di Alessandra Daniele
– Voglio andare in galera.
L’avvocato scuote la testa.
– Scordatelo. Hanno capito perché lo fai, non intendono cascare nella trappola mediatica. Non ti metteranno mai in cella facendo di te un martire.
– Voglio andare in galera! – Scandisce il direttore.
L’avvocato ridacchia.
– Prova a manifestare contro la TAV.
Il direttore gli dà un’occhiata torva.
– Mi prendi per il culo?
– È una proposta? Per questo m’hai chiamato stasera?
Il direttore tira un calcio al tavolinetto zebrato, rovesciandolo.
– Stronzo! Vi pago per sfottermi?
– No, ci paghi per fotterti, per mandarti in carcere, cioè il contrario di quello che abbiamo imparato a fare. Avresti dovuto pensarci quando hai deciso di prestarti per quest’operazione…
– È stata un’idea mia! – Lo interrompe il direttore, stentoreo.
L’avvocato sbuffa.
– Non m’interessa di chi è il format, so che non funziona. Si capisce benissimo che è una trappola per i magistrati, un pretesto per cambiare la legge, ed è un doppio fallimento. Mediatico, perché il tuo vittimismo presenzialista è stato surclassato da quello del perdente alle primarie PD. E giudiziario, perché mandare in galera te è diventato più difficile che tenerne fuori quel tuo fido ex-collega – indica il megaschermo acceso sul Tg4, col volume azzerato.
– Il rincoglionito rifatto? Dopo l’ultimo lifting sembra la salma di Kim Jong-il – commenta sprezzante il direttore .
L’avvocato guarda la foto della padrona di casa, nella cornice leopardata sullo scaffale.
– Un po’ ti capisco. Anch’io preferirei la galera, agli arresti domiciliari con lei. Però non c’è niente da fare, sanno che sei un’esca avvelenata, non abboccheranno. Non potrai scrivere le Tue Prigioni.
Il direttore appoggia la mano sulla porta socchiusa alle sue spalle, aprendola. L’avvocato dà un’occhiata all’interno. Sul pavimento, al centro d’una chiazza rossastra e viscosa, un cadavere decapitato.
Accanto, una testa dai lunghi capelli ramati.
L’avvocato impallidisce.
Il direttore sorride.
– Voglio andare in galera.