di Girolamo De Michele
Chiesi ad Emilio Riva, nel mio primo incontro con lui, se fosse credente, perché al centro della nostra conversazione ci sarebbe stato il diritto alla vita. Credo che dalla durezza di quei primi incontri sia nata la stima reciproca che c’è oggi (Nichi Vendola)
Io non sono un capitalista, ma un imprenditore (Emilio Riva)
Chi non ha visto l’intervista di Fabio Fazio a Nichi Vendola, nella puntata del 29 ottobre di “Che tempo che fa”, si è perso qualcosa: una straordinaria dichiarazione del governatore della Puglia, che ha voluto sottolineare la sua peculiarità — il suo «sguardo autonomo sul mondo» — con questa affermazione tranchant: «Io non vado dai banchieri e dai finanzieri, e se li incontro gli dico che bisogna tagliare gli artigli e regolamentare i mercati» [ qui, al minuto 11:10].
A Taranto, immagino, gli artigli dei padroni dovrebbero essere le emissioni di diossina e altre sostanze nocive per l’ambiente e la vita dei viventi, umani e non, dal momento che Vendola si fa vanto di averne determinato, con la sua azione politica, la riduzione.
Ad avere pelo sullo stomaco, avrei glissato: ma noi tarantini, ormai, il pelo non lo abbiamo più neanche sulle cozze. Ecco, quindi, la vera storia di come le emissioni di diossina calarono.
Miracolosa/mente.
La causa del calo — anzi: del crollo, stando ai dati “ufficiali” — della diossina è, sostiene Vendola, la Legge regionale n. 44 del 19 dicembre 2008, Norme a tutela della salute, dell’ambiente e del territorio. Questa legge prevede(va) “il campionamento in continuo dei gas di scarico” (art. 3, comma 1): ricordatevi questo particolare.
La legge regionale 44/08 stabilisce per la diossina una soglia massima giornaliera di 0.4 ng. Viene presentata come la legge più avanzata d’Europa: peccato che in Germania la soglia massima sia di 0.1 ng. Stiamo parlando di nanogrammi di diossina, non di noccioline: vuol dire che a Taranto si può respirare a norma di legge 4 volte la diossina che si respira in Germania. E siccome la “dose giornaliera accettabile (dga)” di diossina che il corpo umano può assorbire senza rischi per la salute dipende dalla massa corporea, vuol dire che stiamo parlando di bambini che sono o non sono tutelati. Ma almeno la legge c’è: anche se ci sono voluti oltre 1000 giorni dall’elezione del governatore Vendola, che aveva promesso, in campagna elettorale e dopo, un futuro senza Ilva, se fabbrica e salute si fossero dimostrati incompatibili.
Bisognava installare le centraline ARPA per monitorare le emissioni, si è giustificato Vendola.
In verità la riorganizzazione dell’ARPA, e i primi preoccupanti dati, sono già cosa fatta alla metà del 2007: ma nel 2007 il ministro dell’Industria è Bersani, e a Bersani Vendola non può dire che chiuderà l’Ilva. Anzi: a Bersani, Vendola ha promesso un rigassificatore in Puglia, a scelta tra Brindisi e Taranto. Storia interessante, quella del rigassificatore: perché, a riguardarla, insegna molte cose sul governatore di sinistra, ecologista e libertario. La riportiamo in nota [1].
Torniano ai dati sull’Ilva. Vendola oggi si attribuisce il merito di aver fornito i dati alla cittadinanza e alla Procura, e ne fa argomento di propaganda elettorale [ qui]:
«I tarantini hanno avuto dalla Regione Puglia l’apertura di un processo di conoscenza e di verità che è passato dalle impressioni ai dati scientifici.
Noi abbiamo fornito i macchinari all’Arpa e alla Asl per fare, per la prima volta, quei monitoraggi che hanno anche permesso di portare in un dibattimento penale le evidenze epidemiologiche che oggi rappresentano la catena dei reati che i giudici vogliono bloccare.
I tarantini hanno bisogno di essere risarciti da 140 anni di inquinamento di Stato, risarciti dall’aggressione di un modello di industrializzazione, che oggi deve fare i conti con la domanda di più salute e più ambiente.
L’Italia arriva con 40 anni di ritardo all’appuntamento dell’ambientalizzazione dell’industria. Noi la nostra parte l’abbiamo fatta e continueremo a farla e speriamo che tutti gli attori di questa vicenda facciano il loro dovere a cominciare dall’attore numero uno l’Ilva, che di fronte al giudice penale deve dire che cosa intende fare oggi per interrompere la catena dei reati. Inquinare è un reato e tocca all’Ilva indicare cosa fare in concreto».
Anche questa è una bugia. I dati sulla diossina non sono stati rilevati, né tantomeno diffusi, fino al giorno in cui un esponente del movimento ecologista (il leader di Peacelink Alessandro Marescotti) ha compiuto un atto inaudito, impensabile: ha preso la macchina, è andato a trovare un pastore, ha comperato una fetta di formaggio di capra e l’ha fatta analizzare; ma, non fidandosi, l’ha fatta analizzare non in un laboratorio “istituzionale”, ma in quello, peraltro prestigioso e competente, del Consorzio Interuniversitario Nazionale “La chimica per l’ambiente” di Lecce. Geniale, vero? Vedi mai l’acutezza di un insegnante di liceo dove può arrivare… In quel formaggio c’erano diossina e pcb in quantità tripla rispetto ai limiti di legge consentiti: un bambino pesante 20 kg non avrebbe potuto mangiarne più di 2 grammi! Il pastore Carmelo Ligorio, pochi mesi dopo, è morto di tumore al cervello: aveva 57 anni, e quel pezzo di formaggio è uno degli ultimi che ha venduto. A un altro pastore che aveva venduto i propri formaggi agli ecologisti, Angelo Fornaro, è stato sequestrato e abbattuto l’intero gregge, con un rimborso di 133 € lordi per ogni capo abbattuto, dai quali vanno detratti 65 € per “spese di smaltimento”: colpirne uno per educarne cento a guardare bene a chi vendi il tuo latte e i tuoi formaggi! [2]
E sono state le associazioni ecologiste, non la regione Puglia!, a presentare l’esposto dal quale ha preso le mosse l’azione giudiziaria che oggi ha portato alle ordinanze del GIP Todisco. Quegli ecologisti che Vendola aveva definito retrogradi che vogliono vivere di pizzica e taranta — così come la magistratura di Taranto veniva stigmatizzata, alle vigilia della sentenza del 26 luglio 2012, come gente che crede si possa spegnere l’Ilva girando un interruttore.
Ma tant’è: i fatti sono fatti, e le chiacchiere, davanti ai fatti, stanno a zero.
Resta che, dopo la diffusione dei dati e l’esposto alla procura, dopo la caduta del “governo amico” con Bersani al ministero dell’Industria, dopo la lettera aperta di tutte le 24 associazioni ecologiste del tarantino al presidente del consiglio e al governatore regionale del 31 ottobre 2008, e dopo la manifestazione del 29 novembre 2008 per il diritto alla salute che porta in piazza 20.000 tarantini, finalmente il 19 dicembre 2008 questa benedetta legge regionale viene approvata.
Per difendere i contenuti della legge, Vendola aveva promesso e minacciato uno scontro istituzionale inaudito: se il governo bloccherà la legge, la regione farà ricorso all’Europa.
Il governo (al ministero dell’Ambiente nel frattempo è arrivata Stefania Prestigiacomo: ma ciò che conta, è che il direttore generale per la Ricerca Ambientale e lo Sviluppo è sempre Corrado Clini, che oggi ha preso anche ufficialmente il posto che fu di Prestigiacomo e Pecoraro Scanio) non si oppone: convoca tutte le parti — regione, Ilva, sindacati — a Roma. E qui, il 19 febbraio 2009, viene siglato un Protocollo d’intesa che impegna la regione Puglia ad emanare una “legge d’interpretazione autentica”. Più di tre anni per avere la legge, e solo un mese per la legge che interpreta la legge (Legge n. 8, 30 marzo 2009: Modifica alla legge regionale 19 dicembre 2008, n. 44) e recepisce il Protocollo d’intesa. Nella “narrazione” vendoliana (dal libro Vivere con la fabbrica, edito dalla regione Puglia), «il Protocollo d’intesa […] rinvia di tre mesi l’entrata in vigore della prima fase della Legge regionale ‘antidiossina’ lasciandone, di fatto, inalterati i principi di fondo. Vengono stabiliti, nella prima fase, precisi criteri e modalità di monitoraggio delle emissioni».
Per la verità, viene rinviato di un anno (dal 2009 al 21 dicembre 2010) il raggiungimento “tramite le migliori tecnologie disponibili” del limite di 0.4 ng. Ma è in quei precisi criteri e modalità di monitoraggio delle emissioni il vero contenuto del Protocollo e della conseguente legge d’interpretazione autentica:
“Il valore di emissione, da confrontare con i valori limite al fine della verifica di conformità, è calcolato come valore medio su base annuale e viene ricavato secondo la seguente procedura:
a) effettuare almeno tre campagne di misura all’anno;
b) ogni campagna è articolata su tre misure consecutive, con campionamento di 6-8 ore ciascuna;
c) il valore di emissione derivato da ciascuna campagna è ottenuto operando la media aritmetica dei valori misurati, previa sottrazione dell’incertezza pari al 35 per cento per ciascuna unità di misura;
d) le misure sono riferite al tenore di ossigeno misurato;
e) il valore di emissione su base annuale è ottenuto operando la media aritmetica dei valori di emissione delle campagne di misure effettuate (Legge regionale 8/2009, art. 1, comma 2)”.
In parole povere: i controlli non saranno effettuati “in continuo”, ma in tre fasi ogni anno, a settimane alterne, e per non più di otto ore al giorno. E farà testo la media aritmetica — anzi, 2/3 del valore ottenuto con la media delle rilevazioni. Un dato aritmetico usato per mentire: perché se la media tra due numeri, uno alto e uno basso, è compatibile con la dose giornaliera accettabile di diossina che posso assumere, ciò non cancella il fatto che in uno dei due giorni quella dga io l’ho superata, e la mia salute ha patito un danno che non verrà attenuato da quello che respirerò il giorno dopo.
E non basta: è consentita l’immissione di ossigeno nei fumi dell’ordinaria combustione. Significa questo: aggiungendo aria, si diluiscono i fumi, la percentuale di ossigeno aumenta, e i valori riscontrati risultano più bassi.
La rodomontata del governatore che voleva ricorrere all’Europa si è rivelata un bluff: Vendola i padroni non solo li incontra, ma invece di tagliar loro gli artigli gli fa la manicure.
Da quel momento, i rapporti tra Vendola (l’uomo che non frequenta i padroni) e Riva si fanno frequenti. Nel novembre 2010, il primo numero della patinata rivista “Il Ponte” edita dall’Ilva (può essere scaricata in pdf qui) si apre con un’intervista di 5 pagine al governatore Vendola:
«La Regione negli ultimi anni ha dialogato con la grande industria, cercando la mediazione, o imponendo, se necessario con scelte coraggiose, i limiti più restrittivi d’Europa per tutelare al meglio le popolazioni e l’ambiente. È il caso della legge anti-diossina che ha rappresentato il momento di maggiore tensione nei rapporti tra industria e istituzioni e che è diventata un modello internazionale. E proprio quella sfida dimostra che è possibile centrare gli obiettivi e far sì che, con tecnologie innovative, si possa continuare a produrre abbassando al minimo i livelli di emissioni nocive. Anche l’industria ha capito, da qualche tempo, che non è possibile stare su un territorio vivendolo come un corpo estraneo o contrastante, ma è necessario aprirsi, in maniera trasparente, al confonto e alla critica. Nel caso dell’ILVA, gli investimenti dal punto di vista ambientale sono stati notevoli, sebbene rimanga ancora molto da fare. In moltissimi settori sono state applicate le migliori tecnologie disponibili, come previsto dalla legislazione europea, e a breve il cronoprogramma per l’ambientalizzazione completa dell’ILVA sarà attuato al 100%» (Il Ponte 1, nov. 2010, pp. 6-7).
Nello stesso mese di novembre, il 23 per la precisione, l’Ilva presenta il “Rapporto Ambiente Sicurezza 2010”, nel quale si legge di mirabolanti crolli della quantità di diossina presente nell’aria. La semplice installazione del filtro Urea ha consentito nel 2009 la riduzione del 90% dell’emissione di diossina: sfogliare la rivista per credere.
Nel 2009, ricordo, tra i nati a Taranto c’è un bambino di cui, tre anni dopo, suo padre ha portato la foto in corteo: quel bambino ha tre anni, ed ha già il cancro.
La presentazione viene giocata dall’Ilva per attaccare la richiesta di referendum cittadino sul Centro Siderurgico, che invano le associazioni ecologiste e i cittadini di Taranto richiedono. L’Ilva schiera l’artiglieria pesante, a cominciare da Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria e imprenditrice che ha stipulato diversi contratti con la regione Puglia. Che dichiara:
«Se le imprese perseguissero solo ed esclusivamente i criteri ambientali sparirebbero nel giro di poco tempo, ma soprattutto resterebbero aziende che non fanno il loro mestiere. Ecco perché all’Ilva va riconosciuto il merito di aver saputo coniugare ambiente e competitività. Il referendum è una follia».
C’è una foto [a destra] che ritrae Vendola in ascolto mentre interviene Riva: notate lo sguardo del tagliatore di artigli in attesa della sforbiciata? E infatti Vendola interviene, con queste parole:
«Chiesi ad Emilio Riva, nel mio primo incontro con lui, se fosse credente, perché al centro della nostra conversazione ci sarebbe stato il diritto alla vita. Credo che dalla durezza di quei primi incontri sia nata la stima reciproca che c’è oggi. La stessa che mi ha fatto scendere in campo contro il referendum per la chiusura del ‘polmone produttivo’ della Puglia» [“Il Ponte n. 2, pp. 22-23, scaricabile in pdf qui].
Può darsi che, sfogliando “Il Ponte”, Vendola abbia scoperto che, come dice di sé lo stesso Emilio Riva, il padrone dell’Ilva non è un capitalista, ma un imprenditore. Insomma, un galantuomo: uno davanti al quale ci si toglie la coppola in segno di rispetto.
Queste dichiarazioni sono pubblicate sul n. 2 de “Il Ponte”, nel maggio 2011 (alla p. 22). Solo un mese dopo, l’Arpa pubblica i dati. Ma i controlli (16-19 maggio 2011) sono stati effettuati a sorpresa, cioè al di fuori degli orari concordati con l’Ilva: «Il valore medio è risultato pari a 0.70 nanogrammi al metro cubo quando il limite stabilito dalla norma pugliese è invece di 0.40» [ qui]. E non solo: perché, come previsto dalla norma – sottrazione dell’incertezza pari al 35 per cento per ciascuna unità di misura – il dato è stato ribassato del 35%. Al netto di questa riduzione “di sistema”, i nanogrammi di diossina presenti nell’aria sono 1.1: quando risultano essere 0.2, è solo perché, sulla base dell’accordo sottoscritto da Prestigiacomo, Clini, Vendola, Riva e dalle organizzazioni sindacali, le centraline (che peraltro sono solo 2) funzionano a intermittenza, gli orari di accensione e spegnimento sono noti alla direzione dell’Ilva, e si fa una media tra giorni “buoni” e giorni no.
Si dirà: 1.1 ng di diossina è meno di 2.5 ng. Parlando di noccioline, è vero. Parlando di diossina, no: è come dire a un malato di cancro ai polmoni che fuma un pacchetto al giorno che 10 sigarette sono la metà. Andate a dirlo a un bambino di 11 anni che ha il cancro ai polmoni di un anziano che ha fumato per 40 anni!
Ciò non impedisce a Vendola di continuare a rivendicare mirabili risultati. Nel dicembre 2011, Vendola dichiara in un videomessaggio: «Ho i dati degli ultimi rilevamenti dell’Arpa sulle emissioni di diossina e furani a Taranto: siamo a quota 0,2 nano-grammi per metro quadrato. Vorrei ricordare a tutti che nel 2005 l’Ilva sputava in atmosfera fino a 10 nano-grammi di veleni. Questo dato è straordinario, è una delle migliori buone pratiche che ci siano state a livello europeo».
E in un’intervista all’edizione regionale di Repubblica, il 14 agosto scorso: «Vedo all’opera qualche canaglia e sciacallo d’alto bordo che cerca di rovesciare le responsabilità su di noi. Parlano i fatti. Con le leggi regionali all’avanguardia nazionale che la Puglia si è data, in tre anni la diossina è passata da 786 grammi a 3,4 grammi all’anno».
Il 31 agosto 2012, però, regione e Ilva, costrette dalla pressione del movimento di rivolta contro la fabbrica della morte — il movimento del treruote —, e per effetto delle ordinanze della magistratura, raggiungono un accordo per aumentare il numero di centraline e tenerle accese “in continuo”. L’assessore all’ambiente Nicastro dichiara: «Ritengo questo passaggio una inversione di tendenza rispetto al passato per quello che riguarda l’atteggiamento dell’azienda nei confronti dei monitoraggi. Credo che non ci sia stato, nella storia dei rapporti dell’azienda con le istituzioni locali, un momento più favorevole di questo per raggiungere l’obiettivo della reale ambientalizzazione dello stabilimento». Dimentica, il magistrato in congedo Nicastro, che l’inversione “di tendenza” non è rispetto a una pratica clandestina, ma a un preciso e pubblico accordo sottoscritto — repetita iuvant — da Riva, Clini, Vendola e sindacati.
Alla vigilia delle primarie del centrosinistra, nelle quali si fronteggiano tre candidati maggiori che si sono già impegnati — sottoscrivendo la Carta d’Intenti “Italia. BeneComune” — ad “appoggiare l’esecutivo in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale dell’eurozona” (è l’ultimo punto, giusto in fondo alla Carta), la differenza sembra essere questa:
– se vincerà Renzi, i tarantini continueranno a respirare, mangiare e bere diossina, perché la diossina è un valore della modernità;
– se vincerà Bersani, i tarantini continueranno a respirare, mangiare e bere diossina, perché dobbiamo sottostare a precise regole per senso di responsabilità;
– se vincerà Vendola, i tarantini continueranno a respirare, mangiare e bere diossina, ma verrà detto loro che non è vero, e che «lo sguardo di chi governa deve pesare ciascuno dei beni da tutelare, deve custodire tutte le promesse di futuro, ma soprattutto deve sentire la responsabilità di evitare che vinca il caos, e che l’ardire utopico dei pensieri lunghi si pieghi alla disperazione di un presente immobile, quasi divorato dal suo passato» [ qui].
Resta una domanda, una sola: se possono mentire sulla diossina che mangiamo e beviamo, e di cui si crepa, su cos’altro possono non mentire?
Note
[1] Vendola, dopo la promessa a Bersani (al quale la sede era indifferente: «Noi ci aspettiamo dalla Puglia un impianto di rigassificazione. Non sta al governo dire dove»), riuscì a promettere a Brindisi che il rigassificatore si sarebbe fatto a Taranto (a un tiro di schioppo dall’Ilva e dal deposito dell’ENI); agli ecologisti di Taranto che si sarebbe opposto al rigassificatore, ma a tempo debito; e al presidente della provincia di Taranto Gianni Florido, che alla fine resterà col cerino in mano che la provincia avrebbe avuto l’appoggio della regione se avesse sostenuto l’installazione del rigassificatore [ qui]. Nel frattempo, il 15 febbraio 2006, la Gas Natural International SDG S.A., l’impresa spagnola che dovrebbe costruire l’impianto a Taranto, presentò lo Studio d’Impatto Ambientale. La notizia venne tenuta quasi nascosta, e nessuna associazione fu in grado di leggere i 7 faldoni di documentazione in tempo utile (60 giorni) per formulare obiezioni. La regione Puglia si limitò a 4 generiche righe di raccomandazioni sul fanghi: e la Valutazione d’Impatto Ambientale, cioè la procedura basata sullo Studio, venne avviata. A tempo ormai scaduto il presidente regionale di Legambiente Francesco Tarantini riuscì ad accedere alla documentazione, e scoprì che i 7 faldoni sui quali la regione Puglia non ha eccepito alcunché… erano ancora sigillati. E, per inciso, non contenevano un CD-Rom da duplicare e trasmettere a chi, avendolo saputo, avrebbe voluto studiare i dati. Tempo dopo, con Bersani ancora ministro, Vendola — dopo aver nascosto alla popolazione di Taranto lo Studio d’Impatto Ambientale presentato dalla Gas Natural, e aver preso per buono senza leggerlo lo Studio presentato dall’azienda spagnola – dichiarava: «Non toglierò dal grammofono il mio disco incantato (sic!) che dice: nessun ‘no’ ideologico ai rigassificatori. Noi diciamo che abbiamo la disponibilità a fare la nostra parte su tutto, ma per fare questa parte servono due condizioni: la validazione scientifica e la validazione democratica» (“Repubblica”, ed. regionale, 25 gennaio 2008).
Il rigassificatore, per fortuna, non è stato poi realizzato, e Taranto è stata dichiarata, a differenza di Brindisi, sede inidonea.
[2] Le storie dei due pastori si possono leggere, rispettivamente, in Carlo Vulpio, La città delle nuvole, Edizioni Ambiente Verdenero, Milano 2009, pp. 37-41, 29-32; e Giuliano Foschini, Quindici passi, Fandango, Roma 2009, pp. 43-54; segnaliamo inoltre il reportage televisivo di Irene Benassi Taranto, pecore e diossina, Rai Uno, “Sabato & Domenica”, 4 ottobre 2008, qui; e l’inchiesta di Guglielmo Nardocci Taranto: il triangolo della paura, “Famiglia Cristiana”, 9 ottobre 2008, riportato qui.
Su Taranto e l’Ilva, su carmilla (in ordine inverso di pubblicazione):
ILVA Taranto: le parole, le cose… #e pure Vendola di Girolamo De Michele
Ilva Taranto: omertà sulla sicurezza in fabbrica in cambio di permessi sindacali di Girolamo De Michele
Taranto: la città che non vuole morire a norma di legge di Girolamo De Michele
#occupyILVA di Mauro Vanetti
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Trecento black bloc, autonomi, ultras… o tremila cittadini liberi e pensanti?
Taranto ricorderà il giorno di Sant’Anna del 2012 di Cosimo Argentina
Taranto: venti tonnellate di banalità di Francesco Ferri
Di vecchi pugili e operai che muoiono sul lavoro di Girolamo De Michele