di Bartleby
[A Bologna, gran parte della cultura nasce dal basso. Dai centri sociali, dalle osterie, dalle realtà autogestite. Tra queste si colloca Bartleby, un polo culturale indipendente che in tre anni ha prodotto una massa impressionante di eventi di alto livello, gestiti a titolo gratuito da un gruppo di giovani. Forse è a causa di questa autonomia dalle istituzioni che Comune e Università vogliono, in perfetto accordo, che Bartleby smetta di esistere. Pubblichiamo volentieri, e condividiamo, la loro protesta.] (V.E.)
In questi ultimi giorni si è riaperto il dibattito sull’assegnazione di una sede per il progetto Bartleby. Lo ribadiamo ancora una volta: Bartleby non sono quattro mura in via San Petronio Vecchio, ma un progetto politico e culturale, che nasce all’interno delle lotte contro la dequalificazione dei saperi e vive all’interno di una composizione sociale fatta di studenti e precari, musicisti e lavoratori della cultura.
Tre anni fa occupammo con la scommessa che a Bologna ci fosse un potenziale inespresso. Che gli studenti della città non fossero solo spugne a cui spremere soldi, di cui farsi vanto nelle statistiche d’Ateneo, ma che, nella crisi dell’università, potessero spingere per creare un modo nuovo di immaginare l’università al di fuori dei vincoli e delle gerarchie che la prendono in ostaggio. Abbiamo visto moltiplicarsi gli esperimenti, abbiamo favorito il nascere di nuove collaborazioni che abbattessero le barriere fra le discipline.
La scommessa di Bartleby non riguarda solo l’università, ma la produzione di arte, cultura e saperi nello spazio cittadino: musicisti di diversa estrazione e formazione si sono incontrati nei nostri spazi e hanno cominciato a lavorare insieme. Scrittori, attori e studiosi hanno trovato nel nostro progetto una possibilità di sperimentazione. Esattamente quella capacità propulsiva di cui le istituzioni Bolognesi si fanno vanto (“Bologna città della cultura”, “Bologna patrimonio dell’Unesco per la musica”, “Bologna polo universitario”), salvo poi tarpare le ali a questi esperimenti. Tutto questo ci sembra assurdo.
Ancora più assurdo perchè, dal momento che la nostra volontà di dialogo non è mai venuta meno, una soluzione era stata trovata, nei locali di via San Felice 11. Soluzione che però è sfumata per volontà dell’amministrazione comunale. Forse perchè dietro al “caso Bartleby” si celano tensioni di una maggioranza che deve operare scelte in tempi di crisi e scopre le divisioni al proprio interno? Forse perchè l’università vede in Bartleby una minaccia piuttosto che una ricchezza? Forse perchè le idiozie securitarie dei comitati “antidegrado”, che considerano la socialità di studenti e precari una mera questione di ordine pubblico, stanno prendendo in ostaggio il dibattito cittadino?
Adesso l’amministrazione universitaria minaccia lo sgombero estivo con la città vuota: una mossa da cuor di leoni. L’amministrazione comunale sembra tentennare. Una soluzione per Bartleby era stata trovata e su questa si stava costruendo un accordo, qualcuno si è messo di traverso. A questo punto è il caso di chiederci: perché parte di chi governa questa città, tanto in comune come in università, vuole soffocare questa esperienza? Chi si oppone al fatto che studenti, artisti e precari si organizzino in autonomia e facciano liberamente (e gratuitamente!) circolare saperi, cultura, socialità? Invitiamo tutte le forze politiche, sociali, sindacali e culturali di Bologna ad esprimersi e a prendere posizione in merito. Bene che tutti prendano parola e dicano chiaramente a quale progetto di città stanno lavorando.
Noi le nostre scelte le abbiamo fatte e le portiamo avanti ogni giorno a viso aperto, senza nasconderci dietro paraventi. Centinaia di persone insieme a noi hanno sostenuto e sostengono ogni giorno quest’esperienza.
Bartleby sin dalla sua nascita lavora perchè si dispieghi quella forza trasformativa data dalla scommessa dell’incontro fra i tanti e diversi che Bologna la vivono e la rendono un luogo ancora capace di attrarre intelligenze e creatività. Bartleby è parte di una Bologna che vive il presente come possibilità, l’autogestione come ricchezza, la contaminazione come forza collettiva.