di Fabrizio Lorusso
Ho scritto queste parole, questa poesia, per ricordare un caro amico e, da lontano, salutarlo insieme ai suoi compagni da entrambi i lati del charco (la pozzanghera, cioè come in Messico spesso chiamiamo l’oceano). Matteo Dean era attivista, autonomo, professore, giornalista – collaboratore tra gli altri di La Jornada, Desinfórmemonos, GlobalProject, L’Espresso, il Manifesto, i sindacati CILAS in Messico – e migrante (ma nessuna definizione sarebbe adeguata in sé e chiedo scusa) ed è scomparso l’11 giugno 2011, un anno fa, in un assurdo incidente al casello autostradale Città del Messico-Toluca di cui si stanno ancora oggi chiarendo dinamiche e responsabilità. Veniva da Trieste, dall’Italia, da Città del Messico e dal Chiapas, per lo meno. Volevo anche parlare della nostra condizione di precari del mondo, migranti della vita e delle lotte quotidiane che sono parte di un desiderio più grande, incontenibile, di cambiamento e realizzazione, di correzione delle storture e di rifiuto dell’orrore, a partire dal microcosmo del quartiere, della casa, dei mille “posti di lavoro”, fino all’universo più ampio della società e della politica intesa come base, comunità, democrazia dal basso, costruita quotidianamente e nei fatti, autonomia e cultura diffusa. Il testo è bilingue, in italiano e in spagnolo, le due lingue e culture (anzi, lingueculture come concetto unitario, inscindibile, nonostante il correttore di word lo segni in rosso) che qui in Messico tutti noi espatriati viviamo, creiamo e assimiliamo costantamente, volenti o nolenti, con entusiasmo nelle difficoltà e nei sobbalzi estremi che l’America Latina da sempre riserva ai suoi camminanti. Un abrazo hermano, sempre in viaggio.
Camminante Matteo
È stato un altro anno di guerre, di quelle che odiavi
è stato un altro anno di lotte, di quelle che amavi
e nella quotidianità che è ricordarti, ti vediamo
affianco a tutti e a ciascuno, sorridendo sul serio,
ascoltando ascoltare e spingendo
spingendoci con lacrime e silenzi
con scintille del passato conservate per il domani.
Fratello, tutto cambiò, niente è cambiato
qui nei tuoi tanti mondi sconosciuti
in quello che hai condiviso
come in quello che hai lasciato al mistero
in quello che hai creato e calcato come nell’immaginario
sinceramente, manchi tu per slegare voci
per spazzar via tirannie, per lavorare la dignità
per piangere d’incertezza e leggerti di nuovo
per veder crescere la venatura del futuro buono
per infondere ribellione nei nostri,
per formare comunità e non patrie,
per discutere bene e a volte male
e bruciare le infami frontiere perché il mondo
solo uno dev’essere, ricordato e costruito con anelito
è linguacultura, è parola, strada, suono, portatori di pace.
Faremo scioperi però mai della memoria,
non smetteremo mai di migrare
non abdichiamo alla via del sogno
con te in marcia, nel dubbio, nell’amicizia.
Anche se ci incalzano, non smetteremo di pulsare
perché prima o poi dovrà cadere ogni caporale
se il suo comando è ridicolo come la parola caporale
disperato come la tristezza, a digiuno di semplicità,
se non sa cosa significa essere vivi pur senza respirare.
Dice don Mario Benedetti di “non salvarti” e ti ringrazio
perché abbiamo cercato di non salvarci mai
di sciogliere il cappio delle parole nella libertà dell’aria
di infiammare l’anima, motore che girando scandisce
il sole, il sudore, la fronte, il movimento, l’incidente.
Tenace resiste la pioggia, vola punge cade riposa
le piace tornare al monte, sfumare rivivendo in vapore.
Restiamo umani, fratello, siamo piogge di stagione
acque gelate, atterrite dalla Bora di Trieste
che non è un semplice vento, è un tornado di stupori
e credo ti piacesse perché a nessun altro piaceva.
Compagna, senti, non ci vogliono strade per camminare insieme
ci vuole il camminante, la camminante
compagno, senti, non è per il destino che uno muore
è per oblio e apatia, dimentichiamo l’apatia, cominciamo a camminare.
Caminante Matteo
Fue un año más de guerras, de las que odiabas
fue un año más de luchas, de las que amabas
y en lo cotidiano que es recordarte, te vemos
a lado de todos y cada uno, sonriendo en serio,
escuchando escuchar y empujando
empujándonos con lágrimas y silencios
con destellos del pasado guardados para el mañana.
Hermano, todo cambió, nada ha cambiado
aquí en tus muchos mundos desconocidos
en el que compartiste
como en el que dejaste al misterio
en el que tú creaste y pisaste, como en el imaginario
sinceramente, haces falta para desamarrar voces
para barrer tiranías, para trabajar la dignidad
para llorar de incertidumbre y leerte de nuevo
para ver crecer la veta del futuro bueno
para fincar rebeldía en los nuestros,
para forjar comunidades y no patrias,
para discutir bien, y a veces mal
y quemar las méndigas fronteras porque el mundo
sólo uno debe ser, recordado y construido con anhelo
es lenguacultura, es palabra, calle, sonido, vehículos de paz.
Haremos huelgas pero jamás de la memoria,
jamás dejaremos de migrar
no abdicamos la vía del sueño
contigo en la marcha, en la duda, en la amistad.
Aunque nos apremien, no dejaremos de latir
porque tarde o temprano ha de caer todo capataz,
si su mando es ridículo como la palabra capataz
desesperado como la tristeza, en ayuno de sencillez,
si no sabe qué significa estar vivo aun sin respirar.
Dice don Mario Benedetti que “no te salves” y te agradezco
porque tratamos de no salvarnos nunca
de soltar la soga de las palabras en la libertad del aire
de enardecer el alma, motor que rolando deletrea
el sol, el sudor, la frente, el movimiento, el accidente.
Tenaz resiste la lluvia, vuela pica cae reposa
gusta retornar al monte, esfumarse reviviendo en vapor.
Seamos humanos, carnal, seamos lluvias de temporada
aguas heladas, amedrentadas por el Bora de Trieste
que no es un simple viento, es un tornado de asombros
y creo te encantaba porque a nadie más le encantaba.
Compañera, oiga, no hace falta camino para caminar juntos
hace falta el caminante, la caminante
compañero, oiga, no es por el destino que uno muere
es por olvido y apatía, olvidemos la apatía, empecemos a caminar.