di Danilo Arona
E’ talmente risaputo che infastidisce il sottolinearlo. Ma esistono registi nella cui opera non si entra senza la psicoanalisi, piaccia o meno. Tra gli ultimi, Lynch, Carpenter e Shyamalan, un trittico umano e artistico cui la visione di un capolavoro spartiacque come Gli uccelli ha fatto senza dubbio bene. E’ ovvio che Alfred Hitchcock con perle da convegno basagliano nella propria filmografia quali La donna che visse due volte, Psyco e Marnie, sta in cima alla lista. Ma proprio Gli uccelli, nel suo essere film sfuggente a ogni tentativo d’ingabbiamento (ops…), potrebbe resistere da par suo all’approccio analitico della “pratica del divano” e imporsi soltanto come dizionario tecnico/ formale di un genere o di un filone in divenire. E invece no; l’apocalisse hitchockiana sperimentata ne Gli uccelli è proprio “perturbante”, in purissimo senso freudiano. Perché, in tale senso, il testo — quello che vediamo scorrere sullo schermo nato dall’interazione di Evan Hunter e Hitch — è perfetto.
Nel famoso saggio del 1919, Il Perturbante, nel quale si definivano i fondamenti psicologici della paura, Freud tenne conto dell’amalgama di terrore e di familiarità nel determinare la potenza del terrore, avanzando l’ipotesi che questo rappresenti l’irrompere nella vita adulta dei desideri e delle fantasie più primitive e impellenti. Tali fantasie — di solito delitti violenti e torture, ma anche eventi e circostanze “fuori posto” e “alla rovescia”- dominano la mente adulta, e, anche se repressi fin dalla prima infanzia, sopravvivono nell’animo umano. Il “perturbante” è quindi un effetto, una sensazione.
Una sensazione che non attiene più alla mente, ma che deriva dall’emersione e dall’inspiegabilità dell’inconscio. Come ben sottolinea Aldo Carotenuto , quando parliamo di quel mondo sommerso, di quella specie di Atlantide della geografia psichica che è stato battezzato “Inconscio”, ci serviamo immancabilmente dell’aggettivo “onirico”, derivante dal greco “oneiros” (sogno). E applichiamo quell’aggettivo sia al sogno propriamente detto (attività onirica), sia più genericamente all’inquietante espressione di spaesamento, definita da Freud “perturbante” e che richiama appunto quella caratteristica sensazione di irrealtà, anche se siamo consapevoli di non essere addormentati (vedi, appunto i modi di dire “atmosfera onirica”, “apparizione o presenza onirica”). Il fattore comune tra il sogno e la realtà fuori posto è proprio l’Inconscio, il grande protagonista. L’Inconscio con la sua visione del mondo, primitiva, ancestrale, risalente alla sua infanzia e a quella della sua specie — quando il mondo, l’intera realtà, appariva non solo ostile ma indecifrabile, un misteriose scenario popolato di mostri e incantesimi. E’ un mondo che abbiamo allontanato da noi, perché fatto di esperienze, pensieri, figure rimosse per troppa paura, di immagini arcaiche di sogni collettivi. E’ per questo che il perturbante è il ritorno di un passato remoto, di se stessi e di quello ancestrale della specie (“quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a quanto ci è familiare”, per dirla con Freud nel 1919), forse un passato in cui i fiori mangiavano gli uomini e gli uccelli attaccavano le persone dall’alto. Ed è in questo “ritorno” che il reale diventa surreale, l’inconscio dilaga a tutto schermo e un’apparente commedia hollywoodiana si tramuta nell’antesignano del moderno film horror.
Come ha scritto Silvia Vegetti Finzi , la contemporaneità fra la produzione cinematografica di Hitchcock e quelle scientifiche di Freud si presta a cogliere straordinarie coincidenze. Soprattutto sul fronte del grande spettacolo dell’inconscio, l’ “altra scena” della mente, quella che, pur rimossa e segregata dalla censura, non cessa mai di tramare la nostra vita e di deformare le nostre piu’ razionali intenzioni.
“Essa è sempre esistita e gli artisti non hanno mai cessato di darle voce e figura. Ma il Novecento, sottraendola alla penombra in cui era relegata, la pone al centro dell’uomo e della cultura grazie appunto a due grandi, Freud e Hitchcock. Innanzitutto entrambi hanno capito che l’ angoscia dell’ uomo moderno non nasce tanto dalle grandi paure quanto dai piccoli timori, dagli improvvisi cedimenti della sicurezza quotidiana quando il risaputo, il consueto, diviene inopinatamente inatteso, incomprensibile, incontrollabile. Quando, come sostiene Freud, il familiare Heimlich si trasforma nel suo opposto, Unheimlich, l’ estraneo, il perturbante. Di fatto ci inquietano molto di più un’ ombra sul muro o il cigolio di una porta nell’ ordinato, patinato universo di Hitchcock, di quanto riescano a turbarci i vari Godzilla, i morti viventi o i mostri spaziali di tanti effetti speciali. Viene in mente, in proposito, un’ affermazione apparentemente paradossale di Jacques Lacan quando lo psicoanalista francese avverte che l’ inconscio non è il profondo, il misterioso, l’ abissale ma piuttosto un effetto di superficie. E in superficie, anzi nell’ aria, si dibattono le pulsioni che, sotto forma di gabbiani e corvi impazziti, tormentano l’algida Tippi ne Gli uccelli, trasformando progressivamente una commedia mondana in uno scenario apocalittico.”
E’ certamente azzeccata la citazione dell’Inconscio Esterno di Lacan. Moltissimi anni prima di Lynch, in pieno sole (californiano), Hitch fa deflagare il “mondo attorno ai corpi” come linguaggio destrutturato che allude al trionfo del Caos e dell’inammissibile. Citando Sergio Benvenuto , “l’interpretazione è qualcosa che avviene sempre a livello di linguaggio. In altre parole, non bisogna essere molto profondi quando s’interpreta, anzi bisogna restare in superficie”. E ancora: “Lacan ha contribuito a liberarci della vita interiore: l’inconscio non è qualcosa che sta dentro il corpo. Oggi immaginiamo miticamente il corpo come una cassa, e dentro questa cassa c’è l’anima e quindi poi le pulsioni, gli istinti, i desideri ecc… L’inconscio per Lacan invece è qualcosa che si trova fuori dell’essere umano, e questo fuori per Lacan è sostanzialmente quello che lui chiama l’Altro con la A maiuscola, e che per lui è il linguaggio. Il linguaggio è l’Altro, e l’Altro è anche linguaggio, per una ragione estremamente semplice: che quando noi nasciamo, certamente nasciamo dentro il corpo di nostra madre, ma il linguaggio che ci viene insegnato ci viene sempre dall’esterno. Il linguaggio ci viene da nostra madre, da nostro padre, dagli adulti che sono attorno a noi; quindi l’inconscio ci viene, da un punto di vista lacaniano, sempre dall’esterno”.
E’ significativo a questo proposito far notare che il suono del mondo esterno ne Gli uccelli sia costituito da una totale assenza di musica strutturata e che invece il tutto sia accompagnato da un caos sonoro, formato in primo luogo dallo stridio dei volatili, a significare che il linguaggio dell’inconscio, seppure indecifrabile, sta proprio di fuori e interagisce con i nostri pensieri e con le nostre azioni.
Quest’identità lacaniana dell’Inconscio Esterno pure richiama fortemente il rovesciamento demoniaco rappresentato e descritto da Roger Caillois ne I demoni meridiani. Testo sfuggente e di grande fascino nel quale lo studioso francese, fondatore del Collegio di Sociologia, rovescia l’impostazione tradizionale del mito demoniaco collegato all’oscurità, eleggendo come momento mirabile dei demoni e delle creature maligne quello della massima luce, il mezzogiorno, ed estendendo al luogo spazio-temporale dominato dal sole il momento di più grande pericolo per le apparizioni del soprannaturale. L’analogia con gli uccelli hitchcockiani è sorprendente. Categoria quanto mai particolari di “mostri”, la congerie pennuta del film sembra prediligere la giornata più limpida per portarsi all’attacco dell’uomo nel modo più efficace possibile. E nell’oscurità gli uccelli amano maggiormente guatare le prede e fiaccarle con la destabilizzazione sonora. Ma nel buio, come insegna una delle più suggestive “avvisaglie” del film, esiste il rischio concreto di schiantarsi contro una porta e di lasciarci — alla lettera — le penne, nonostante la luce spettrale e invasiva della luna piena. Quasi dei “vampiri” alla rovescia, che di notte giacciono sui fili della luce per riposare ed essere più distruttivi alla luce del giorno. Mostri alieni e depurati dal sottinteso — di solito — substrato religioso. Coglie quindi nel segno Roberto Curti quando fa notare che la furia degli uccelli disegna un’Apocalisse senza Dio (e senza l’uomo):
“L’uomo viene scacciato dalla propria posizione centrale nel mondo contemporaneo, e schiacciato a terra, costretto all’angolo. Niente più leviatani in stile anni Cinquanta : la minaccia arriva da volatili ordinari come gabbiani e corvi; l’uomo non può farci nulla; e l’ordine non è ristabilito alla fine. Anche perché una fine non c’è… Come già accadeva in Psyco, l’orrore è arbitrario, illogico e impossibile da decifrare. Il concetto puritano di retribuzione, per cui a un peccato deve corrispondere un castigo divino, è azzerato (a essere attaccati sono gli innocenti, come i bambini di una scuola e la loro maestrina) e l’ordine del creato come noi lo conosciamo e messo in discussione: come nota l’ornitologa Mrs. Bundy, il fatto che volatili di specie diverse si riuniscano assieme è inspiegabile e irrazionale.”
Sicuro, inspiegabile, irrazionale. Ma proprio per questo perturbante. Il ritorno di un rimosso ancestrale, quasi filogenetico. Legato a un’epoca in cui gli uccelli, demoni meridiani, comandavano. Corvi e altri animali neri e “volanti” hanno trovato, con il trionfo della modernità, solo più spazio nei sogni, nelle pulsioni e nelle fantasie infantili.
La natura stessa del cinema poi si presta mirabilmente all’evocazione di tali fantasie infantili con tanto di ritorno del rimosso ed effetto perturbante. Come il bambino, anche lo spettatore osserva in passività una serie di scene sulle quali non ha modo d’intervenire. Le stesse dimensioni “fisiche” dello schermo fanno sì che lo spettatore si misuri con personaggi ed eventi più “grandi” di lui. Come il bambino osserva lo spettacolo di un mondo nei cui confronti è impotente, così lo spettatore è irretito dalla blandizie del mondo che si manifesta sullo schermo: entrambi sono voyeur passivi, sedotti e avvinti da un mondo in cui si proiettano identificazioni e fantasie. In questo senso il cinema tout court potrebbe essere definito un’esperienza perturbante. Senza dubbio alcuno Gli uccelli lo è.
Ma c’è anche un altro aspetto legato al tema del Perturbante. E’ noto che, freudianamente inteso, l’Unheimlich nasce all’interno delle pareti domestiche, in quanto patrimonio del tema gotico della “casa”. Un paradigma al proposito è ben rappresentato dal celeberrimo Giro di vite di Henry James, scritto e pubblicato nel 1898, dove sensazioni di sottile e opprimente inquietudine s’innestano direttamente nel cuore della normalità quotidiana e il giudizio percettivo su quel che si vede e si sente diviene quanto meno traballante. Poe, Hoffman e molti altri ne hanno fatto il tema di straordinari romanzi e racconti. Freud e Lacan, come abbiamo già visto, ne hanno trattato dal punto di vista psicoanalitico.
Legandosi quindi al senso di straniamento “al riparo e al chiuso della propria casa”, il perturbante denuncia un’insicurezza di fondo: quella di una classe di recente formazione, la borghesia, che all’inizio degli anni Sessanta non si sentiva affatto al sicuro a casa propria, causa soprattutto le paure per “la morte invisibile proveniente dal cielo”, ovvero radiazioni. In questo senso il Perturbante è l’archetipo delle paure borghesi, a metà tra la ricerca della sicurezza materiale e il piacere del terrore. Per Walter Benjamin , questa sensazione fu anche il risultato della nascita delle metropoli, dell’apparizione delle folle brulicanti e delle inedite proporzioni assunte dagli spazi urbani. Un senso di straniamento, di “spaesamento”, rafforzato dalla raggiunta consapevolezza della natura transitoria di ogni certezza ottocentesca: storia e natura “che mostravano l’impossibilità di vivere confortevolmente nel mondo”. Se nel Settecento il Perturbante si riferiva allo spazio interno domestico, alla fine dell’Ottocento il suo territorio persisteva a essere tale con il valore aggiunto della claustrofobia mentale: paura spaziale, paura temporale, paura delle città e delle comunità “là di fuori”. In entrambi i casi la definizione del Perturbante di Freud appariva rispettata: qualcosa di familiare di trasformava in qualcosa di diverso e di orribilmente inquietante, qualcosa di anticamente rimosso prendeva a riaffiorare. In questo “meccanismo”, sostiene Michel de Certeau , “se il passato (che ha avuto luogo e preso forma a partire da un momento decisivo nel corso di una crisi) viene rimosso, esso ritorna — ma in forma surrettizia — all’interno del presente da cui è stato escluso. In termini più generali, ogni ordine autonomo si costituisce in virtù di ciò che elimina producendo un ‘residuo’ condannato all’oblio. Ma quel che viene escluso si insinua nuovamente all’interno di questo luogo “puro”, ne prende di nuovo possesso, lo turba, rende illusoria la consapevolezza del presente di essere a ‘casa propria’, si nasconde nella dimora”.
Il Perturbante, come il Sublime, è perciò un concetto non definibile razionalmente, che denota non un’entità ma una qualità, espressione di un sentimento soggettivo, di una frattura, una divisione o un raddoppio della soggettività. I temi del residuo, del territorio oscuro, dell’emersione di alterità demoniache arcaiche convivono quindi ne Gli uccelli in senso deleuziano e freudiano: un’invasione della mente in pieno sole che costringe a ripensare la casa-rifugio come casa in cui non c’è scampo e dalla bisogna fuggire senza certezza di salvezza, come appunto capita nello straordinario finale-non finale… Il Perturbante come lato oscuro della Luce.
E giunti a questo punto, avendo citato Deleuze, non possiamo non gettare su Melania Daniels un’ulteriore “Luce Oscura”. Melania è una straniera — un’aliena, una “Strega”, ma meglio nell’originale “You’re evil!” (quasi il Male in salsa New England…) – in quel di Bodega Bay. Ovvero, nell’ottica di Deleuze è un personaggio concettuale che introduce in quel territorio quella condizione dell’Essere che Heidegger chiama “spaesamento” e che è pure una caratteristica del Perturbante: Melania che annuncia e che porta catastrofe e caos e la sovversione dell’ordine costituito.
Esiste poi un’ulteriore analogia.. Iacov Levi, famoso e geniale psicostorico israeliano , ricorda in un suo saggio reperibile anche in rete che molti grandi miti di creazione sono intimamente collegati alla figure alate della mitologia.
Scrive Levi che: “…gli antichi Egizi veneravano una divinità materna che veniva raffigurata con una testa di avvoltoio… e una versione orfica sulla creazione del mondo diceva che all’inizio esisteva la Notte. Essa aveva l’aspetto di un uccello dalle ali nere. Fecondata dal vento, la Notte depose il suo uovo d’argento nell’immenso grembo dell’oscurità e da quest’uovo balzò fuori Eros, denominato Protogonos, il primogenito di tutti gli dei.” E, “come l’albero può essere sia il simbolo del pene paterno (l’albero della Conoscenza) che il pene materno (l’albero della Vita), secondo il contesto, così l’uccello è simbolo di entrambi. Un uccellino è invece un pene piccolo, infantile. Spesso infatti un bambino viene chiamato “uccellino”. L’aquila di Zeus era il suo simbolo fallico, come Mercurio, che ha le ali, è la sua estensione ed erezione, e il facitore del suo volere. Maestoso e minaccioso, l’uccello del Padre degli Dei punisce Prometeo, l’impertinente vicario dell’orda fraterna, venendo giornalmente a divorargli il fegato, simbolo di evirazione, Lex Talionis per il sacrilegio perpetrato a nome dei Figli. L’aquila romana, e poi quella dei vari imperi che si susseguirono, era certamente un simbolo fallico paterno, strumento apotropaico contro i nemici dell’impero. Il Perturbante freudiano (Das Unheimlich) è il filo conduttore di uno dei film più famosi di Alfred Hitchcock, Gli uccelli. I peni paterni, o forse anche materni in un’unica condensazione, sono minacciosi, ci ricordano inconsciamente il peccato primordiale di profanazione del genitale del Padre, e quindi sono vettori della sua minaccia di ritorsione, come nel mito greco di Prometeo. Les mouches di Sartre, indubbiamente ispirato alle Coefore di Eschilo, riprende lo stesso tema. Un’invasione di piccoli insetti fastidiosi ci ricollega a un senso di colpa primordiale e perturbante.”
La geniale analisi di Levi ci conduce a un totale ribaltamento di un frammento di mondo che c’illudiamo di conoscere e di controllare in qualcosa di completamente nuovo: la metafora del modo in cui le pulsioni represse dentro di noi affiorano e si manifestano in comportamenti completamente diversi da come li avevamo sempre immaginati si unisce al tema lacaniano dell’inconscio esterno, agganciandosi per vie maliziose e sotterranee ai molteplici significati della parola “bird”: come nel corrispettivo italiano (a parte la traduzione in “carcerato” o prigioniero, alludente alla situazione della “gabbia”), bird è sinonimo di organo genitale maschile. Da qui a sottendere “mostri fallici volanti”, eredi camuffati delle gorgoni dell’antichità, di arpie alate o discendenti “in piccolo” di certi draghi presumerici che piovevano dall’alto, portando la morte, il passo è brevissimo. La resurrezione del passato animale delle passioni passa attraverso il rovesciamento dei mondi, mediante il quale l’animalità è dunque afferrata dal di dentro e scatenata all’esterno come vera e propria energia d’aggressione pulsionale.
Gli uccelli hanno invertito i ruoli; schiacciano i deboli, approfittano della fiacchezza fisica, assaporano il piacere della vendetta, ma sono anche nella simbologia del profondo dei “falli volanti” che concupiscono come più ambita vittima sacrificale Melania Daniels, destinata a essere “stuprata” da loro nella soffitta.
(Questo articolo è un sunto del quinto capitolo del libro Gli uccelli di Alfred Hitchcock — E il cielo si avventò sulla Terra, pubblicato nell’anno 2010 da Unmondoaparte, Roma.