[Nei giorni in cui il calcio dei grandi affronta l’ennesimo e sistemico scandalo, riceviamo e stravolentieri pubblichiamo quanto segue. F.C.]
Fútbologia
Introduzione di Paolo Sollier
Anni fa, alcuni scienziati, dopo accurati studi, erano arrivati a una conclusione definitiva: qualsiasi sostanza sia immersa nell’acqua, anche per poco, lascia una traccia che rimarrà per sempre, indelebile impronta molecolare a testimoniare un passaggio, magari qualche secolo fa. Chissà se è davvero così, ma certo la memoria dell’acqua è perfetta per parlare di calcio.
Chiunque abbia incontrato il pallone può capire di cosa si tratti. Dal grande campione al dopolavorista, dal talento sprecato al volenteroso brocco, dal semplice tifoso all’ultrà a denominazione d’origine maledetta, dal ragazzino europeo griffato al bambino africano che palleggia un preservativo gonfiato, dal dirigente appassionato al trafficante di contratti, dall’arbitro senza carriera al moviolista compulsivo, dal giornalista competente al commentatore insipiente, dall’anziano che racconta come si giocava una volta al giovane che sogna rovesciate future, da chi non sopporta le partite a chi vorrebbe non finissero mai, tutti, ma proprio tutti, ne sono irrimediabilmente toccati e segnati, nel bene, nel male e nel chissà. Più che sport, è ormai linguaggio universale e leggenda, da spendere a ogni latitudine dell’immaginario.
Ecco perché la memoria del calcio significa fútbolismo.
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ZZ III
di Christiano “Christo” Presutti
Ricorreva il terzo anniversario della fine della guerra.
Tre anni esatti dalla firma del trattato di pace mondiale di Berna. In ogni città erano celebrazioni e sommosse, messe cantate e masse suonate.
Sempre in quel giorno si concludeva la prima edizione del campionato continentale di Lega Grande Europa.
Era il giorno numero 171, correva l’anno 62 Dopo Breivik.
Una partita da giocare, tre squadre in testa alla classifica con gli stessi punti: Sa Zoventude Nuova Cagliari, Das Kapital Duisburg e Aesernia Calcio.
A Podgorica, fuori dallo stadio, si contavano otto morti.
Dentro lo stadio, sotto i riflettori, l’Aesernia Calcio incontrava i Montenegro Killers, la squadra locale in lotta per la retrocessione. Da sempre, da tutti, considerati avversari mortali in casa.
Già da molto tempo prima che la partita fosse iniziata, i tifosi del Montenegro scagliavano bulloni e mazze di ferro contro l’acciaio della panchina blindata degli ospiti. Zdeněk Zeman III, con tipica espressione imperturbabile, sembrava ignorare quel frastuono.
Lo sguardo monocolo fissava il campo da gioco blu cobalto, il volto era illuminato dal basso dai riflessi delle strisce laterali al neon. L’occhio destro era coperto da una benda nera per celare il vuoto lasciato dalla guerra, aveva il collo immobile e non voltava mai la testa. In effetti l’unico movimento del corpo era quello dell’occhio sinistro, che seguiva ora la palla, ora i giocatori, a volte altro, nel vuoto, i suoi pensieri al tempo stesso lì e altrove.
La sirena del calcio d’inizio risuonò marziale a coprire il chiasso dello stadio. I cinquanta arbitri in tenuta antisommossa sfoderarono i manganelli e la partita ebbe inizio.
A quel punto Zeman III portò lentamente la mano alla bocca e mosse appena le labbra. Aveva acceso la prima delle sue Lucky psichiche senza filtro e sbuffò via una nuvola di niente dalla bocca semichiusa.
Io, molto più anziano di lui, sedevo sull’altra panchina.
L’ultima partita — ancora una — alla guida dei miei Killers.
Il gioco non catturava la mia attenzione. I giocatori giocavano, gli arbitri menavano, io continuavo a fissare il mio avversario. Nel farlo, scorrevo a mente le foto, i libri, i disegni, i ritagli: tutti i reperti vintage da collezione che riguardavano il suo celebre antenato e che conservavo da anni. Non permettevo a nessuno di toccarli. A chi mi chiedeva di vederli, a chi voleva saperne qualcosa, semplicemente li raccontavo, li elencavo a memoria, con attenzione ai particolari.
All’inizio, quando avevo preso a farlo, pensavo che potesse servire a qualcosa. Nessuno mi aveva mai dato retta.
Oramai, per quanto perseverassi in questo mio rituale, esso avveniva nella tipica inerzia delle cose che, quando si è avanti con la vita, si continuano a fare anche se si è smesso di crederci da tempo, come andare in chiesa senza avere più religione, come scopare una donna che non si desidera più, come insegnare calcio quando il calcio — quello che tu pensi debba essere il calcio — non esiste più da tempo. Cenere.
Da lì a poche ore sarei morto. A partita finita sarebbero stati i miei stessi giocatori a uccidermi nello spogliatoio. Questo avrebbe permesso loro di presentare una vendetta consumata e, in questo modo, salvarsi la vita dai tifosi inferociti per la retrocessione.
Io lo sapevo, gli sarei andato incontro, glielo avrei lasciato fare. In verità speravo che i miei giocatori trovassero la salvezza e io la mia salvazione.
Ma il buio era sceso da prima della guerra.
Nessuno, in realtà, si sarebbe più salvato.
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Si può parlare un altro calcio.
I bei tempi non sono mai esistiti.
Abbiamo un piano. #Fútbologia.
Fútbologia
La Rivoluzione rotola?
Annusiamo calcio da quando eravamo bambini. L’odore di muffa dello spogliatoio, il grasso per ungere le scarpe, il sudore delle maglie. Intere formazioni mandate a memoria.
Lo giochiamo. Lo abbiamo giocato…
Abbiamo numi tutelari. Epiche figure mondiali, insieme a piccole divinità locali. E con loro una costellazione, una Spoon River di campioni, compagni e amici da ricordare.
Eppure lo sappiamo. Il livello del discorso sul calcio in Italia è molto basso. E il sistema del business globale del calcio è nella merda fin sopra i capelli. Da tempo ci divertiamo meno.
Però abbiamo un piano. Attaccare. Con una squadra forte. Ci allena Zeman, movimenti rapidi in campo, gradoni in allenamento. La squadra la facciamo noi, ma si gioca tutti insieme. Alziamo l’asticella, fondiamo, dal basso, l’Università del Pallone.
Un festival di tre giorni a Bologna per ripensare il calcio. A Ottobre.
Di giorno conferenze e incontri, di sera reading e concerti.
In mezzo proiezioni di film e documentari, torneo di calcio a cinque, bar sport, workshop di costruzione della palla per bambini. E tanto altro ancora.
John Foot, Simon Kuper, David Winner, David Goldblatt, Gianni Minà, Valerio Mastandrea, Paolo Sollier, Wu Ming, Guido Chiesa, Mimì Clementi saranno con noi, anche per organizzare l’evento. Tanti altri amici italiani e stranieri continuano ad aggiungersi.
Tutti gli eventi congressuali saranno ad accesso gratuito. Grazie anche alle decine di volontari che hanno generosamente offerto il loro aiuto per l’organizzazione.
Tifa Fútbologia
Se vuoi ragionare sul calcio e divertirti con il calcio, se vuoi venire al festival o seguirlo su internet con liveblogging, eventi in streaming e pubblicazione degli atti, partecipa al progetto: www.futbologia.org