di Roberto Sturm
Andre Dubus, Non abitiamo più qui, Mattioli 1885, Fidenza 2009, pp.274, € 18; Voci dalla luna, Mattioli 1885, 2011, pp.136, € 17,90; Il padre d’inverno, Mattioli 1885, 2012, pp.184, € 16,90
Nella sua carriera, Andre Dubus ha scritto e pubblicato un solo romanzo, The Lieutenant, opera che successivamente rinnegò. Evitò accuratamente di scendere a compromessi con gli editori (parecchi) che gli chiedevano un altro romanzo che sapeva non avrebbe mai scritto. Dubus aveva le idee chiare: “Poter scrivere in modo indipendente è ciò che mi permette di affrontare il mio lavoro ogni mattina. Se dalla scrittura dipendessero le mie condizioni di vita così come le aspettative di un grosso editore, dubito che riuscirei ad andare avanti. Come i poeti, noi scrittori di racconti viviamo in un mondo più sicuro. Non dobbiamo venderci a nessuno, non dobbiamo affrettarci a scrivere per nessuno; il nostro solo debito è contro noi stessi e verso quelle storie che vivono da qualche parte, dentro di noi, fino a quando non decidiamo di metterle per iscritto”.
Il racconto è la lunghezza in cui l’autore americano dà il massimo: le pagine sono dense (a volte in un racconto ci sono più spunti che in un romanzo), lo stile non è mai alla ricerca di sensazionalismi, ma la scrittura, che sembra quasi bisbigliata, affonda decisamente il bisturi nei protagonisti, rivelandone i segreti più inconfessabili. Le ambientazioni e i dettagli sono particolarmente curati e sembrano, a volte, proiezioni del paesaggio interiore dei personaggi delle sue storie. Come tutti i fuoriclasse (e Dubus lo è senz’altro) l’autore statunitense riesce a rendere semplici le cose difficili. Qualità che si nota fin dalle prime righe delle due antologie pubblicate in Italia nel 2009 e nel 2011.
La prima, Non abitiamo più qui, raccoglie tre racconti scritti tra il 1975 e il 1980 che hanno gli stessi protagonisti e affrontano il tema dei rapporti coniugali.
Due amici, Jack, docente universitario e Hank, scrittore, vivono in case vicine. Il primo è sposato con Terry, il secondo è sposato con Edith. I due uomini il pomeriggio corrono insieme, spesso si vanno a bere qualche birra e parlano dei loro matrimoni: ma se Hank usa giovanissime amanti per sopportare il suo ménage senza scrupoli, Jack si innamora di Edith, la moglie dell’amico. Per sanare il suo senso di colpa o, forse, per sbarazzarsi della moglie, la spinge tra le braccia di Hank. Invece di far quadrare il cerchio (secondo Dubus le cose non sono mai facili, nella vita) quest’ultimo adulterio fa precipitare situazioni da tempo precarie, radicalizza le posizioni e gli atteggiamenti di tutti i personaggi e li porta su strade differenti da quelle che avevano intrapreso.
Al racconto che dà nome all’antologia, segue poi Adulterio. I personaggi sono gli stessi, come già detto, ma lo scrittore statunitense, per allargare il piano narrativo, sposta il punto di vista (operazione ben riuscita che Dubus ripeterà in altri testi) da Jack e Terry a Hank ed Edith. Per questo l’attenzione viene focalizzata sull’ambizione letteraria di lui, sul suo deserto affettivo, sull’egoismo che gli fa terra bruciata intorno. Edith invece cerca la riscossa personale per mezzo dell’adulterio. Tutto viene messo in discussione: la situazione si ingarbuglia sempre di più, i rapporti tra i protagonisti si modificano, le passioni si trasformano, gli stati d’animo cambiano. Ed è ancora la maestria di Dubus a farla da padrone: nonostante la sua dichiarata fede cattolica, smantella senza facili moralismi l’ipocrisia e la falsità dei personaggi, lasciandoli in balia di se stessi.
Da Non abitiamo più qui e Adulterio è stato tratto un film del 2004, I giochi dei grandi, riuscito e ben girato, ma che risulta inferiore al testo letterario nonostante ne colga l’essenza.
Nel terzo racconto, Cercasi una ragazza in America, il punto di vista si sposta ancora, stavolta sul solo Hank: dopo il divorzio, continua ad avere relazioni con le sue studentesse e il fatto che, nel giro di pochissimo tempo, le sue amanti avranno l’età di sua figlia, non lo sfiora più di tanto.
Occorrerà una rivelazione inaspettata per mettere in discussione quello che lo scrittore è stato (o non è stato) fino a quel momento: il protagonista più cattivo, quello con meno scrupoli, quindi, riprende una parvenza di umanità. Ma la redenzione non arriva per nessuno, Dubus chiude tutte le porte a doppia mandata.
Un piccolo spiraglio si intravede invece nel bellissimo Voci dalla luna, racconto lungo pubblicato nel 1984. I protagonisti fanno parte di una famiglia sui generis: Greg è il titolare di una catena di gelaterie e con tre figli a carico: Richie, dodicenne che vuol farsi prete; Larry, che a venticinque anni è già separato; Carol, la figlia che ha deciso di lasciare la famiglia per vivere la propria vita. Ci sono poi Brenda, ex moglie di Larry e ora fidanzata di Greg, e Joan, ex moglie di Greg che vive col pesante fardello di aver abbandonato i figli. Situazione complicata che però forma un intreccio ideale per Dubus per indagare a fondo sui sentimenti e le relazioni. Tutta la vicenda si svolge in una giornata in cui i protagonisti vivranno intensamente i loro dubbi e le loro incertezze, arrivando a mettere a repentaglio la loro integrità mentale.
Dubus affronta diversi tipi di amore: quello paterno, quello materno, filiale, tra coniugi, tra amanti, tra ragazzini (incontriamo anche Melissa, un’amica di Richie) e verso se stessi. Si parla anche della fede che Dubus vede soprattutto come atto d’amore e dedizione completa più verso gli esseri umani che verso Dio. Un racconto molto intenso, costruito da immagini e sentimenti, dove l’io narrante passa ancora tra tutti i protagonisti e dove Joan, che in teoria dovrebbe essere il personaggio maggiormente privo di sentimenti tanto da aver abbandonato i figli, a un certo punto dice: “Perché due che si amano devono sempre essere egoisti, rivolti l’uno verso l’altra, girando le spalle al mondo, se vogliono che il loro amore duri.” La sua, quindi, è una ricerca dell’amore totalizzante, malattia e cura dell’anima.
Dopo queste prime due letture, le aspettative che riponevo per Il padre d’inverno (di prossima uscita) erano davvero notevoli. E non sono andate tradite: nonostante i dieci racconti non formino un insieme tematico e stilistico omogeneo e la loro qualità non sia allo stesso livello delle due precedenti antologie, ci sono almeno tre o quattro racconti assolutamente imperdibili. Del primo, Uccisioni, incantevole per stile e trama, è stato tratto il film In the Bedroom del 2001, che non segue pedissequamente il plot del racconto ma ne trasmette gli stati d’animo dei protagonisti in modo impeccabile: Matt Fowler, giovane ventenne, viene ucciso da Strout, il marito ossessivo della donna che sta frequentando. Dopo l’assassinio, il colpevole viene rilasciato su cauzione pagata dal facoltoso padre e gira indisturbato per il paese: la sua presenza mina ancor di più l’equilibrio della madre di Matt, Ruth. È da qui che decolla la storia, in un susseguirsi di sentimenti distruttivi, di odio e di rivalsa, sapientemente miscelati dalla penna di Dubus, che porteranno la vicenda al tragico epilogo.
Molto bello anche l’ultimo racconto, quello che dà il titolo all’antologia: i Jackman si lasciano dopo un matrimonio “adultero e violento”. Hanno due figli, Davis e Kathi a cui comunicano insieme che stanno per separarsi: “Litighiamo troppo, abbiamo cercato di vivere insieme, ma non ci riusciamo. Ascoltate, anche voi starete meglio dopo, cenerete da papà il mercoledì sera e il sabato e la domenica li passerete interamente con lui.”
Peter, il padre, comincia il percorso da uomo separato con figli: la ricerca di un appartamento adatto a ospitarli, l’organizzazione del tempo da passare con loro, la pianificazione delle vacanze, il disbrigo delle faccende domestiche e così via. Le difficoltà arrivano immediatamente, fino a far dubitare a Peter di riuscire nel compito. E sarà ancora una donna, Mary Ann, che non chiederà mai niente a Peter, a essere la chiave di volta della situazione.
Ma non si parla solo di relazioni familiari, in questa antologia: Dubus affronta anche il cameratismo, il rapporto odio/amore, la violenza della disperazione, la misoginia, l’omosessualità (seppure velatamente), la paura di lasciarsi andare. Ci sono altri due racconti, secondo me, di qualità superiore: Il lanciatore, per cui mi rammarico ancora una volta di non conoscere affatto le regole del baseball, e Consegne, dove la crisi di un matrimonio viene vista dal punto di vista di due piccoli fratelli.
Gli ultimi anni della sua vita, Dubus (1936 — 1999) li passa su una sedia a rotelle come conseguenza di un incidente stradale occorsogli nel 1986, in cui salvò una donna. Autore apprezzato da altri scrittori (di cui molti, amici), furono proprio Kurt Vonnegut (che insieme a Richard Yates fu un suo insegnante di scrittura) e John Updike a lanciare una sottoscrizione per pagare le cure di cui aveva bisogno.
Uomo benvoluto da tutti e autore amato da molti, Andre Dubus ha lasciato pagine che hanno segnato la letteratura americana del secolo scorso, ponendosi ai vertici della narrativa breve alla pari di autori più celebrati e famosi di lui: un grazie alla casa editrice Mattioli 1885 per averlo portato in Italia.