di Danilo Arona
Di tanto in tanto, colpa degli argomenti “di tenebra” che si frequentano, mi si rivolge la domanda: «Che vuol dire il 666?» che meglio suonerebbe «Per quale motivo il 666 è la definita cifra diabolica?». In primis dovrebbe essere acclarato che “l’immondo numero” compare per la prima volta nel capitolo 13, quello chiamato “Le due bestie” dell’Apocalisse di Giovanni, nel famoso passo che, sintetizzato, suona così:
«E vidi un’altra bestia sbucare dalla terra; aveva due (finte) corna come quelle di un agnello, ma parlava come un drago… opera portenti, fino a far scendere fuoco dal cielo davanti agli uomini… opera su tutti, piccoli e grandi, poveri e ricchi, liberi e schiavi, perché s’imprimano il suo marchio sulla fronte e sulla mano; sicché nessuno può comprare o vendere alcunché, se non ha quel marchio o il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui ci vuole comprendonio. Chi se ne intende, calcoli il numero della bestia, che è il numero di un uomo: il 666».
Passo piuttosto noto, suggestivo, molte volte volgarizzato da letteratura e cinema nonché dal leggendario metropolitano, che ha dato vita nei secoli a centinaia di interpretazioni e tesi contrapposte, in grado di coinvolgere discipline astruse quali la numerologia, la simbologia e la gematria, quest’ultima metodo per decifrare il nome da un numero attraverso l’addizione dei valori numerici. Non mi sogno neppure di perdermi nella ridda infinita di ipotesi che altro non hanno fatto, in buona sostanza, che amplificare l’alone di mistero escatologico attorno alla cifra in questione, a vantaggio delle mitologie contemporanee espresse in numerosi libri e film. Mi limito solo a ricordare che Giovanni suggerisce in nota che, secondo l’alfabeto ebraico, il numero 666 è la somma delle cifre corrispondenti alle lettere Nerone-Cesare (tesi da molti smentita e avversata), identificando nella “seconda Bestia” uno o più imperatori romani, tesi che da parte dei Cristiani non poteva che trovare conferma date le persecuzioni operate da Nerone e altri nei loro confronti.
Non va peraltro dimenticato che qualsiasi riferimento misterico da decodificare era per forza di cose rivolto ai fruitori contemporanei della stesura del libro (siamo nella prima metà degli anni 90 del I° secolo) e che ogni tentativo a posteriori di trovare la chiave del “mistero 666” soffre necessariamente di tanta elevata distanza prospettica, in buona parte causa della mancata soluzione del problema.
E allora? Ben lungi dal proporre spiegazioni inverosimili, vorrei approfittare dell’approccio critico di uno dei miei lettori più attenti (che qui pubblicamente ringrazio per la costante attenzione al mio lavoro), ovvero Antonello Pizzaleo, che nel suo blog Indice di lettura ha proposto la definizione “mitografia del presente” a proposito di certi titoli miei e di Cesare Bermani, lavori di taglio per quanto possibile “scientifico” (ed è il metodo che a fatica tento di applicare con coerenza ne La luce oscura) in grado di provocare sentimenti di crescente inquietudine collegati (cito testualmente) “alle forme con cui il meraviglioso e il soprannaturale balenano malgrado tutto dalle maglie della cronaca quotidiana”.
E’ interessante quel “malgrado tutto”. Che cosa dovrebbe essere “il tutto”? Secondo me il realismo incontrovertibile del quotidiano del quale l’approccio scientifico dovrebbe sempre tener presente.
E malgrado quello, ecco che il pauroso e l’insostenibile fanno capolino. Quasi sempre. Potrei commentare che si tratta sempre di metodo di tecnica e, d’accordo con Antonello, citare come grandi maestri “conosciuti” Charles Fort e Lovecraft (e pure i “realisti magici” Pauwels e Bergier), ma meglio di lui non potrei dire quando segnala che “la realtà regala al narratore — ma anche al giornalista – materiali che possono comporsi in assonanze e rimandi, secondo analogie profonde che sembrano provenire dalle cose stesse… in modo da comporre in sequenza significativa dati aberranti e anomalie.”
E questo ci conduce all’enigma del 666. Che, sia ben chiaro, non è risolto e non lo sarà mai secondo gli esegeti del simbolismo numerico e della gematria, ma che trova invece una sua singolarissima collocazione significante nella contemporanea costellazione di tracce demoniache disseminate in cronaca, ma per dirla ancora con Pizzaleo “desunte da tradizioni tramontate e inabissatesi fin troppo velocemente”. E sembra quasi l’eco di certi passaggi narrativi di Lovecraft.
L’immondo numero è da tempo patrimonio della cultura popolare. Abusatissimo nei graffiti di ogni tipo e grandezza (un pianeta nel quale il gioco e lo sberleffo sono spesso i soli motori) e ben presente, come si diceva, al cinema e in letteratura. Al di là di titoli espliciti tra i libri (666 Io sono il Diavolo di Glen Duncan, 666 Nuovi racconti per un millennio da brivido a cura di Al Sarrantonio, 666 — Strani segni sulla pelle di Giancarlo Fornei e 666 di Jay Anson) e tra i film (Route 666 di William Wesley, 666 The Child di Jack Perez, Children of the Corn 666 — Il ritorno di Isaac di Kari Skogland, 666 Il triangolo maledetto di D.J. Webster — ma cui ci fermiamo…), la sequenza diabolica è espediente narrativo, nemmeno di poco conto, in tutta la serie The Omen (la cifra era occultata tra i capelli del piccolo Anticristo Damien), in Holocaust 2000 di Alberto De Martino (dove il 666 derivava dalla doppia radice quadrata di 231 che, letta al contrario, dava “Iesus”) e in maniera quanto mai interessante in 6 giorni sulla Terra di Varo Venturi dove la sequenza “666” è il sistema di cifre che tiene a bada e contiene la coscienza umana. Al che evitiamo di infilarci su quell’affollatissimo pianeta che gli amici Eduardo Vitolo hanno definito Horror Rock, la musica delle tenebre (da un loro notevolissimo libro pubblicato da Arcana) perché sul serio c’è da smarrirsi: fra testi, copertine, ammiccamenti e citazioni di gruppi quali Iron Maiden, Destroyer, Slipknot, Raped Gods 666, ACDC, Helloween, Old Man’s Child, Bathory, senza dimenticarsi gli antesignani Aprodithe’s Child con l’album 666, risalente al 1972 e direttamente ispirato proprio all’Apocalisse di Giovanni.
Tutto questo potrebbe limitarsi solo a una dotta elencazione di elementi sulfurei specifici, ma in realtà quel che voglio dire è che bisogna proprio cercarsela qui, se esiste, una spiegazione plausibile all’enigma del 666. Perché è la mitografia moderna, quella celata nel reale, ad aver creato la “vibrazione” infernale attorno alle tre cifre. Pare quasi di ripercorrere il sentiero antropologico aperto da Alexandra David Neel a proposito di certi miti tibetani, soprattutto quelli in cui parla dell’esistenza del Tulpa, laddove si dimostrava che i demoni albergano unicamente “dentro” coloro che credono in loro. Fatto è che l’esistenza figurativa del 666 nella cultura pop contemporanea si configura come in una sorta di mitologema segnaletico in grado di evocare paure millenaristiche e scatologiche, sospese nella twilight zone del realismo fantastico. Di certo non sfugge che in un approccio simbolico tra i più immediati si possa arrivare alla formulazione della cifra diabolica partendo dal numero perfetto 3 (la Trinità), transitando per l’estensione dei poli della medesima, 333, che moltiplicato ancora per 3, a significare le 3 essenze divine, ottiene 999. Se si rovescia quest’ultimo secondo la tradizione diabolica del contrario, eccoci al 666. Ma è legittimo qualsiasi sospetto di forzatura.
In conclusione, è ancora la cronaca, passata e recente, in grado di offrire qualche spunto per meditare sull’energia “eggregorica” messa in campo dal 666. Solo due esempi. Il primo, risalente al 27 marzo del 1991, vede un guardiacaccia che s’imbatte in un cadavere in un bosco vicino al castello di Pietralavezzare, nei pressi di Genova. Quel corpo non verrà mai identificato; gli assassini gli hanno strappato la lingua con una tenaglia e poi decapitato. La sua testa giace accanto a un muretto su cui è ben visibile e dipinta di fresco la scritta con la cifra della Bestia. Il secondo arriva dall’America e risale al settembre del 2001. Quando inizia il processo a Caius Veiovis, accusato di triplice omicidio con altri due complici, l’accusato si presenta in aula con tatuato sulla fronte il numero 666 e alcuni impianti sottocutanei che simulano le corna del diavolo. Il suo ingresso in tribunale scatena un’assoluta ondata di terrore. Veiovis è un satanista dichiaratosi tale che ha sperimentato una delle più rischiose forme di modificazione del corpo effettuate di solito con Teflon o silicone. Dal suo punto di vista, per la Bestia questo e altro…