di Alessandra Daniele
In attesa del fantasmatico progetto di Gondry su Ubik, Hollywood continua a fare del suo peggio per scoglionare le idee dickiane che sfrutta. L’attuale Total Recall 2012 è talmente grigio e convenzionale da sembrare più vecchio della versione 1990. Tutto sa di ferraglia stravista e di copia smagnetizzata, dal macchinoso plot action, allo scenario da rigattiere retrofuturo: droni robot e automobili svolazzanti su uno sfondo pseudo cyberpunk. Persino il contesto distopico è retrodatato.
A Bryan Cranston va riconosciuto il merito d’aver fatto del suo Cohaagen una sinistra sintesi di Bush padre e figlio. Purtroppo però la sua fugace partecipazione al film è troppo breve, troppo limitata da una sceneggiatura fatta solo di cliché rugginosi. L’interpretazione del protagonista Colin Farrell invece non è che una desolante serie di F4 (basito) e le due co-protagoniste sono totalmente indistinguibili fra loro, come qualsiasi altra Barbie del loro scaffale. I tre riescono a far rimpiangere non solo la personalità, ma persino il talento artistico di Schwarzenegger e Sharon Stone, e la cosa lascia profondamente F4.
La regia è totalmente anonima, e si trascina da una sbiadita scopiazzatura all’altra.
L’idea di base ovviamente era buona, ma dei vari livelli di lettura dell’originale testo dickiano questa trasposizione 2012 riesce persino a sfogliarne qualcuno in meno rispetto al rutilante baraccone di Verhoeven. A una formale maggiore adesione alla lettera del testo non corrisponde una maggiore sintonia tematica e di significato. Total Recall 2012 non comunica nessun efficace senso di straniamento, non realizza nessuna destrutturazione dell’io né della realtà, non possiede nessuna autoironia visionaria.
L’originale Quail di We Can Remember It For You Wholesale scopre d’essere una matrioska di identità stratificate, maschere l’una dell’altra, in un continuo regresso sempre più surreale che a ogni tappa cambia completamente l’orizzonte, e persino il sottogenere del racconto.
I Quaid cinematografici hanno solo da scegliere se essere l’ Eroe o il Cattivo d’una spy story diventata oggi ancora più convenzionale, e naturalmente scelgono quello che a Hollywood vince.
”I don’t write about heroes” diceva Philip K. Dick, l’abitudine hollywoodiana di trasformare ogni protagonista dickiano in un mascelluto action hero è un totale tradimento delle sue opere, in ossequio alle leggi del mercato: al costo degli effetti speciali che un film di fantascienza richiede, deve corrispondere un incasso da blockbuster, considerato ottenibile solo da una stronzata. Questo rincoglionimento del cinema SF è tragicamente progressivo, è un’encefalite spongiforme, bovina come l’espressione di Farrell.
Vent’anni fa rimpiangevamo l’intenso e tormentato Harrison Ford di Blade Runner. Oggi rimpiangiamo persino il grugno sfranto di Schwartzy che si scàppera la microspia dal naso.