di Sandro Moiso
Come tutti gli anni, in occasione delle festività natalizie, gli italiani hanno atteso e ricevuto la loro giusta dose di cine-panettone. Ma questa volta Massimo Boldi e Christian De Sica sono stati sostituiti da attori professionisti di minor calibro per il remake di un titolo celebre della cinematografia italiana degli anni ottanta: Regalo di Natale. In questo caso accompagnato dal sottotitolo “Il ritorno della Desolazione Cristiana” e già noto, tra gli addetti ai lavori, come “Professori bis”.
Nonostante la presenza, tra i produttori, dello Ior, della Fiat-SpecialFX e delle maggiori banche italiane ed europee e di una fortissima campagna promozionale, che ha visto coinvolte alcune delle massime autorità del mondo della cultura e dello spettacolo (Bagnato e Rattinger), il film non sembra, però, riscuotere l’atteso successo di pubblico.
Sarà la trama scontata, il finale prevedibile, la mancanza di innovazione nella sceneggiatura, ma la proiezione è spesso accompagnata da lunghi sbadigli da parte di un pubblico che, sebbene abituato a veri e propri orrori cinematografici, non si rassegna al fatto che interpreti di così scarse capacità siano stati così profumatamente pagati e che, soprattutto, non si capacita di come l’informazione nazionale e la critica, che si vuole colta, abbiano promosso ed osannato una pellicola di così scarsa levatura artistica e tecnica.
Pierluigi Fessani, Pier Ferdinando Calzini, Silvio Burloni e l’anglo-americano Dick Monty (imposto, stando a quanto si dice, dalla societa di casting internazionale Standard & Poor’s) si muovono sulla scena come automi, senza alcuna naturalezza, quasi fossero programmati per azioni controllate a distanza da un burattinaio invisibile che detta loro prevedibilissime e scontatissime battute. Così, nonostante le smorfie, le finte randellate e i colpi di scena, annunciati da sghignazzi e applausi pre-registrati, la sit-com cinematografica natalizia si fa ampiamente superare da qualsiasi spettacolo di marionette presentato sulle piazze italiane nei giorni delle feste.
Il povero Pierluigi Fessani, che veste i panni che furono di Diego Abatantuono nell’originale di Pupi Avati, non riesce a suscitare nessuna simpatia né compassione negli spettatori che assistono, impassibili, al raggiro operato a suo danno da alleati che riteneva fidati.
Dick Monty, poi, ci fa rimpiangere Carlo Delle Piane, altrettanto brutto e antipatico, ma infinitamente più credibile negli stessi panni e a nulla vale il tentativo di rinnovare l’immagine del deus ex machina artefice del meschino tradimento definendolo pomposamente “il Professore”.
Le figure dei professori non sono mai state troppo accattivanti nello show-biz italiano e ancor meno lo sono oggi dopo le ultime e ben note vicende.
Il remake, in fin dei conti, si gioca tutto intorno alla novità costituita dalla scena (forse l’unica esilarante del film) in cui Burloni, con una rapida mossa, toglie la sedia sulla quale sperava di sedersi Fessani, facendolo rovinare a terra, mentre quest’ultimo già si immaginava seduto sullo scranno del giocatore più provetto ed amato. In realtà ad avvantaggiarsi della mossa è il grigio Monty che, con falsa modestia, ne approfitta per calare le sue carte.
A quel punto è evidente che il personaggio interpretato da Calzini non gioca un ruolo autonomo, ma è parte integrante del bluff di Monty. Così, a un solo quarto d’ora dall’inizio, la trama diventa assolutamente scontata e prevedibile, nonostante il frenetico agitarsi di Burloni che, per il resto dello svolgimento, non avrà di fatto più sorprese da riservare agli spettatori se non discorsi farneticanti ed abborracciati destinati soltanto a spingere anche i suoi più accaniti estimatori ad abbandonare la sala.
Si racconta che Sergio Leone avesse cercato, in Clint Eastwood, non un uomo con la faccia di pietra che fumasse un sigaro, ma una pietra che fumasse il sigaro. Forse, se fosse ancora vivo, Leone sarebbe contento di trovare in Fessani una pietra adatta a far da sfondo ad uno spaghetti-western ambientato tra le rocce del Supramonte, superato, forse, soltanto dalla fissità glaciale di Monty.
Così, dopo lo scherzo di Burloni e Monty, il personaggio di Fessani non cambierà più espressione.
Irrigidito in una sorta di rigor mortis oppure da un’improvvisa e irrecuperabile paresi facciale, non farà altro che ripetere monotonamente, fino allo scontatissimo finale, “Io sono serio e affidabile e manterrò l’agenda concordata…”. Lasciando perplesso il pubblico che già non aveva capito precedentemente come potesse sperare di vincere nel contesto creatogli intorno dai più scaltri e poco affidabili compagni di gioco e dall’ex-socio in affari Pietro Inchino.
E non riesce a commuovere gli spettatori nemmeno la figura del giovane giocatore, interpretato da Matteo Cenci, che aveva cercato, precedentemente ed inutilmente, di sostituire al tavolo verde il vecchio figlio del popolo.
Il riferimento, in questo caso, al vecchio film Il colore dei soldi, con Paul Newman e Tom Cruise, anch’esso realizzato nel 1986 come il film di Avati, è ancora una volta non solo evidente, ma costituisce anche sicuro motivo di sbeffeggiamento dei due attori italiani, una volta paragonati ai due idoli del cinema americano. L’unico motivo di interesse potrebbe, giunti a tal punto, essere costituito dalla considerazione che, una volta rimossi i pericolosissimi anni sessanta e settanta, al mondo dello spettacolo italiano attuale non resti altro che trarre ispirazione dai già mefitici ottanta.
Anche se, bisogna subito aggiungere, i nani e le ballerina dell’epoca erano infinitamente più divertenti ed abili dei saltimbanchi attuali. Di cui né la presenza, sullo sfondo, di un banalissimo villain, interpretato da Beppe Brillo, né, tanto meno, la rapida apparizione in un cameo del regista Giorgio Napoletano, che non potrebbe risultare più fasullo nelle vesti di un Babbo Natale che promette ai bambini buoni di vegliare su di loro e sul loro futuro, riescono a risollevare le sorti.
Così come la presenza di un numero enorme di comparse, degno del cinema peplum casereccio degli anni sessanta, non migliora la situazione, visto che l’unica preoccupazione di questi figuranti sembra essere soltanto quella di avere una posizione in prima fila e poter apparire così, anche soltanto per un momento, a fianco dello scontato vincitore, senza preoccuparsi di avere una qualsiasi credibilità.
L’esperimento veramente interessante che ha accompagnato la promozione del film è stata la vasta operazione di cross-over mediatico in cui trame e personaggi appartenenti ad altre storie si sono incrociati a più livelli nella speranza di attrarre più spettatori, così come è stato fatto dalla Dc Comics in occasione della “Morte di Superman” oppure dalla Marvel Comics nel suo continuo incrociare vicende degli Avengers con quelle di Wolverine e Spider Man.
Anche su questo piano la creatività e l’abilità mediatica statunitense, nonostante il continuo riferimento agli USA di coloro che si sono impegnati nel cross over made in Italy, si sono rivelate infinitamente superiori sia dal punto di vista della tecnica che della complessità delle storie narrate.
In fin dei conti quelli sono colossal hollywoodiani, mentre qui da noi si tratta di produzioni RAI — Mediaset di scarso valore, soprattutto in tempi di crisi.
Per questo motivo l’incrocio della trama principale con la precedente serie televisiva delle “Primarie”, priva non solo di obiettivi credibili, ma di obiettivi e programmi tout-court, non ha dato i risultati sperati nonostante le urla di Brillo, i lamenti di Cenci, le minacce di Massimo Patema e le sensualità tutta siciliano di Angelino Alcamo, per gli amici AA.
E non sembra aver pienamente funzionato neppure il collegamento con la serie “Una costituzione al sole” curata da Maligni, con tutto il suo toscanismo e umorismo da avanspettacolo destinati soltanto a riportare al centro dell’attenzione il già decotto Burloni, fuorviando per un attimo l’attenzione dalle manovre, nemmeno troppo ben dissimulate, del vero baro in campo ovvero il solito “Professore”.
Quello che è certo è che il pubblico pagante, per simili spettacoli, è sempre meno numeroso, così come ha già dimostrato l’anteprima siciliana , e destinato a diminuire sempre più.
Più nessuno sembra essere realmente interessato in Italia al poker europeo e alle vicende delle fiches definite euro, mentre i manifesti pubblicitari, disegnati dalla rinomata ditta BCE, scoloriranno sui muri delle città prima ancor anche lo spettacolo sia trasferito su DVD.
Il previsto sequel “Monty Tris” deve ancora, infatti, trovare finanziatori e sponsor e potrebbe, addirittura, essere sostituito da un più movimentato e spettacolare “Monty Go Home!“. Intanto il dato più significativo è costituito dal fatto che sempre più frequentemente, nelle sale cinematografiche in cui è ancora proiettato Regalo di Natale, si sentono spettatori di ogni età intonare in coro il noto ritornello “Siete soltanto dei servi dei servi dei servi dei servi dei servi…” tratto da “Rigurgito antifascista” dei 99 Posse.
Buon Natale e buona fortuna a tutti!
In memoria di Guy Debord (28 dicembre 1931 — 30 novembre 1994) e del suo fondamentale testo “La società dello spettacolo” (1967)