di Fabrizio Billi
Antonio Benci, Immaginazione senza potere. Il lungo viaggio del maggio francese in Italia, ed. Punto Rosso – Archivio storico “Marco Pezzi”, Milano-Bologna, 2012, pp. 240, € 15,00.
Nel maggio 1968 l’attenzione del mondo intero si concentrò su quanto accadeva in Francia: la rivolta studentesca contagiò milioni di operai, intellettuali, artisti e per oltre un mese il paese rimase paralizzato da dieci milioni di scioperanti. Mentre si susseguono gli scontri tra manifestanti e polizia, il presidente della Repubblica, De Gaulle, ha un momento di incertezza e si rifugia per alcuni giorni in una base militare francese in Germania. La Francia, con un governo che non decide, milioni di persone in sciopero, centinaia di migliaia nelle piazze e molte aziende occupate, sembra sull’orlo di un rivolgimento politico e sociale di cui nessuno può prevedere gli esiti.
Per due mesi, in Francia ci fu la maggiore mobilitazione popolare avvenuta in Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale.
Fu allora che gli avvenimenti del maggio 1968 in Francia divennero “il maggio francese”. Sarà banale ricordare che il maggio francese, così come tutti quegli avvenimenti la cui importanza travalica i confini del paese dove gli avvenimenti si sono svolti, ha una importanza che ha influenzato anche le vicende di altri paesi.
Il libro rappresenta un’analisi dettagliata del maggio francese e dei suoi riflessi sul contesto politico dell’Italia, sull’immaginario e sulla memoria dei protagonisti dei movimenti radicali della fine degli anni sessanta. L’autore utilizza diverse fonti: giornali, documenti dell’epoca, interviste a militanti politici.
Nella vasta mole di studi sul maggio francese, non sono molti quelli sull’influenza degli avvenimenti francesi sulla vita sociale e politica di altri paesi. Fino a questo momento, mancava uno studio complessivo sull’influenza del maggio francese sulle vicende italiane. Più in generale, nella storiografia relativa al 1968 si sono avute due impostazioni: una che ha privilegiato l’analisi di quanto accaduto a livello nazionale (o locale), un’altra che considera gli avvenimenti nazionali espressioni di un unico fenomeno globale. Difficilmente si è considerata l’influenza reciproca di avvenimenti avvenuti in contesti geograficamente differenti e distanti. Come ricorda Marco Grispigni nell’introduzione, “Nessuno sembra essersi posto il problema come la contestazione globale francese sia stata letta in Italia” e che influenza abbia avuto sulla vita politica italiana. E non c’è dubbio che ebbe influenza sul 68 italiano. Come scrive Benci, il maggio francese è servito “alla cucina politica parlamentare ed extraparlamentare. E parlo del dibattito sull’unità delle sinistre, sull’organizzazione della sinistra rivoluzionaria”. (p. 18)
Nella prima parte del libro l’autore analizza come alcuni quotidiani italiani, di diverso orientamento politico, hanno scritto degli avvenimenti francesi. I giornali di orientamento conservatore, come il “Corriere della sera”, leggono gli avvenimenti francese solo come caos e disordini (p. 46). Fino all’estremo del “Tempo”, quotidiano decisamente reazionario, che fa proprio “il filone interpretativo di critica feroce e aprioristica ai “figli di papà” e che vede nel movimento degli studenti e dei giovani un magma sconclusionato e velleitario proprio di chi non vuole prendersi le proprie responsabilità” (p. 40)…dei “giovani teppisti venuti dai sobborghi, figli degeneri dei borghesi”. (p. 61).
Più articolato l’atteggiamento de “l’Unità” e del quotidiano filocomunista “Paese sera”. “L’Unità” condanna le violenze della polizia ma anche il diritto degli studenti a studiare (p. 59) e dà una lettura degli avvenimenti francesi confacente alla politica del Pci: “si tende ad avvalorare politicamente la visione di una Francia che riconferma il dato delle elezioni italiane…quanto sta avvenendo in Francia [è] una conferma di un clima politico generale che cerca un cambiamento e che in Italia si è tradotto nel balzo in avanti del Pci”. (p. 69)
Insomma, ognuno legge gli avvenimenti francesi con le proprie lenti interpretative. Secondo il leader socialista Pietro Nenni, la vittoria gaullista alle elezioni è dovuta al fatto che la sinistra moderata non è riuscita a rendere credibile una alternativa “democratica e socialista non esposta al rischio dell’egemonia comunista”. (p. 69)
I medesimi avvenimenti sono presentati in modi diametralmente opposti. Per esempio, mentre “l’Unità” e “Paese sera” pubblicano foto con la polizia armata di scudi e caschi, per avvalorare l’idea di una polizia che reprime, “il Tempo” nobilita la stessa foto del poliziotto con il casco nero, l’uniforme nera, lo scudo ed il bastone con un ritratto dagli accenti classicheggianti: “Come Leonida nel famoso quadro di David, gli agenti portavano a un braccio un grande scudo rotondo”. (p. 74)
Insomma, i giornali interpretano gli avvenimenti francesi secondo le proprie categorie interpretative, ma in qualche caso probabilmente la diversa lettura dei fatti è dovuta a consapevole falsificazione propagandistica. Che altro pensare di un titolo come quello del “Tempo” “Fomentati da agenti di Pechino i disordini in Francia”? Nessun giornalista, neanche del più remoto giornale di provincia, avrebbe mai potuto scrivere cosa del genere credendoci veramente. Simili affermazioni certo non hanno altro scopo che spaventare i lettori meno avveduti mettendo nello stesso calderone cinesi, scioperanti, capelloni figli di papà, tutti per il disordine sociale.
Ma al di là di questi casi estremi, ognuno ha le proprie categorie interpretative, basate sui valori e le idee in cui crede e sulle proprie esperienze. E così, nelle letture “da destra” del maggio francese, prevale la sorpresa per una mobilitazione sociale per la quale si ritiene non esistano giustificate cause. Pertanto, non esistendo motivazioni della rivolta, essa può essere spiegata solo come un moto di disordine irrazionale: “la chienlit”, come diceva De Gaulle.
Diverse sono le letture del maggio francese date dal Pci e dalle nascenti organizzazioni della sinistra extraparlamentare. Il Pci ritiene le mobilitazioni dovute sia al rifiuto del gaullismo che a motivazioni economiche e sindacali (salari più alti, maggiore libertà in fabbrica). Da questa lettura deriva una prospettiva riformistica delle lotte. Per le organizzazioni della nuova sinistra, l’ampiezza delle lotte dimostra che le rivendicazioni non possono e non devono trovare uno sbocco che non comporti l’abbattimento delle strutture economiche, politiche e sociali. Ovvero una soluzione rivoluzionaria.
Differente anche la valutazione del ruolo del partito comunista. Il Pci si considerava il nume tutelare della classe operaia: “senza la organizzazione politica della classe operaia, senza il suo partito d’avanguardia che è il Partito comunista, nessuna barricata nel Quartier latino può trovare il suo sbocco nella rivoluzione”. (p. 64)
All’opposto, negli ambienti della nuova sinistra, in Italia come in Francia, i partiti comunisti dei rispettivi paesi, anche quando ancora usano una fraseologia rivoluzionaria, si considerano ormai diventati partiti d’ordine. (p. 66)
Insomma, del maggio francese ognuno prende ciò che crede possa essere utile. Il Pcf vuole utilizzare le mobilitazioni nelle fabbriche per presentarsi come il miglior rappresentante della classe operaia ed averne benefici elettorali, a costo di contrapporsi frontalmente agli studenti. Il Pci passa per quanto possibile sotto silenzio la contrapposizione studenti-operai in Francia, fomentata dal Pcf. I gruppi dell’estrema sinistra leggono gli avvenimenti del maggio francese come una crisi sociale che si sta trasformando in crisi rivoluzionaria, e se ciò non avviene dipende dal fatto che il movimento è stato tradito, represso e ingannato dalle false avanguardie (partito comunista e sindacato) e per “l’assenza di una regia in grado d’incanalare la protesta e la mobilitazione spontanea”. (p. 133)
Differenti valutazioni tra partito comunista e nuova sinistra anche su un’altra grande questione oggetto di dibattito: qual è il mezzo più efficace per “fare la rivoluzione”? Privilegiare il ruolo dell’organizzazione o il movimento spontaneo delle masse (p. 103)? Quale ruolo debbano avere le organizzazioni politiche? In Italia come in Francia, la cultura politica terzinternazionalista, propria dei partiti comunisti come di molte organizzazioni della nuova sinistra, risolve il dilemma partito-movimento a favore del partito, tranne poche parziali eccezioni (in parte Lotta continua). La questione diventa quindi non se sia utile o no l’organizzazione, ma quale ruolo debba avere. Come ricorda Emilio Molinari (p. 143), in Lotta continua i richiami al maggio francese erano molti, a partire dal nome stesso, fino ad arrivare alla grafica dei manifesti, mentre altre organizzazioni, come Avanguardia operaia, si richiamavano maggiormente alla tradizione comunista.
Alcuni eventi hanno avuto un’importanza che travalica i meri cambiamenti portati nelle strutture politiche, sociali ed economiche. Per esempio, la rivoluzione russa. Oltre ai cambiamenti nella politica della Russia, ha avuto influenza sull’immaginario di milioni di persone, spingendole a scelte che altrimenti non avrebbero avuto. Come ricorda Benci (p. 166), l’eredità di un evento non si limita solo alle conseguenze immediate dell’evento stesso, ma anche alla rappresentazione dello stesso nell’immaginario di altre persone, in altri paesi ed in altri tempi.
Il maggio francese, assieme alla mobilitazioni studentesche ed operaie in Italia, alle lotte antimperialiste nel terzo mondo, è stato per molti il detonatore della rottura col Pci (p. 90) e con la prassi politica di questo partito, giudicata inefficace in un periodo di grandi mobilitazioni sociali.
In questo senso l’impatto del maggio francese ha avuto ripercussioni sulla vita politica per parecchi anni successivi al 1968, in Francia come in Italia, perché ha contribuito a caratterizzare le mobilitazioni sociali degli anni settanta, “non solo [il] movimento studentesco, quanto quel composito ed indefinibile raggruppamento che unì durante e per effetto del Sessantotto e del Maggio in Francia e in Italia studenti “protestatari”, aliquote di movimento operaio, gruppi politici precedenti al 1968 ed in gran parte fuoriusciti dai partiti comunisti, intellettuali, militanti e simpatizzanti della nuova sinistra”. (p. 18)
L’influenza del maggio francese in Italia si è quindi concretizzata contribuendo a influenzare la radicalizzazione di settori sociali (studenti, operai, intellettuali) e politici (le organizzazioni della nuova sinistra).
Il maggio francese ha contribuito inoltre a portare l’attenzione su alcune questioni che si pongono in ogni mobilitazione sociale, ieri come oggi, nel 68 come nelle rivoluzioni arabe e nei movimenti contemporanei degli indignados: come si fa a fare una rivoluzione, o almeno a cambiare lo stato di cose presenti? Quanto è efficace la mobilitazione spontanea e quanto serve qualche forma di organizzazione? Quando una mobilitazione sociale diventa una rivoluzione?
Le diverse culture politiche della sinistra hanno dato risposte differenti a questi interrogativi, e tali risposte hanno caratterizzato la politica italiana per oltre un decennio, durante gli anni settanta. Periodo chiamato, non a caso, dagli storici francesi, “les années ’68”.