che lo assorbe e che ne resta al contempo sconcertato. Destino degli opinion leader provvisori e per pochi.
La storia dell’oscuro carisma nei secoli mette in campo tipacci che ne hanno acquisito tragica fama e di cui il mondo avrebbe fatto volentieri a meno. Parlarne a ridosso di Acquaviva è soltanto un espediente statistico perché Mario, come il libro fa ampiamente capire, era un bravo cristo ostinatamente perduto nei suoi ideali e per nulla disponibile a scendere a compromessi, forse in quel particolare momento degni di considerazione. Le sinistre ascendenze di gente come Rasputin, Hitler, Osama Bin Laden o Charlie Manson sono altri materiali di studio. Ma alcuni meccanismi sembrano paradossalmente comuni. Come ha sostenuto Jay A. Conger, esperto di leadership carismatica, nel suo lavoro The Dark Side of the Leadership (Fall, 1990), esistono tre aree critiche che possono allontanare il leader dalla realtà. La prima è proprio la visione strategica che rischia di essere carente per l’ostinato rifiuto di considerare strade alternative più pratiche e percorribili; in questo caso, scrive Conger, «la convinzione che il mondo è o dovrebbe essere solo come lo vede il leader, rischia di essere generata unicamente dal narcisismo, una tendenza molto comune tra i leader». La seconda è la manipolazione delle tecniche di comunicazione, ovvero quando il leader, con forti ed efficaci doti comunicative, ne abusa ed è tentato a distorcere le informazioni facendo passare solo i messaggi a cui tiene. La terza area critica si concretizza quando le pratiche gestionali e relazionali diventano passive, ovvero se il leader impegnato a gestire in modo passivo le relazioni con l’entourage, i colleghi e i collaboratori, «perde di vista lo sviluppo attivo di futuri leader che potranno dare un nuovo impulso a lui stesso e all’organizzazione di riferimento».
Lo verifichiamo in Sangue di tutti noi, Mario cadde in tutte e tre le trappole. Per ingenuità, purezza idealistica e mancanza di quel minimo di cinismo pragmatico che forse gli avrebbe salvato la vita e permesso di espandere la sua non grande sfera d’influenza. Le sue tesi non attecchirono, ma soprattutto Mario non fu in grado — di certo non gli lasciarono né tempo né spazio — di clonare altri Acquaviva, leader altrettanto carismatici. Per trovare quanto meno nella dialettica democratica il senso di una lotta interna che qualche volta si fatica a comprendere.
Allora il sangue del titolo è il sangue della vita, delle radici e dell’amore. E, per quanto scorra nelle pagine finali a lordare una morte ingiusta, è l’elemento vitale che dona un senso reale a quel “noi”. Ci siamo tutti in quell’assolato pomeriggio di luglio 1945, a testimoniare che, disuniti e strattonati qua e là dalle ragioni del cuore e da quelle della Storia, ognuno convinto della propria ragione, si perde e basta. Perché il sangue di Mario ci appartiene. E più occulti certe ferite, più un Giorgio Bona di oggi o di domani sarà in grado di riaprirle. Il sangue è un fiume. Scorre lento ma sempre.