di Mauro Vanetti

riseria.jpgstortissimo Ivan Storti

▌:-) provo twitter.. #presidioriseria

Si era fatto Twitter per la faccenda del presidio.
Il furbòfono ce l’aveva («Smartphone a 0 euro se cambi operatore» diceva la pubblicità), ma prima usava solo Facebook. Poi anche in Italia era diventato di moda Twitter: ne parlavano i giornali e la televisione dicendo che lo usavano gli indignati e gli arabi per fare le rivoluzioni, Fiorello gli faceva pubblicità nel suo show. Erano venuti al presidio la giornalista e gli studenti e dicevano che va bene mettere le foto del presidio su Facebook ma se volevano far parlare di loro dovevano o arrampicarsi da qualche parte o usare Twitter.
Arrampicarsi si sarebbe arrampicato, ma il capannone della ditta era su un piano solo, il silo del riso aveva la cupola tonda. Al massimo c’era qualche albero, ma trecento operai della riseria arrampicati per protesta su delle betulle non era una cosa dignitosa, sarebbero sembrati la tribù degli uomini blu di Avatar.
E quindi, bisognava farsi Twitter.

stortissimo Ivan Storti

▌uniti contro i licenziamenti al #presidioriseria!! lotta in risiera, vittoria si spera..

Come gli fosse saltato in mente di fare una cosa del genere, a ripensarci è un mistero. È un mistero per chi non lo conosce, diciamo; perché se lo conosci (e io in qualità di narratore onnisciente lo conosco benissimo) è chiaro perché avesse deciso di agire così: si tratta della tipica occasione di fare una stronzata che uno come lui non si fa mai scappare.
La premessa un po’ prosaica è che da quando c’era il presidio non si potevano usare i bagni della ditta perché la proprietà li aveva chiusi a chiave. Le ragazze usavano una toilette chimica, ma i maschi erano stati invitati a gestirsela in modo più rozzo. Lui aveva preso l’abitudine di andare al benzinaio della tangenziale, con la scusa del caffè.
Quella mattina, mentre sorseggiava il suo macchiato caldo, era entrata la Charlotte Soriani. Aveva il solito travestimento delle persone famose: occhiali da sole, vestiti sciatti, aria indaffarata. La seguiva un marcantonio serissimo con dei fili nelle orecchie, tipo i cattivi di Matrix.
La spilungona in jeans e piumino tortora avanzò diretta verso il bancone, mentre il cyborg di scorta faceva lo scontrino e gli altri uomini presenti si scoprivano sarti e le prendevano le misure. Aveva un caschetto castano e labbra struccate, il nasino sottile e degli enormi orecchini a cerchio. Nonostante l’astuto travisamento, lui era sicuro di averla riconosciuta.
La ragazza del bar le consegnò le chiavi della toilette.

charlotte_s Charlotte Soriani

▌E oggi si comincia dalle riprese esterne! Nebbione permettendo. #buongiorno

BuBu7te Luca D.

@charlotte_s Il sole bacia i belli…! Buone riprese stupenda.

Quando l’attrice tornò dal bagno, il gorilla le fece trovare pronto e fumante sul tavolino un tè e un’offella di Parona. Ivan era andato a marcar visita ai servizi igienici proprio mentre lei stava uscendo. Si incrociarono tra il videopoker e l’espositore dei caricacellulare.
Sul lavandino, Ivan trovò il telefonino della Charlotte Soriani. Eccoci di fronte a una scelta: che fare? Molti nella sua situazione avrebbero curiosato tra le foto, i video e gli SMS della celebrità; sai mai che trovi una vecchia registrazione di carattere intimo… ne sbucano fuori continuamente, appena una diventa un minimo famosa. Parecchi si sarebbero impadroniti del suo numero privato, che poi non avrebbero mai chiamato. I più biechi si sarebbero semplicemente rubati il dispositivo.
Scartò quest’ultima ipotesi di integrale disonestà: avrebbe restituito l’iPhone alla sua legittima proprietaria. Ma finché era in bagno, che farci? A ben pensarci, anche rovistare tra i suoi dati privati non era una condotta onorevole. Non avrebbe dunque fatto proprio niente con quello smartphone se non restituirlo.
Però, ecco, essendo stato così onesto e rispettoso, un premio se lo meritava, pensò Ivan Storti, cassintegrato della risiera. E allora fece una cosa.

charlotte_s Charlotte Soriani

@stortissimo grazie per questa notte passata insieme

«Oh, grazie!» disse la voce squillante della Charlotte Soriani, «Che sbadata!».
«Ma si figuri!» rispose con una gran faccia di bronzo Ivan Storti, detto Stortissimo, mentre restituiva l’iPhone e usciva. Era scesa una nebbia mattutina da far spavento.

cromosferico79 logorroico compresso

▌Caro @stortissimo non ti conosco, ma se vanno all’inferno sia invidiosi che lussuriosi,
▌preferirei essere al tuo posto che invidiarti così!

Non era ancora risalito ghignando sulla macchina che lo smartphone gli fece una vibratina in tasca. Mentre usciva dalla tangenziale per rientrare in città, lo sentì vibrare ancora e diede una controllata mentre gli occhi gli rimbalzavano dal touchscreen al parabrezza: il suo “tweet rubato” mandato dall’account della Soriani era stato già ritwittato duecento volte e il messaggio invidioso di cromosferico79 era solo il primo caso in una sfilza di virtuali pacche sulle spalle o gomitatine nei reni.
Si fermò bruscamente a un lato della strada per leggersi per benino tutto il delirio in corso, ridacchiando compiaciuto. AndreA_life gli mandava una «standing ovation», elCorifeo annunciava che «da oggi il mio mito è» proprio Ivan, sordydo gli chiedeva spudoratamente dettagli.
Era anche arrivata un’email. Si trattava di Rocchero, uno dei delegati FLAI-CGIL, che diceva che era stato fissato un incontro alla sede dell’Unione Industriali, in centro, e che bisognava organizzarsi un attimo per portare «striscione della RSU, fischietti, cartelli e cazzi vari».
La storia pruriginosa della star che rivela in scioltezza la sua trampa con uno sconosciuto cominciava a lievitare. I fan incuriositi o ingelositi che chiedevano lumi direttamente alla Soriani su Twitter o sulla sua pagina Facebook ufficiale erano più numerosi delle stelle che l’inquinamento luminoso permette di contare nel cielo della Pianura Padana.
L’attrice, tuttavia, non rispondeva: in una cascina a pochi kilometri dalla riseria Bruci faceva le riprese del suo nuovo film in costume sulla sconfitta di Francesco I nel 1525, nel quale interpretava un’amante italiana del maresciallo de La Palice (che nessun documento attendibile aveva mai menzionato, ma nemmeno escluso, e anche il maresciallo avrebbe convenuto che ciò che non è impossibile che sia successo, potrebbe pur sempre essere accaduto). Il telefono giaceva, spento, nel camerino.

decamerondiaz Boccaccio Firmato Diaz

▌Se la foto di @stortissimo è autentica, forse le riprese in cui è impegnata
@charlotte_s sono quelle de “la Bella e la Bestia”…

Di sabato riempiva il cuore andare al presidio perché gente che andava a far la spesa del week end passava di lì e lasciava magari un pacco di pasta o della frutta. In mezzo, come il falò al centro di un accampamento indiano, una scassatissima roulotte fungeva nottetempo da dormitorio per i cinque di turno. Sul cancello, tra le bandiere dei sindacati e improvvisati tazebao su cartoncino, era stato tirato per il lungo, coprendo tutta la larghezza del passaggio, uno striscione che proclamava «Le merci NON PASSERANNO». Ricordava uno striscione analogo che comparve durante l’assedio franchista di Madrid, che così a occhio aveva portato una gran sfiga. Per il momento però il blocco stava tenendo.
Un capannello di colleghi del suo reparto stava respirando nebbia vicino alla tenda n° 2, quella con fornellino e caffettiera. Li raggiunse esibendo il telefonino come uno scalpo nemico e annunciò: «Vi faccio vedere una cosa, sfigati».

arocchero Andrea Rocchero

▌anche oggi continua il #presidioriseria davanti alla Bruci.
▌alle 15 saremo sotto l’unione industriali. resistere un minuto più di loro!!

Quelli della tenda n° 2 stavano ancora ridendosela a leggere dal suo telefonino i tweet che continuavano ad arrivare a Storti o su Storti, quando, subendo forse l’attrazione gravitazionale dell’assembramento umano, arrivò il Messia. Era costui un impiegato del magazzino, sui cinquanta, che si presentava in riseria sempre trasandato e con la barba di minimo tre giorni (evidentemente se la radeva solo in ferie), occhialoni tondi e qualche giornale sotto il braccio, pontificando su qualsiasi argomento purché extrasportivo, sempre con una competenza apparentemente enciclopedica.

Russo starnutì bestemmiando. «Questo presidio ci ammazzerà di freddo» commentò qualcuno.
Era un’occasione d’oro per il Messia. Gettò la bomba: «Il raffreddore non è causato dal freddo» asserì con curata noncuranza. «Lo leggevo proprio qualche giorno fa su Wikipedia: contrariamente a quel che si crede, non è stato dimostrato nessun collegamento tra prender freddo e ammalarsi di raffreddore. È un virus, si prende per contagio. In Inghilterra hanno preso cento persone, le hanno fatte stare al freddo coi piedi a mollo, hanno aspettato una settimana: si sono buscati il raffreddore con la stessa percentuale degli altri».
«Però, Messia, si chiama “raffreddore”, viene d’inverno, la nonna ha sempre detto che si prende se ti raffreddi… Non è che stavolta esageri?».
«Le nonne credono a tante balle, poverine, credono pure che in riseria si faccia il riso e invece si fa il rudo da grimare!». Il “rudo” dalle mie parti è la spazzatura. Lo scarto del riso, che si chiama “lolla”, fa rudo buono, che si può usare per alimentare degli inceneritori. La riseria Bruci si era buttata nel business dell’energia verde “grimando”, cioè bruciando, tutta la lolla che scartava. Qualcuno aveva iniziato a dire che la Bruci produceva rudo e, come prodotto di scarto, riso: Rudificio Bruci.
La cosa era sospetta e qualcuno ci aveva dato un’occhiata ed erano saltate fuori delle procedure non troppo limpide nel trattamento del rudo. Si apre il vaso di Pandora e cala in Val Padana uno stuolo di ispettori con lente d’ingrandimento e accento romanesco, roba da far oliare gli schioppi a tutti i trecentomila bergamaschi di Bossi. Uno di questi ispettori vede che nei camion che portano la materia prima all’inceneritore ci sono dieci bidoni: nove verdi con scritto lolla e uno rosso, che puzza di marcio, con un alone fosforescente, il simbolo del pericolo, del radioattivo, del teschio con le tibie incrociate e un pentacolo col 666 e la testa di caprone. Quel genio di ispettore capisce che forse il decimo bidone contiene qualcosa che non dovrebbe contenere, ci guarda dentro e scopre che il motivo per cui erano così redditizi i roghi di rudo è che il dottor Bruci faceva dei bei cocktail di lolla e rifiuti tossici. La pensata, naturalmente, era della ‘ndrangheta. Risultato: processo, inceneritore confiscato, crisi aziendale, licenziamenti.
«Il Messia ha ragione, se stavamo a sentire i consigli della nonna — fa’ il bravo e l’ubbidiente — non eravamo neanche qui a presidiare la fabbrica!» proclamò, come uscito da un film di Ken Loach, Scarabuzza del reparto packaging, che era delegato per il sindacato di base. Si era preso una licenza retorica, perché una delle sue due nonne era stata mondina e si era fatta tutti gli scioperi del dopoguerra, e pure un paio di quelli clandestini durante il fascismo repubblicano, ché la storia del riso era storia di schiene piegate in risaia che a un bel momento si raddrizzavano, sebben che siamo donne paura non abbiamo, oilì oilì oilà e la Lega la crescerà; e scomparse le mondine gli scioperi erano continuati in fabbrica sebben che gli operai erano tutti maschi, e avanti nei decenni fino a oggi, che la Lega l’era cresciuta davvero ma era la Lega Nord, però a trafficare col riso e coi suoi scarti c’erano i sciur della Padania fianco a fianco coi mafiosi della peggio Terronia. Morale: c’era il nipote di una mondina fuori, al gelo e alla nebbia, a fare la lotta per difendere il riso dalla lolla. E noialtri lavoratori, i vuruma vess pagà.

GazzBassa Gazzettino della Bassa

▌Si apre processo a dott. Bruci, tra i dipendenti rabbia e preoccupazione.
▌http://gazzettino-bassa.it/cron… #ecomafie #presidioriseria

La Charlotte Soriani alias Donna Lucrezia di Montalto se ne stava seduta sul letto a baldacchino, nuda, coprendosi col lenzuolo di cui teneva un lembo stretto sul petto. In piedi di fronte a lei, dandole le spalle per guardarsi a un voluminoso specchio mezzo ossidato, un uomo dallo sguardo cupo stava allacciandosi una marsina blu.
«Maresciallo de La Palice, la Vostra condotta nei miei confronti è indecente! Ve ne andate già?».
«Donna Lucrezia, lo sapete: starò con voi fino all’ultimo istante prima di congedarmi».
La donna scoppiò in un pianto sommesso e passò al tu. «Lo so, lo so… La verità è che temo per la tua vita, Jacques. Tra poche ore sarai in battaglia, le truppe del marchese di Pescara sono più fresche delle vostre e ho un brutto presentimento».
Il maresciallo si mise i guanti. «Lucrezia, sono abile e prudente in guerra quanto sono sfacciato e maldestro in amore: non m’è stata mai inferta una ferita letale, neppure a Genova; solo quando ci è sfuggita la vittoria siamo stati sconfitti».
Con un ultimo singhiozzo l’amante di La Palice sembrò rassegnarsi un poco e volse un ultimo sguardo implorante al militare che si infilava le galosce. Lui la baciò.
«Buona quest’ultima!» gridò il regista. Lo staff si fece un breve applauso liberatorio. «Bravi tutti, ci vediamo tra due ore. Pausa».
Quelli delle luci le spensero, l’uomo con la giraffa abbassò il microfono e lo posò contro un muro della stanza, i due alle macchine misero i tappi agli obiettivi. Alcuni galoppini vennero a restituire indumenti da XXI secolo all’attore e portarono biancheria e una vestaglia all’attrice.
Rientrata in camerino, la Soriani accese l’iPhone: il telefonino segnalò una raffica di SMS che erano rimasti in sospeso a mezz’etere e subito squillò: era il suo agente.
«Charlotte, ma hai visto cosa sta succedendo?!».
«Ero nel Cinquecento… cosa sta succedendo?».
«Il tuo tweet a un certo Ivan Storti ha fatto un po’ di scalpore. Come ti è venuto in mente?».

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▌L’amico misterioso di Charlotte Soriani è un operaio del #presidioriseria?
▌http://gazzettino-bassa.it/spet…

Nella tenda n° 1, dove c’era la “mensa”, Popescu e Lomanto avevano fatto il risotto con la salsiccia. Per dispetto, avevano comprato il riso della concorrenza. Si erano tutti seduti alla bell’e meglio attorno al tavolone, inclusi alcuni “solidali di sinistra”, non si era capito se anarchici o comunisti o indignati, che erano venuti a dare sostegno ma erano stati cooptati nel ruolo di ospiti dei presidianti.
«Ma Walid, la mangi la salciccia?» chiese Scarabuzza.
«No, la salsiccia no per favore» rispose il tunisino quasi imbarazzato.
«Non la mangia neanche Alex» precisò il Messia. Alex era il giovane magazziniere albanese.
«Ma tu perché, scusa? Mica sei arabo» disse Scarabuzza.
«Anche gli albanesi sono musulmani!» rispose Alex.
«Il vino l’hai sempre bevuto».
«Il vino è troppo buono… ma il maiale fa schifo!».
Walid rise annuendo.
«State buoni, l’abbiamo fatto anche allo zafferano apposta per questi rompicoglioni!» rise Lomanto. Tutti applaudirono.
Storti si era distratto smanettando col telefonino. Sulla pagina Facebook del presidio uno dei colleghi che quella mattina era rimasto a casa aveva mandato un link commentando «E bravo lo Storti!!!». Il link era dal sito di Repubblica e si intitolava «L’attrice e il cassintegrato». Aveva già 10 commenti e 18 Mi piace.
Mentre un po’ meno divertito di prima e con un filo di preoccupazione iniziava a leggere l’articolo, il telefono squillò: Numero privato. Ivan scivolò fuori dal tendone.
«Pronto, chi parla?».
«Buongiorno. Sono l’agente di Charlotte Soriani».

charlotte_s Charlotte Soriani

▌Non ho mandato io quel tweet e ho passato la notte da sola
▌(anzi, con Jacopo: il mio gatto). #scherzistupidi

La coreografia del minicorteo fino all’Unione Industriali l’aveva pensata il Messia, mettendo in prima fila lo striscione tenuto da sei colleghi: Lomanto per rappresentare le donne, il Messia stesso per il ceto impiegatizio, Storti perché questa figura di merda con la Soriani faceva comunque audience, poi tre stranieri, cioè Popescu, Alex e Walid. Seguivano, fieri come re magi, Rocchero, Scarabuzza e Toscani, cioè la RSU, affiancati da un paio di sindacalisti territoriali. Poi, la massa dotata di fischietti e di cartelli monoverbali, tipo Lavoro, Dignità, Ambiente eccetera. In chiusura, i solidali di sinistra, “quelli del centro sociale” che erano arrivati al caffè e un parroco “mezzo compagno”.
Arrivati lì c’erano però anche i solidali di destra: un senatore leghista e tre ragazzotti col cranio rasato un po’ spaesati. Il senatore strinse la mano ai delegati della RSU, si presentò e disse che la colpa era indubbiamente della mafia calabrese e del governo tecnico, e che, se serviva una mano, “Questo è il mio numero”.
Storti aveva cercato di rifiutarsi di tenere lo striscione, ma il Messia era stato irrevocabile. Ora che stavano tutti là sotto ad aspettare notizie dalla trattativa, in un gran baccano di fischietti, rifletté sulla vicenda Soriani. C’era poco da andarne fieri: a sentire il suo agente, la ragazza si era incazzata come una vipera, e quel che è peggio aveva visto la cosa non come uno scherzo ma come una specie di stalking. L’agente aveva minacciato grosse grane legali e gli aveva intimato di non twittare niente di niente, neanche una frase di scuse, per evitare di fare altri guai.

cromosferico79 logorroico compresso

▌Secondo me @charlotte_s sta facendo una finta per nascondere la verità!

Quando la troupe della TV era arrivata alla riseria, al presidio erano rimasti pochissimi, perché erano tutti in città sotto l’Unione Industriali. «Anche il signor Ivan Storti?» chiese la giornalista, gonna nera, camicetta e permanente.
Russo, che era rimasto di guardia, disse che poteva cominciare a spiegare tutto lui della vertenza alla Bruci, mentre aspettavano che gli altri tornassero. Spiegò alla giornalista annoiatissima che il loro obiettivo era impedire che il dottor Bruci, trafficante di rifiuti, ammanicato con la ‘ndrangheta, licenziatore di maestranze, li fregasse svuotando i magazzini o portando via i macchinari.
Lupus in fabula! Evocato da Russo, approfittando dell’assenza dei presidianti, ecco apparire un gigantesco autoarticolato, scortato da una camionetta dei carabinieri e da un camioncino della security privata La Garanzia s.r.l., sede sociale Buccinasco, socio unico un distinto signore nato a Catanzaro.
Come un sol uomo, tutti lanciarono l’allarme. Russo e gli altri col telefonino semplice fecero partire le chiamate, gli squilli e gli SMS. Quelli con i furbòfoni fecero partire i tweet, le email e i post su Facebook. Il camion stava entrando indisturbato da un cancello secondario.

comradeLiz Elisa D.

▌Il riso abbonda sul camion degli stronzi. Accorrete al #presidioriseria subito!

La prima macchina ad arrivare fu quella di Storti, sovreccitato e già pronto a menare le mani. Aveva caricato con sé i tre stranieri e un solidale di sinistra con tanto di bandiera rossa, sembravano la Legione Straniera o le Brigate Internazionali.
La RSU, che aveva sospeso la trattativa (e girava voce che Scarabuzza avesse pure dato una manata in faccia al portavoce dell’azienda che faceva finta di non sapere nulla del blitz), giunta sul posto aveva iniziato a coordinare le operazioni militari.
Il responsabile di piazza mandato dalla questura minacciò di prendere a calci le automobili che ostruivano l’uscita ovest se non saltavano fuori i proprietari; Storti gli puntò un dito in mezzo alla fronte e gli disse flemmatico: «Una macchina è mia; se la prendi a calci scopri subito qual è, scommettiamo?».
L’uscita più probabile era quella nord, perché era la più sguarnita. Rocchero fece appendere di traverso sul passaggio uno striscione che diceva «Una risottata vi seppellirà». Quando il camion cominciò a muoversi verso quell’uscita, la gente si mise a fare dei cordoni umani, tre, quattro file tutti abbracciati.
Il Messia si era messo anche a fare una testa così al responsabile di piazza facendo notare che la merce non poteva uscire senza la bolla. Il questurino spazientito gli fece notare che in quella fabbrica entravano e uscivano da anni ogni tipo di porcherie e per una volta che uscivano solo chicchi di Vialone Nano bisognava fare tutta ‘sta manfrina?

GazzBassa Gazzettino della Bassa

▌Dopo 2 ore di braccio di ferro coi dipendenti, la Bruci rinuncia a svuotare i magazzini.
▌http://gazzettino-bassa.it/cron… #presidioriseria

Alla tenda n° 3, era già il quinto brindisi in onore della (temporanea) vittoria. Erano ubriachi anche i musulmani.
Il telefonino di Ivan continuava a pigolare per la batteria scarica, lui si era allontanato un attimo per lasciarlo a ricaricare nell’accendisigari della macchina. Appoggiata al cofano, fumava una sigaretta sottile una donna con una gonna nera.
«Salve, è Lei il signor Ivan Storti, giusto? Sono della televisione».
«Ah, siete ancora qui? Pensavo che eravate andati via, prendetevi un bicchiere alla tenda».
«Abbiamo mandato il materiale a Roma, l’hanno montato e tra poco va in onda. Su Tabloid. Però volevamo anche intervistarLa. È per la storia della Charlotte Soriani, sa».
«Ah. E cosa devo fare?».
«Se può seguirmi nel camioncino, Le faccio firmare la liberatoria. C’è anche una piccola cifra per il Suo disturbo».
La piccola cifra era più di metà del suo stipendio annuo. Il disturbo però era notevole: avrebbe dovuto rispondere ad alcune domande sui suoi rapporti con la Charlotte Soriani, cosa che aveva promesso all’agente dell’attrice di non fare. Fra l’altro, cosa c’era da dire sui suoi rapporti con la Charlotte Soriani? No, meglio non firmare.
Firmò.

sweetstefi Stefania Iovine

▌Il #presidioriseria ha tenuto botta! e ki se ne frega di tutto il resto…poi passa.

Nel camioncino c’era uno schermo e si vedeva, un po’ disturbato, quel che stava andando in onda sul primo canale. In distanza si sentivano il casino e le risate della tenda n° 3.
Il servizio di Tabloid “sulla riseria” si intitolava Charlotte Soriani e l’operaio. Scorrevano immagini della Soriani in varie fasi della sua carriera: Charlotte bambina focomelica in Un andrologo in famiglia, Charlotte adolescente ribelle nella fiction sul G8 di Genova Un carabiniere per amico, Charlotte maturanda che non la dà e litiga coi genitori sessantottini che divorziano e poi si rappacificano a Roma di notte e fanno il bagno nudi a Ostia all’alba in Ma te lo immagini se poi, Charlotte in una foto recente.
Ivan si sentì in imbarazzo mentre sullo schermo veniva mostrato il tweet fasullo: «@stortissimo grazie per questa notte passata insieme». Voce fuori campo: «Ma chi è lo Stortissimo?». Suspense.
Stacco sulla foto di profilo di Facebook di Ivan Storti, risalente a Capodanno: faccia da pirla, orecchino, mascellone da duro, basette ipertrofiche, linguaccia. Spumante in flûte di plastica alzato verso l’obiettivo. Voce: «Ivan Storti, 35 anni, marchigiano emigrato in Lombardia».
La giornalista si affacciò nel camioncino, disse che fuori era tutto pronto e che tra poco c’era l’intervista in diretta. Ivan uscì, continuando a seguire la trasmissione dallo sportello aperto. Un riflettore sparava una luce abbacinante, la giornalista controllava il microfono, il secondo cameraman orientava la macchina.
Voce: «…una realtà socialmente degradata, dove uomini disperati si aggrappano a qualsiasi speranza per sfuggire al baratro della crisi». C’era Russo ma non si sentiva cosa dicesse, la confusione dentro le tende, gli striscioni mal appesi alla cancellata, il nastro bianco e rosso attorno all’inceneritore con la scritta «Sottoposto a sequestro». E poi le scene del blocco ai cancelli, le male parole tra operai e vigilantes. Il montaggio frettoloso o disonesto faceva sembrare tutto frutto di un’ottusa cocciutaggine senza sbocchi, sbraitare cieco di miserabili, curiosi effetti collaterali dell’inarrestabile ampliarsi dello spread tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi.
La giornalista lo strattonò: «Tocca a noi».
Premessa noiosa, che Ivan non ascoltò, immerso in pensieri precipitosi. Finalmente la domanda: «Come vi siete conosciuti?».
Un secondo di silenzio, e poi la stronzata. A ripensarci, è un mistero come gli sia saltato in mente di rispondere così. Intendiamoci: è un mistero per chi non lo conosce; perché noi che lo conosciamo sappiamo che, quando ha un’occasione così di fare la cosa sbagliata — o, come in questo caso, la cosa giusta —, non se la fa scappare. Gli costasse anche diecimila euro.
«Siamo qui giorno e notte al presidio per difendere il nostro posto di lavoro».
Perplessità della giornalista. «Hm, sì, questo l’abbiamo detto. Ma gli spettatori vorrebbero sapere come vi siete conosciuti tu e Charlotte».
Caparbietà dell’operaio, tipo brigatista che si dichiara prigioniero politico. «La riseria ha licenziato duecento persone per colpa del traffico di rifiuti tossici che faceva il dottor Bruci».
Panico della giornalista.
«Non lasceremo uscire neanche un camion di riso se non abbiamo risposte sul nostro futuro».
Urla perentorie nell’auricolare della donna si intuivano sotto forma di brusìo di calabrone. La giornalista sorrise artificialmente, tolse la parola all’intervistato ribelle: «Grazie mille a Ivan Storti, a voi studio». Era furibonda.

BuBu7te Luca D.

▌Bella cagata. #Tabloid

La scenata isterica della giornalista lo aveva divertito. Era segno che aveva preso la decisione giusta. Certo, gli era dispiaciuto quando quella aveva fatto a pezzi l’assegno, ma tant’è.
La nebbia si era dissolta, nonostante tutto si vedevano le stelle. Il silenzio della fabbrica nella notte non faceva la stessa tristezza, sembrava un sonno e non più una morte.
Salì in automobile, girò la chiave. Il display del telefonino era illuminato. Cinque SMS: quattro numeri di amici che l’avevano visto in TV, un numero sconosciuto.
«Ti ho visto in tele. Te la sei cavata bene! E sei stato leale, grazie. Charlotte».
Lesse, sorrise, rispose. Innescò la marcia.

decamerondiaz Boccaccio Firmato Diaz

▌Quelli di #Tabloid sono alla frutta. #sapevatelo

Jacopo dormiva a un angolo del letto, facendo le fusa. Il televisore era ancora acceso sul primo canale, dove il conduttore mostrava macchie di finto sangue in una specie di casa delle bambole. L’iPhone trillò con un rumore di campanelle. Sotto le coperte, seduta con la schiena contro un cuscino appoggiato alla testiera, appoggiò il libro avendo cura di tenere il segno e allungò la mano verso il telefono. Era un messaggino.
Diceva: «Charlotte chi?»

[Questo racconto è già stato pubblicato in cartaceo in Scritture contemporanee – Antologia di racconti, a cura di Elena Casaccia e Federica Biondi (Guasco Libri e cinema, Ancona), assieme agli altri 7 vincitori del concorso “Scritture contemporanee”]