Autobiografia tra Trieste e Barcellona
di Alberto Prunetti
Umberto Tommasini, Il fabbro anarchico. Autobiografia fra Trieste e Barcellona, Milano, Odradek, 2011, pp. 237, euro 18 (introduzione e cura di Claudio Venza)
Leggo con entusiasmo la memorialistica di chi ha vissuto la propria vita attraversando la prima metà del secolo XX. Sono esistenze molto simili, segnate da momenti di rottura che sono quasi sempre gli stessi: la prima guerra mondiale, il fronte, il biennio rosso, l’occupazione delle fabbriche, le prime squadre fasciste, la resistenza degli arditi, la persecuzione, l’avvento del fascismo, il confino. E poi l’esilio, di solito in Francia, i tentativi di mobilitazione nel campo dell’antifascismo e la fiammata libertaria della Guerra civile spagnola: i miliziani con la tuta blu, le collettività d’Aragona, la resistenza della colonna di ferro e della colonna Ascaso, le persecuzioni staliniste, in Spagna come in Russia, la morte di Durruti, le giornate di Maggio, Guernica, la disfatta, lo sfollamento oltre i Pirenei, i campi di concentramento democratici dei francesi. E poi la guerra e l’esperienza partigiana, la lotta contro il nazifascismo. E infine il dopoguerra, le lotte sociali fino al nuovo ciclo del sessantotto.
Sono pagine di una storia comune a tanti militanti, anarchici, bordighisti, trotzkisti, comunisti. Percorsi diversi, non sempre dalla stessa parte della barricata (vedi in Spagna, dove i comunisti stalinisti arrivarono all’eliminazione fisica di anarchici e comunisti trotzkisti), ma comunque sempre parte di un unico tessuto, di una trama storica che ha visto una generazione passare attraverso esperienze incredibili, dalla rivoluzione ai campi di concentramento. Che diavolo di secolo sia stato quel secolo breve ce lo dicono a volte, con maggior vibrazione di corde, più le memorie dei protagonisti che gli storici. Leggere un libro come l’autobiografia “raccontata” di Umberto Tommasini, fabbro anarchico triestino, permette di ricapitolare alcune esperienze umanamente sconvolgenti del Novecento. Come lui, migliaia di altre persone hanno vissuto in quel modo, a un passo dalla morte, sui crinali agitati della storia (anni fa qui su Carmilla abbiamo raccontato la storia di un altro anarchico italiano, Antoine Gimenez, alias di Bruno Salvadori: allora il testo non era ancora disponibile in italiano, l’avevamo letto in francese, ora è invece stato tradotto per le edizioni ticinesi La Baronata, quindi cercatelo). Quando i superstiti di queste vicende hanno raccontato la loro storia tanto eccezionale, i risultati sono sorprendenti. Il libro di Tommasini è un mix curioso di oralità e scrittura, perché il fabbro triestino ha raccontato la propria vita negli anni settanta, quando ormai già era anziano, a un gruppo di giovani anarchici che hanno registrato sedici ore di memorie. Poi hanno sbobinato e raccolto questa memoria autobiografica, garantendo al testo la vivacità del parlato (e dello smoccolato allegro) di Tommasini, limitando probabilmente i toni dialettali e permettendo a chiunque di appassionarsi alle vicende narrate. Tra quei giovani c’era anche il curatore dell’introduzione, Claudio Venza, oggi storico e autore di opere di saggistica sulla guerra di Spagna (si veda tra le sue ultime pubblicazioni Anarchia e potere nella Guerra Civile Spagnola per l’editrice Eleuthera di Milano). Il fabbro anarchico è una memoria biografia e un frammento di vissuto collettivo del Novecento e arrivati alla fine del libro sembra quasi di sentire il martello di un fabbro magro dal volto scavato battere sull’incudine della storia.