di Alessandra Daniele
Davanti alla locandina de Il Buono, il Brutto, e il Cattivo:
Sam: ”Which one are you?”
Gene: ”All three’‘
Non è facile Scrivere di Life on Mars BBC, trovare parole adeguate a descrivere la perfezione. A Life on Mars è riuscito il capolavoro di realizzare in modo perfetto, e fondere altrettanto perfettamente due generi cult apparentemente incompatibili: la SF metafisica di Ubik, e il ruvido crime drama anni ’70, ottenendo un risultato superiore alla somma delle parti, e coronandolo col più bel finale della storia della TV, coraggioso, struggente, indimenticabile.
Da allora, a ogni stagione i network USA hanno disperatamente cercato di copiare Life on Mars, fallendo ogni volta in modo patetico, meritatamente puniti dal pubblico.
Il primo tentativo fu uno squallido e sgangherato ”remake” omonimo, che detiene il titolo di serie dal finale più idiota di tutti i tempi, e che ha stroncato la carriera dell’insignificante cartonato col quale alla abc s’erano illusi di poter rimpiazzare lo straordinario John Simm, e il suo contributo autoriale a Sam Tyler, insostituibile quanto quello del grandioso Philip Glenister al Cerbero Gene Hunt nell’originale BBC.
Il tentativo più recente è stato Awake, il cui pilot aveva creato false speranze nei più indulgenti, e il cui breve ma noiosissimo decorso s’è concluso col secondo finale più idiota di tutti i tempi.
Crime drama e SF non possono essere mescolati a cazzo di cane. L’elemento SF non può essere solo un vago pretesto per ammucchiare una pila di verbali da questura tutti uguali (Alcatraz). L’elemento crime-retrò non può essere solo un espediente per risparmiare il costo d’una ambientazione futuribile (Continuum).
SF e crime devono essere entrambi compiuti, e integrati a livello strutturale.
Il progressivo scollamento fra la componente poliziesco-procedural ”caso della settimana”, e lo story arc interdimensionale è ciò che ha fatto sbandare la quarta stagione di Fringe, al punto che è stato necessario dare fondo a tutto l’eccezionale talento di John Noble, e in extremis ricorrere all’intervento divino di Leonard Nimoy, per riuscire a rimettere la serie almeno parzialmente in carreggiata.
Person of Interest s’è salvato quando la premessa orwelliana ha smesso d’essere soltanto un sottofondo, una moquette su cui buttare i cadaveri della settimana, e ha cominciato a produrli direttamente, integrandoli nella trama orizzontale. Michael Emerson resta sprecato per il ruolo di Finch, e Jim Caviezel resta un paracarro di tufo, ma a partire da metà stagione la serie è complessivamente migliorata, diventando un decente conspiracy thriller.
In generale invece, tutte le brutte copie di questa stagione Tv sono state un fallimento: dal loffio remake di Prime Suspect, alle telenovele Pan Am e Playboy Club, che s’erano illluse di poter saltare sul carro di Mad Men. I network USA avranno finalmente imparato la lezione?
Spoiler: manco per il cazzo.