di Emanuele Manco
Marley, il documentario diretto da Kevin MacDonald che racconta la vita di Bob Marley, è molto più di una semplice biografia, è il racconto di un’epoca. Il regista, già autore de L’ultimo Re di Scozia e del premio Oscar Un giorno a settembre, ha qui messo a frutto la sua vocazione di documentarista: oltre al notevole lavoro di reperimento e raccolta di materiale filmato, diverse sono le parti di Marley girate in tutto il mondo e molte le interviste inedite a chi conobbe e lavorò con l’artista giamaicano. La qualità delle immagini girate — dalla Giamaica passando poi per Ghana, Giappone, Gran Bretagna e Stati Uniti — è tale da far veramente pensare in molti momenti a un vero e proprio film di narrazione. A contribuire a tale impressione è il peculiare montaggio di fotografie e sequenze mai viste, provenienti dall’archivio privato della famiglia Marley, e di spezzoni di concerti e di brani musicali.
Bob Marley è uno di quei personaggi il cui nome è talmente noto che ormai in molti danno per scontata la conoscenza delle sua storia. La nostra civiltà dell'”informazione veloce” fagocita tutto e raccontare una storia che va dal 1945 al 1984 ha ormai il sapore del recupero storico. In realtà si sa poco dell’infanzia di Marley, che visse in un villaggio poverissimo dove non c’era l’elettricità. Ma anche degli inizi nel mondo musicale, dal 1962 al 1974, non c’è molto. Pur tuttavia l’accostamento dei giusti tasselli, la scelta delle giuste parole e dei racconti, riesce a immergere lo spettatore nella vicenda. Nel film si trovano la situazione sociale ed economica della Giamaica, la genesi della musica reggae e dell’impegno militante di un uomo che non fu solo una pop star, ma ebbe degli scopi e delle ambizioni più ampie. Un uomo le cui canzoni sono ballate e cantate per la loro musicalità, ma che hanno anche fatto da colonna sonora a grandi movimenti di protesta, di impegno civile, documentate nel film con immagini tratte dalla manifestazioni tunisine ed egiziane e di Occupy Wall Street.
Il documentario si pone quindi l’obiettivo ambizioso di chiedersi come e perché Marley riesca ancora oggi a entrare nella vita di persone in tutto il mondo e quale sia il profondo messaggio che lancia a chi ascolta la sua musica e le sue parole. Musica e parole di Marley, appunto, ma anche parole di chi lo ha conosciuto, in alcune interviste che sono veramente fuori dagli schemi. Toccante la visione del personaggio da parte della figlia Cedella, per esempio, e bizzarra e curiosa anche la storia del padre.
Il filo conduttore della narrazione dell’artista è affidato nel film alla testimonianze di Bunny Livingston, fondatore dei Wailers insieme a Peter Tosh e Marley, e a Neville Garrick, direttore artistico della band. Il racconto non prescinde dal racconto di cosa fosse il rastafarianesimo, del contrasto profondo tra le regole dello show business e l’impegno civile. Non manca poi l’impegno pacifista di Marley nei confronti del suo paese, con il recupero della scena del One Love Peace Concert dove fece stringere la mano ai leader dei due più importanti partiti politici giamaicani, che si stavano combattevano sanguinosamente da tempo.
Marley è anche il racconto di un uomo tormentato dalle sue origini, che ha vissuto un’esistenza tra due razzismi contrapposti, troppo nero per i bianchi, troppo bianco per i neri. Molta enfasi viene poi data alla volontà di raggiungere con la sua musica i fratelli di colore, scelta che talvolta lo ha portato a qualche passo falso.
Bob era un uomo che non aveva mai perso il contatto con Trenchtown, il quartiere povero di Kingston dove, in cerca di migliori condizioni di vita, si era trasferita la madre Cedella, e dove egli si sentì sempre al sicuro, anche quando attentarono alla sua vita nel 1976. Le partitelle di calcio, il racconto delle sue infedeltà e di come visse la malattia che lo portò alla morte, contribuiscono al racconto dell’uomo, senza infrangere il mito, ma restituendo il senso della quotidianità. Tante anche da questo punto di vista le interviste, le frasi, le testimonianze, grazie a personaggi schivi come Chris Blackwell o mai sentiti, come il cugino bianco Peter, e tanti tanti altri ancora.
È stato solo grazie a uno sforzo produttivo notevole che si è arrivati a questo documentario le cui due ore e mezza scorrono senza annoiare un solo momento. Sarà disponibile in Dvd quest’autunno, ma è possibile vederlo al cinema il 26 giugno 2012 e solo quel giorno, in alcune sale italiane. È una buona occasione per lasciarsi coinvolgere, per divertirsi, commuoversi e riflettere, avvolti dalla magia della musica reggae.
Marley, diretto da Kevin MacDonald, USA/UK, 144 min.