di Mauro Baldrati
“Non è bello avere qualcuno da odiare?” canta Michael Krohn del gruppo norvegese Raga Rockers. “Tutti odiano tutti” è scritto su una t-shirt in un video di J-Ax. “I hate Pink Floyd” aveva stampato sul petto Johnny Rotten. Odiare dà energia, talvolta indispensabile per tirare avanti, quando le risorse a disposizione sono scarse. Odia la giovanissima ragazza narratrice del libro dello scrittore siriano Khaled Khalifa, Elogio dell’odio. Odia il regime del suo paese, i satrapi feroci che sfruttano e massacrano il suo popolo. “I potenti odiano i proletari e l’odio deve essere ricambiato” diceva Sanguineti in una Lectio Magistralis del 2007, per cui bisogna “restaurare l’odio di classe”.
Parole dure, che suscitano ribellione politically correct, odiare è sempre sbagliato, l’odio è un sentimento perdente, ci vuole la compassione ecc ecc. Eppure quando lo spettacolo del potere assume toni grotteschi, insultanti, violenti, l’odio sgorga spavaldo dalla fonte dannata dell’impotenza e della rabbia. Io per esempio li odio, li odio a morte, con lo spirito e col corpo, e vorrei il loro male, tutto il male possibile.
Mia madre diceva spesso: non diventare mai, mai sindaco del tuo paese, perché la gente ti odierà e ti invierà tutte le maledizioni del mondo, e prima o poi qualcuna arriverà a segno. Credenze popolari che dovrebbero avere un fondo di verità. Ma allora perché tutti i nostri politicanti corrotti che fanno il lavoro sporco dei veri padroni in cambio di lussuose prebende la fanno sempre — o quasi sempre — franca? Perché i nostri affamatori, che sono dei domestici al servizio dei padroni internazionali, sono addirittura amati dalle loro vittime? Perché i gangster che hanno trovato il più sfarzoso dei bottini, un intero paese da saccheggiare, coi suoi tesori, i suoi servizi pubblici, le sue speranze, non ricevono qualcuna delle maledizione che gli mando mentre li osservo predicare in televisione, con le loro facce di bronzo, la loro carica di falsità e di violenza? Forse perché in quel momento sono solo, davanti al video, ad augurare loro malattie orrende, incidenti stradali con paralisi permanenti. Infatti la superstizione di mia madre riguardava maledizioni di gruppo, di popolo, che acquistano forza dalla terra, dall’aria, dalla luce, dall’acqua. Se nello stesso istante fossimo migliaia, centinaia di migliaia, se fossimo milioni davanti al video collegati in una catarsi neuro-apocalittica di puro odio le facce dei predicatori esploderebbero al rallentatore, occhi e denti che schizzano, materia cerebrale che si abbatte sul vetro dello schermo, la calotta cranica che si scoperchia, proprio come avviene da qualche parte nell’epopea azimoviana della guerra totale contro il Mulo. Dovremmo lanciare un appello: all’ora X sintonizziamo la televisione su uno degli interminabili talk show dove non mancano mai i demagoghi dello spread e dei sacrifici necessari, oppure i falsi Predator che fingono di protestare contro le tasse per distruggere il welfare, e scateniamo il nostro odio selvaggio, concentrandoci sulle loro facce. Sono convinto che entro pochi secondi lo schermo diventerebbe rosso. Nulla può opporsi all’energia collettiva di milioni di esseri umani decisi a tutto.
Però la questione non è così semplice, né lineare. L’odio è come un rostro che avanza raschiando, strappando, sfregiando. L’energia compulsiva che lo genera non si scarica totalmente sulla catarsi — fantasmagorica — della punizione dei nemici. È una forza che implode, mette in tensione la fibra vitale, indurisce l’animo. Io la sento, la forza oscura che destabilizza il sistema neurovegetativo. Appare un predicatore, è un “onorevole” presenzialista, un ciarlatano che recita il copione scritto da altri: il brutto ceffo bercia che 40 anni di lavoro (degli altri) sono pochi per andare in pensione. Mi concentro, cerco di provocargli l’esplosione della trachea, il distacco delle orecchie, la perforazione dell’intestino, il taglio delle dita, lo schiacciamento del naso, lo scotennamento del cuoio capelluto, la carbonizzazione degli occhi. Stringo i pugni, faccio scricchiolare i denti: deve essere possibile perdio, il Mulo era in grado di vaporizzare i cervelli di qualsiasi avversario. È una questione di forza di volontà.
Ma qualcosa non va. L’ipertensione dei tendini si scarica sul cuore, nelle tempie. Anche nel fondoschiena, dove ci sono i reni, ricettacoli di tutte le tensioni e le paure e le rabbie. Così faccio una sosta, per una importante verifica. Prendo la macchina per la pressione e la collego al braccio sinistro. Riattivo la concentrazione, cercando la massima intensità dell’energia offensiva. “Pura intensità” diceva Deleuze: esplodi, maledetto sicario, voglio vederti smembrato, disarticolato, squartato, scuoiato, bruciato, liquefatto. Intanto aziono la macchina, schiaccio la pompetta, il cuscino d’aria si stringe intorno al braccio. Il risultato non mi stupisce: sono già bradicardico, al mattino mi sveglio con 42, 43 battiti, durante il giorno raramente supero i 50; ora sono 93; la pressione sale a 171-99. Danni collaterali: questo sforzo mentale mi lascia stremato. E depresso, perché non accade nulla. Il vampiro è sempre lì che predica, dice “per troppo tempo siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità.” Nostre? Come osa parlare per me? Non mi sono concesso nulla più del dovuto, anzi, ho fatto delle rinunce. Lui, invece, rastrella i miei soldi, capitalizza i miei sacrifici. E ride. È soddisfatto. E io sono depauperato, come dopo una dura battaglia persa.
Ma c’è un secondo problema. Anche ammettendo che io riesca ad attivare la mia potenza telepatica e quindi a infettarlo con un composto di supervirus Ebola, Aids, Lebbra, Morte Rossa, Peste Bubbonica, Polonio, Arseniato di Piombo e Cianuro di Potassio, la sua poltrona verrebbe immediatamente presa da un altro. Perché costoro sono dei famigli, dei semplici scherani a pagamento. I padroni si trovano altrove, e non hanno volto. Sono oscuri, truci, melliflui personaggi dall’anima morta che siedono nei consigli di amministrazione, esseri sconosciuti che guardano e dominano il mondo da un video. I loro uffici sono a Londra, New York, Francoforte, Zurigo. Forse non sono neanche persone fisiche, come si dice in gergo burocratico, ma enti, gruppi di potere multinazionale. Non saprei come arrivare a loro, inoltre c’è bisogno dell’immagine per veicolare la forza telepatica. Gli antichi inventori delle religioni l’avevano capito, le statue, gli affreschi, i ritratti dei santi e dei guru sono delle porte per inviare il mantra, sia esso positivo, liberatorio, o di guerra. Per di più i padroni rischiano di essere protetti da uno schermo difensivo impenetrabile, le energie mentali dell’esercito di servi e schiavi di cui si circondano. Alla fine la scarica neuro-apocalittica individuale torna indietro, finisce per colpire e danneggiare chi l’ha attivata. Al danno si aggiunge la beffa.
Pertanto così non funziona. È controproducente, è il contrario di uno degli insegnamenti fondamentali del Sun Tzu: non vinco senza combattere, ma combatto fino allo sfinimento senza vincere, perché non ho individuato il vero nemico. L’odio va gestito con saggezza, va dominato, economizzato, capito, proprio come certe sostanze che, se assunte nelle giuste dosi, hanno effetti positivi, mentre in dosi elevate provocano danni.
Il segreto è uno solo: capire, sentire “l’odio di classe”, incanalarlo fiero e orgoglioso, così da trasformare la “debole forza messianica” di Benjamin in forza messianica pura, scarica neuro-apocalittica collettiva, ripulita dall’ipocrisia e dalla viltà della sinistra, che è rovinata dal perbenismo e dall’ignavia. O dal culto delle buone maniere. Così commentava Michele Serra le parole di Sanguineti sull’odio di classe: “inservibili in una moderna competizione politica, nella quale la medietà dei concetti, la loro piacevolezza, la loro immediata comprensibilità, è tutto o quasi tutto.” Medietà dei concetti, piacevolezza. Insomma non è abbastanza mainstream per la politica televisiva attuale. Forse ha ragione. Ma chi parla di competizione mainstream? Quella cosiddetta politica “media” e immediatamente comprensibile si basa su un inganno: stringere un patto tra le classi per sconfiggere la crisi. Ma la crisi è strutturale del capitalismo transnazionale, nella sua aggiornata versione finanziaria e speculativa. La sua vera politica prevede la distruzione del lavoro tutelato, riducendolo a merce, e la rapina delle risorse delle classi medie e medio basse, che vengono spolpate fino all’osso, trasformandole in proletariato. Quel patto non esiste. Oppure se è esistito, come nel dopoguerra, quando il pianeta era ancora in gran parte da conquistare, è stato rotto da tempo. Oggi i proletari non sono solo gli operai e i disoccupati ma i laureati, i tecnici, gli scrittori, i traduttori, i precari, gli immigrati. Hanno poco da perdere, domani non avranno più nulla. La loro è una potenza persino superiore a quella del Mulo, perché si nutre di un radicale odio di classe. È solo disaggregata, divisa da conflitti interni, ma si muove. Cresce, si sta trasformando in “pura intensità”. E quando sarà pronta, organizzata, agile e scattante, gli orchi, i vampiri, i Predator, gli zombi faranno bene a cercare qualche grotta lunare in cui fuggire, perché come scriveva il poeta romagnolo otto-novecentesco Stecchetti in una poesia già pubblicata su Carmilla in occasione del primo maggio:
Chi ti difenderà domani, quando
le turbe mal nutrite
assedieranno le tue case, urlando:
“è il primo maggio: aprite”?