di Alessandra Daniele
Dicono che Alfano abbia pianto alla notizia della ridiscesa in campo del suo boss. Possibile che si credesse davvero il Delfino, e non un temporaneo prestanome, che s’illudesse veramente d’essere riuscito a succedere a Berlusconi? Lo conosce così poco?
Berlusconi alleva molti delfini. Per mangiarli.
Da quando è in campo ha già consumato almeno una decina di delfani. Qualche esempio?
Gianni Pilo, il sondaggista troppo ottimista delle bandierine azzurre che Fede dovette rimangiarsi piangendo.
Franco Frattini, l’abbronzatissimo sempre in vacanza a sparare cazzate, come Christian De Sica, ma più volgare.
Gianfranco Miccichè, l’autodefinito ”assuntore di cocaina”, aspirante Bossi del Sud: più che un delfino, un Trota.
Antonio Tajani, il piccolo genio che complottava con Buttiglione nel segreto d’uno studio Tv davanti alle telecamere accese.
La delfina dai capelli rossi, Michela Vittoria Brambilla, ex modella, poi ministra, oggi canara. Quando le fu affidato il ”rilancio” dell’immagine del PdL, qualcuno – probabilmente un assuntore di LSD – la dipinse come l’Elisabetta I che sarebbe seguita al Berlusconi VIII. Poi anche la delfina salmonata finì al cartoccio come gli altri.
Per questo i figli biologici di Berlusconi non hanno mai accettato il ruolo di delfino pidiellino ripetutamente offertogli dai cortigiani: ci tengono a evitare la sorte della progenie di Kronos. Piersilvio s’accontenta da sempre del suo comodo ruolo di pierprestanome, Marina ha quello di cavia per la chirurgia plastica sperimentale postumana.
Quando l’anno scorso Tremonti fu indicato come possibile successore di Berlusconi, si capì che anche lui stava per essere consumato, nella fattispecie come capro espiatorio, sia per il disastro dell’economia, che per le stangate fiscali. Bossi partecipò al sacrificio rituale di quello che per anni era stato il suo favorito, nella meschina speranza di salvare così le proprie chiappadane. Gli sarebbe stato più utile il metodo Kronos.
Per più di un decennio nella tonnara berlusconiana hanno nuotato speranzosi anche i due più emblematici Floppers – delfini falliti – della Storia repubblicana, Gianfranco Fini, e Pierferdinando Casini, entrambi delfini seriali. Essendo in precedenza riuscito a succedere sia ad Almirante che a Rauti, Fini non può essere considerato anche un fallito seriale, Casini invece sì. Dopo avere atteso per anni di rimpiazzare Forlani al timone della DC, se la vide affondare sotto i piedi per Tangentopoli. Da allora galleggia in una lenta deriva attraverso tutto lo scenario politico, sempre aspettando che si liberi un posto ad un altro timone qualsiasi. Ha sperato di succedere a Berlusconi, poi allo stesso Fini (quando sembrava che il suo golpino di lana mortaccina sarebbe riuscito) poi a Monti. Adesso tampina Bersani, e questa è la misura del suo fallimento.
Alfano però resta il più patetico, scippato persino di quella corona di carta stagnola che è ormai la leadership del PdL.
Tenterà di riciclarsi al centro, se non c’è l’acqua alta.
Mentre Berlusconi – che non passerà mai la mano volontariamente – andrà a cercarsi nelle tonnare altrui il prossimo delfino da spolpare. Matteo Renzi è paffuto quanto basta.