di Walter Catalano
La Fondazione Rosellini per la letteratura popolare è ormai ben nota e apprezzata nel mondo della fantascienza e del fantastico italiano: dopo aver dedicato l’anno scorso uno splendido volume a Kurt Caesar & Carlo Jacono, illustratori della mitica Urania degli anni ’50, mette adesso a disposizione del lettore un secondo tomo — addirittura più ricco e completo del precedente — dedicato al nome più conosciuto e amato dai fantascienziati di tutte le età: Karel Thole, demiurgo immaginale dell’ancor più mitica Urania degli anni ’60 e ’70. Quando pensiamo a Urania, pensiamo proprio all’Urania di quegli anni, l’Urania archetipica: copertina bianca, circolo rosso e, dentro al circolo, le meraviglie e gli incubi di Thole. Gioia e terrore degli infanti, ricettacolo di chimere, fucina di passioni e di deliri indelebili nella fantasia di molti, musa inquietante, ispiratrice a tutt’oggi di poeti e visionari (lo stupendo racconto “Le copertine di Urania” di Michele Mari – incluso nella sua raccolta più bella “Tu, sanguinosa infanzia” – dovrebbe essere un esempio più che ragguardevole della valenza magica, mitologica e mitogonica di Urania e del suo artefice visuale, lo sciamano Karel Thole in contatto permanente con l’Oltre…).
Il volume in questione è intitolato “Gli illustratori di Urania: Karel Thole, pittore di fantascienza” ed al costo – più che onesto data la qualità del libro, stampato in carta lucida e con riproduzioni ad alta definizione cromatica — di 35 €. è ordinabile presso il sito della Fondazione o scrivendo a info@fondazionerosellini.it . Il volume presenta, in rigoroso ordine cronologico, tutte — davvero tutte — le copertine realizzate da Thole per il fantaperiodico mondadoriano, con l’aggiunta di quelle per Millemondi, la Serie Blu, Doc Savage, e I classici della SF, più alcuni cameo come la sovracoperta della prima edizione dei racconti di H.P. Lovecraft “I mostri all’angolo della strada “ (Mondadori, 1966), una delle opere più affascinanti dell’artista, e alcuni autoritratti (sublime, per umorismo nero, quello post mortem, tratto da “Le primavere del mostro” del 1972). Questo approccio enciclopedico, oltre che utile, è un doveroso omaggio, una sorta di personale antologica: il riconoscimento dovuto ad un grande pittore, capace di sintetizzare più stili, maniere e tecniche dell’arte colta (l’iconografia delle avanguardie storiche, il surrealismo, la metafisica, la pop art, ecc.) e di piegarle, con impagabile sense of humour, alle esigenze dell’illustrazione commerciale per l’editoria popolare. Un pittore di fantascienza per l’appunto.
All’importante silloge di immagini si affianca un’altrettanto importante selezione di testi: saggi, testimonianze, ricordi dell’uomo e dell’artista dovuti a Gianni Brunoro, Giulio Cuccolini, Giuseppe Lippi, Giuseppe Festino, Franco Spiritelli, Carlo Fruttero & Franco Lucentini. Ne emerge un ritratto preciso e insolito: questo signore olandese trapiantato in Italia – quasi per caso e senza mai aver amato molto il nostro paese (ma avendo la brutale schiettezza di dichiararlo esplicitamente) – nato nel 1914 e morto, quasi cieco ma ancora attivo e capace di dipingere, nel 2000, si rivela un personaggio quanto mai curioso: il “più grande artista che abbia mai dipinto una copertina di fantascienza”, come scrisse di lui lo scrittore britannico Brian Aldiss, in realtà era assolutamente digiuno di fantascienza e di letteratura fantastica, non la leggeva e non gli interessava, non avrebbe mai aperto uno dei libri di cui aveva disegnato le copertine: per lui era lavoro e basta. La chiave della sua forza visionaria non si trovava nei suoi interessi culturali o nelle sue letture: era altrove. Thole era un uomo che aveva paura ogni volta che entrava in una stanza buia — così dichiarò in un’intervista —e quel buio era popolato di sogni e di incubi: ecco perché i suoi “mostri all’angolo della strada” ci perturbano e ci affascinano così profondamente.
Chi scrive incontrò Thole una sola volta ad una Convention nel 1978 e lo ricorda per la grande simpatia, socievolezza e disponibilità nel sostenere la conversazione con un ragazzino quasi imberbe e per avergli concesso di assistere con divertito stupore alle sue omeriche bevute di birra e Whisky insieme a Brian Aldiss… L’immagine che si aveva di lui era quella di un uomo allegro e tranquillo, non certo di qualcuno che avesse paura ad entrare in una stanza buia: ma i veri artisti nascondono il loro lato oscuro, Thole lo liberava nelle opere e lo smentiva nel comportamento: prigioniero fino alla fine dei suoi incubi segreti. Giuseppe Lippi testimonia che nei suoi ultimi giorni di vita il pittore era ossessionato da un incubo ricorrente: credeva fosse scoppiata la terza guerra mondiale, forse rivedeva in quegli istanti estremi i paesaggi apocalittici che tante volte aveva dipinto.