di Roberto Trovato
Marco Vallarino, Il muro, ed. Alacran, 2011, pp. 160, € 15,00
Marco Vallarino è forse il giornalista del “Secolo XIX” che si è occupato di più delle attività del Dams di Imperia, di cui sono stato Presidente fino a pochi mesi fa. Personalmente l’ho incontrato la prima volta nella primavera del 2005, quando è entrato a far parte della giuria del Festival Nazionale di Arte Drammatica, che presiedo per conto dell’ “Associazione Imperia Teatro”. Fin da subito mi è parso come un giovane molto vivace, ansioso di comunicare e discutere di tutto ciò che riguarda il mondo dell’arte e della cultura. Non ci è voluto molto perché mi proponesse di leggere alcuni suoi brevi racconti scritti per il suo quotidiano e altri pubblicati in antologie assieme ad autori importanti come Lucarelli, Macchiavelli, Pinketts, Colaprico e Oliva.
Vallarino si riteneva uno scrittore prestato al giornalismo per obblighi lavorativi e sognava di avere a disposizione maggiore tempo e più spazio per opere tutte sue, slegate dall’attualità e dai fatti di cronaca, che sconfinassero in generi e situazioni in Italia poco commerciali, quali la fantascienza e l’horror. Tra i racconti letti all’epoca, ne ricordo in particolare uno comparso su un allegato del quotidiano “L’Unità”, in cui il giovane autore raccontava di una avveniristica sala da gioco, in cui al posto dei soldi ci si giocavano gli anni “che restavano da vivere”, nel vano tentativo di conquistare una sorta di immortalità.
Un giorno, è venuto nel mio ufficio all’ Università con un voluminoso dattiloscritto, che mi ha messo sulla scrivania presentandolo come il suo primo romanzo. “Una storia d’amore a tinte dark”, mi annunciò raggiante, chiedendomi di leggerlo per avere un mio parere e magari correzioni e suggerimenti per migliorarlo. L’opera si intitolava Il muro. Vallarino chiarì subito che era un caso che si chiamasse come la nota raccolta di racconti di Jean-Paul Sartre. In effetti, bastava scorrere solo poche pagine per rendersi conto che si trattava di una cosa molto diversa. In realtà, ho impiegato diversi mesi per trovare il tempo di leggere il romanzo, ma poi lo feci in un lampo. La storia proposta da Marco Vallarino era, oltre che ben scritta, avvincente, originale nell’attacco e quasi ambiziosa nello svolgimento, che pagina dopo pagina usciva dagli scanzonati canoni del romanzo per ragazzi (o teen story, come si dice adesso) per affrontare argomenti di notevole rilevanza sociale e politica, come il controverso rapporto dei giovani con la società che li circonda, la famiglia, il dramma della dipendenza, più emotiva che chimica, dalle nuove droghe sintetiche. Del resto Vallarino, a stretto contatto con la realtà giovanile, da sempre si occupa in maniera intelligente ed acuta, mai scontata, degli allarmi sociali legati ad alcool e stupefacenti e ha esplorato i risvolti culturali di situazioni alternative come il writing e di altre connesse al mondo notturno e alle discoteche
Come si legge nel risvolto del libro, uscito l’anno scorso presso l’editore milanese Alacran, protagonista della vicenda è un ragazzo, Gianni, che salta alcuni giorni di scuola per seguire le tracce di un misterioso racconto pubblicato a puntate sui muri della città di Imperia. Conquistato dal contenuto “crepuscolare e bizzarro” della storia, il giovane si industria per rintracciarne l’autore e andare incontro a un’altra sorpresa. Partito per cercare un graffito, finirà per trovare l’amore, ma anche tanti guai, che lo porteranno prima nel mezzo di un tenebroso cimitero, in un confronto temporalesco non solo nel clima, e poi addirittura in un letto d’ospedale, da cui però saprà riprendersi con rinnovato entusiasmo e una grande voglia di seguire la strada del cuore a qualunque costo.
Nel volume, suddiviso in sedici agili capitoli per complessive centosessanta pagine, Vallarino offre una buona compagnia al lettore in un cordiale clima di complicità, che gli permette anche di scoprire, grazie alle evocative e fini descrizioni, gli incantevoli paesaggi del ponente ligure. Mi fa quindi estremo piacere che il libro sia stato ben accolto da critica e pubblico. Sono certo che l’autore, collaboratore del “Secolo XIX”, tra un articolo e l’altro troverà il tempo per regalarci nuove emozionanti narrazioni. Io stesso ho accettato con piacere di presentare quest’anno Il muro al DAMS di Imperia, in una mia lezione di Drammaturgia dedicata in parte al progetto di allestimento teatrale dell’opera in corso presso alcune scuole dell’imperiese. Del resto il fitto dialogato di cui è intessuto il libro già di per sé si prestava in maniera del tutto naturale a una versione teatrale. E ancora: i protagonisti, Gianni, la sua compagna di scuola Elena, e Silvia, la sorella dello sfortunato autore dei graffiti, come pure i comprimari della vicenda sono delineati in maniera efficace. Anche per questo sono in disaccordo con chi ha definito il romanzo una “docu-fiction sui writer e il mondo della spray (o aerosol) art”.
L’epopea dei giovani creativi, celata dietro le scritte e i disegni che tappezzano le nostre città, è solo una minima parte del libro di Vallarino, per la quale la “caccia al tesoro a base di graffiti” fa da trampolino di lancio a una storia più articolata e, ripeto, ambiziosa, rispetto a quanto possa apparire scorrendo certe recensioni. Il messaggio che si legge tra le righe del libro insiste sull’importanza di credere in se stessi e nei propri sogni, più che nei valori che tenta di inculcarci una società in crisi. Secondo Vallarino, l’amore merita sempre una possibilità perché “è una delle poche cose che ci renda davvero felici”. E questo, ci dice con garbo ma con forza il giovane e promettente autore, è meglio capirlo fin da giovani, quando l’auspicata felicità può ancora pervadere tutta la nostra vita piuttosto che una minima) parte.