di Daniele Picciuti
Strappi è tratto da I racconti del sangue e dell’acqua, Bel-Ami Edizioni, Roma 2011, prefazione di Danilo Arona, pp. 160, € 10,00
La stanza è in ombra, avvolta nel silenzio. Lisa osserva immobile la camicia aperta sul letto. Lui non è tornato.
Va fino all’armadio e fruga tra le stampelle, cercandone una libera. Si sforza di ignorare il telefono anche se è proprio lì, sul comodino, e pare sfidarla. Si chiede se squillerà. In fondo quella è la sua camicia. Giorgio potrebbe volerla indietro.
Sospira.
Giorgio è sempre stato un tipo risoluto. In sei anni di matrimonio non lo ha mai visto tornare sui suoi passi. Ogni decisione presa, per lui è definitiva.
È un mese ormai che non si sentono, che non si parlano. Tutto da quando hanno avuto quella lite.
Maledetta gelosia. Maledette calze a rete.
Rovista tra gli abiti nel guardaroba ma tutte le stampelle sono occupate. Ripensa a ieri, alla serata trascorsa fuori, con il suo nuovo cavaliere. Sorride.
Luigi sa come prenderla. Da dietro, facendole male. Non è solo sesso, è un gioco di testa e cuore. Di schiaffi e adrenalina che pulsa. Quando sono insieme, tutto scompare dal mondo, eccetto il dolore e il piacere. C’è solo un particolare spiacevole: è il terzo paio di calze che le strappa, in questo modo.
Di nuovo ripensa a Giorgio, a quando si è accorto della voragine aperta tra le maglie a rete delle sue calze, la prima volta. Lisa ha provato a mentire, a minimizzare, inutilmente.
Giorgio non ha voluto sentire ragioni. Le ha dato della troia e l’ha colpita. Per la prima volta. Un ceffone che le ha provocato un’eccitazione inaspettata. Poi tutto è precipitato, lei che voleva scopare e lui che la colpiva, ancora e ancora, stravolto dall’odio. Ha avuto la faccia livida per due settimane.
Il ricordo le sfiora la mente provocandole un lieve brivido di piacere. Ecco che nella sua mente riaffiora Luigi, con la sua virilità, le mani grandi e ruvide che la prendono e la spingono contro il muro.
Si morde un labbro, dicendosi che sta esagerando, che deve controllarsi. Afferra dall’armadio una giacchetta lilla e libera la stampella, usandola per riporre la camicia di Giorgio al suo posto.
Quel giorno, quando lui l’ha picchiata, Lisa ha perso sangue e alcune gocce sono schizzate sulla camicia bianca, insozzandola di rosso. Così l’ha portata in lavanderia, ma da quando l’ha ritirata non fa che toglierla dall’armadio e metterla sul letto al mattino, nella speranza che lui torni e la trovi. Ogni sera però, la camicia è ancora su quel letto. Lisa sa che Giorgio non tornerà, ma ormai quell’insolita abitudine fa parte della sua routine e vi è affezionata. Non è ancora pronta a rinunciarvi.
Finalmente il suo cellulare risuona delle note di The Show Must Go On dei Queen. Lo afferra e adocchia la scritta sul display lampeggiante: Luigi.
Risponde, malcelando un moto di delusione.
«Pronto».
«Lisa?». La voce del suo amante le cancella in un momento l’immagine di Giorgio dalla testa.
«Ciao».
«Ci vediamo stasera?».
Uno, due, tre secondi di silenzio. Lisa sa come farsi desiderare.
«Sì».
«Da te?».
Ancora quella domanda.
«No, dai. Da te».
«Vorrei sapere perché non vuoi che ci vediamo a casa tua». Luigi è sempre più seccato per quella situazione, «hai detto che tuo marito ti ha lasciata, no?».
«Sì, infatti. Ma qui tutto mi ricorda lui».
«Senti, non è che mi nascondi qualcosa?» a Luigi trema la voce ora «dimmi la verità, lui è lì con te?».
Lisa ride. Una risata vera, che le sale dal cuore.
«Sei matto? Certo che no!».
Dall’altra parte l’uomo sospira.
«Allora perché non…».
«La prossima volta» lo interrompe lei, secca, «mi serve ancora un po’ di tempo».
«Lisa, io non credo che sia una questione di tempo. Tu non vuoi che la nostra diventi una relazione seria, vero? Vuoi scopare e basta».
Lei tace per qualche istante. Capisce che stavolta il gioco si è fatto duro.
«Se non ti sta bene, finiamola qua».
Quelle parole freddano l’uomo all’altro capo del filo. Lisa riesce a intuirne il pallore, il respiro mozzato in gola, la paura che lo soffoca.
«No, che dici! Scusami. Sai che non posso fare a meno di te».
Lisa sorride tra i denti.
«A stasera allora» lo congeda infine «aspettami a casa».
Riaggancia prima che Luigi possa emettere un solo fiato, quindi resta a fissare il cellulare spento nel palmo della mano. Poi guarda il telefono sul comodino.
Perché non è Giorgio a chiamarla, per una volta?
Vorrebbe urlare, schiantare tutti i telefoni contro il muro e magari anche piangere.
Ecco l’odio che riemerge. Lo sguardo le scivola sulla giacchetta lilla adagiata sul letto. Ora deve appenderla da qualche parte. Torna a frugare nell’armadio alla frenetica ricerca di una stampella libera, ma di nuovo non c’è. Non c’è. Non c’è!
Tanto per cambiare, ha dovuto sacrificare qualcosa di suo per far spazio alla camicia di suo marito. È sempre stato così: rinunce su rinunce, tutto pur di soddisfare lui. E ora, cos’è rimasto di loro?
Se lui fosse qui, adesso, Lisa prenderebbe una di quelle stampelle e gliela pianterebbe nell’occhio, gridandogli di aprirli, quei fottuti occhi, prima che lei possa tradirlo con un altro!
Niente, nessuna stampella.
Se solo lui la chiamasse. Un’ultima volta.
Lo sguardo le scivola giù, tra le pieghe degli abiti appesi, e poi sulla massa informe accartocciata in fondo al guardaroba. Lisa si abbassa, fruga nella tasca della giacca di suo marito, ne estrae il cellulare.
Come immaginava, è spento.
«Come fai a chiamarmi se non lo accendi?» mormora Lisa, rivolgendo uno sguardo fugace al volto livido seminascosto dai vestiti. L’unico occhio sgranato è fisso nel vuoto, la bocca è ritorta scompostamente su un lato, lasciando scoperti i denti. L’altro occhio è scomparso, squarciato dalla stampella che pende attaccata alla sua faccia.
Lisa accende il telefono e lo ripone nel taschino della giacca sgualcita di Giorgio. Poi richiude l’anta.
C’è cattivo odore nella stanza. Va alla finestra e la spalanca, areando il locale. Quando si volta per andarsene, nota di nuovo la giacchetta lilla, che giace insolente sulla spalliera del letto.
Poco male. Vuol dire che la indosserà stasera. E, se Luigi vorrà, potrà strapparle anche quella. In fondo è un regalo di Giorgio.
Daniele Picciuti, romano, classe 1974, ha pubblicato diversi racconti horror in riviste e antologie. È co-responsabile del bel magazine Knife (scaricabile qui) e del marchio editoriale Nero Press.