di Jumpinshark
Era ora di colazione, e tutti sedevano sotto le due ali verdi della tenda da pranzo come se non fosse accaduto nulla.
“ACE o ananas?” chiese Verri.
“Per me vorrei un cicchetto” disse Paolo Frisi.
“Un cicchetto anche per me” disse Giulia B..
“Bene” assentì Verri. “In frigo ho la sangria del discount. È ottima.”
“Don Simon, comprata al Todis, due euro a bottiglia?” chiese Paolo Frisi.
“Quasi” rispose Verri. “Uno e ottanta, al Lidl, se non ricordo male.”
“Non dimenticare il ghiaccio” Frisi aggiunse.
Verri riempie i bicchieri, l’alcol entra in circolo. Non possono rimandare oltre il difficile argomento.
“Generazione perduta può essere inteso in tre sensi distinti” iniziò Giulia.
“Come donna perduta in un melodramma dell’Ottocento, colpa e condanna, la generazione si perde per i suoi peccati.”
“Lo stesso Emme non intendeva certo questo. Compativa.” intervenne Paolo Frisi.
“Irrilevante” ella riprese. “Nel melodramma gli innocenti interiorizzano subito la colpa. E il fatto che siamo la generazione fregata dice indubbiamente qualcosa su di noi.”
Giulia si ferma e beve un sorso, Verri e Paolo Frisi sono già al secondo bicchiere.
“Poi c’è il gesto d’avanguardia. Ti chiamano impressionista cubista punk, per offenderti. E tu assumi con orgoglio la definizione. Lost generation fuckyeah” proseguì lei.
“È un ribaltamento illusorio, in questo caso” interruppe Verri. “Inoltre la blank generation produce solo un passabile punk anthem. In letteratura lascia tracce debolissime.”
“Trentenne, iperformato, molto intelligente. Corrispondi alla descrizione.” disse Giulia. “Il terzo senso è quello della negazione attiva, quando dici generazione perduta sempre tra implicite infuriate virgolette. È la posizione dell’ora ve lo facciamo vedere noi chi è perduto, tra Prometeo e siamo la parte migliore del paese.”
“Non è forse vero?” domandò Paolo Frisi.
“Un altro bicchiere, non pieno, grazie” ella disse. “Non interessa chi è la parte migliore o peggiore, non importa se vi sentite giovani o vecchi, fottuti per sempre o pieni d’energia per ribaltare tutto. O anche tutte queste cose insieme.
Le tre posizioni alla fine sono un solo movimento, un pendolo tra autodenigrazione e autoindulgenza.”
Verri scuote la bottiglia di plastica di Don Simon prima di fare un altro giro.
“Ci vuoi mettere ancora più di buon umore?” disse Verri. “Tu ami prendere queste posizioni da occhio di dio e guardare i mortali in basso. Gertrude Stein, you’re all a lost generation.”
“Ghiaccio, per favore. Nella sangria e nello stile” pregò Giulia. “Devo rispondere: siamo tutti nella stessa barca?, più serio ricordare che quella lost generation aveva una guerra mondiale dietro a far da adeguata tragedia e causa. Noi abbiamo un passato presente di farse ed erosioni, troppe per riconoscere una qualche dignità epocale alle singole parti o al tutto.”
“Allora andiamo a Parigi l’inverno, in Spagna l’estate e si risolve così?” intervenne Pietro. “Anche tu con la corsa dei tori e la fuga dei cervelli?”
“Hemingway, Fitzgerald e gli altri americani erano favoriti dalla moneta” rispose Giulia. “Erano anche splendidi ventenni. Noi siamo quasi una generazione in ritardo e penalizzati dal cambio in tutti i sensi. Per mantenerci a Parigi dovremmo lavorare come camerieri, nella migliore delle ipotesi. Nessuno ne ha più voglia.”
“Qui ti volevo!” urlò Verri. “Ecco l’eterno disprezzo e il sacro orrore del lavoro manuale. E la generazione perduta è composta solo da voi intellettuali, vero?”
“Hai finito?” riprese Giulia. “A 35 anni il cameriere preferisci farlo a casa.”
“Ma così ti perdi la vacanza in Spagna e la locura!” gridò Paolo.
“Lasciamo perdere. Qui si sbraca” ella sussurrò. “La locura dei tempi morti, giù da una bottiglia di sangria tra virgolette.”