L’intervista individualista di Alberto Prunetti, che intervista se stesso
Cosa è successo a Napoli sabato scorso, il 21 aprile?
Un paio di persone si sono messe a urlare durante la presentazione del Severino Di Giovanni di Osvaldo Bayer, che io ho tradotto, ospitata da L’Altrolibro. Mi chiedevano quanto ci ho guadagnato con quella pubblicazione. Non mi hanno fatto neanche rispondere perché loro hanno continuato a urlare, io mi sono alzato, abbiamo cominciato a spingerci, il pubblico si è messo nel mezzo, prendendo le mie difese. Epico un signore molto anziano che parlava in dialetto e faceva roteare il bastone.
Allora te lo chiedo io: quanto ci hai guadagnato?
Niente, l’ho detto l’altra sera ed è la verità. Innanzitutto sono un traduttore, non un editore. Quando lavoro come traduttore per case editrici commerciali in genere ci pagano (a me e a tutti i colleghi) dai 10 ai 13 euro tasse incluse a cartella. Una miseria, meno dalla metà della media europea. I collettivi di precari dell’editoria si sbattono per migliorare le condizioni di lavoro, ma per ora è dura. Questo quando lavoro per le imprese commerciali. Quando collaboro su progetti più politici che comunque hanno una struttura commerciale la situazione è differente. Ci sono case editrici di compagni che ti pagano a prezzi minimi, sugli 8,50 euro. Per capirci si guadagna di più in un bar o facendo le pulizie, ma ci stai perché sono compagni, appunto… e anche li poi ci devi pagare le tasse… poi ci sono altri che non possono pagare e ti danno qualche copia in omaggio e se ce la fanno qualche spicciolo di rimborso se i soldi rientrano. Nel circuito delle autoproduzioni invece le dinamiche sono altre: li il libro te lo traduci e te lo pubblichi da te, quindi non si paga nessuno.
Allora quanto hai preso per il Severino?
Per ora mi hanno spedito dieci copie omaggio, poi altre dieci, poi altre venti. Con l’editore siamo rimasti d’accordo che nel momento in cui avrà un rientro di denaro, può darmi un rimborso a cartella, o quel che preferisce, stornando il costo delle copie che mi ha inviato, secondo la sua disponibilità. Sempre comunque sui prezzi delle case editrici di movimento. Questo ovviamente perché Agenzia x non è un colosso editoriale ma un piccolo progetto militante nato nell’antagonismo, simile a altri di compagni come Eleuthera, per esempio, con cui collaboro, o a altri collettivi editoriali presenti negli Usa, in Gran Bretagna o in Argentina. Quando lavoro con editori di profilo medio si fanno i contratti, si rispettano i tempi di consegna e di pagamento, si aspetta il cud e si pagano le tasse, come in tutti i lavori. Con le piccole editrici di movimento ci si mette d’accordo spesso sulla parola, ma ovviamente se ti danno un rimborso economico per il tuo lavoro, ti arriva comunque un cud e ti scalano la ritenuta d’acconto. Cioè sia editore che traduttore ci devono pagare le tasse. Insomma, è un lavoro. Non mi vergogno di lavorare. Lavoro, pago l’affitto e le tasse e vivo comunque nella fascia di reddito della povertà. Non è il mio mondo ideale, apprezzo la critica del lavoro ma per ora ci sto dentro, con tutte le contraddizioni del caso ben presenti. Spero che le cose cambino ma cambieranno con le lotte degli sfruttati che resistono, più che con gli anatemi dei profeti che gridano nel deserto.
Non ci credo. Devi essere ricco con il lavoro che fai…
Allora stiamo scherzando? Sono un precario dell’editoria, intermittente, spesso disoccupato. A oggi il mio conto in banca risale a 293,13 euro (meno di seicentomila lire) e il lussuoso mezzo su cui giro è un’automobile regalatami, del 1990, con 300mila chilometri fatti. Sono andato a Napoli con la speranza che nel frattempo qualcuno mi salderà alcuni lavori arretrati o non saprò come pagare l’affitto. Alle mani ho i calli perché per mangiare mi faccio l’orto in questi giorni, visto che è primavera e alcuni editori che mi devono dei soldi sono in difficoltà e in ritardo con i pagamenti. Fino a qualche anno fa me la cavavo un po’ meglio insegnando italiano ai lavoratori migranti che vivono in Italia, ma da un paio d’anni non ci sono più risorse per queste iniziative e purtroppo se insegnerò ancora, sarà solo a titolo di volontariato.
Però ti fai pagare per presentare i libri
Sono molto stanco di fare presentazioni, cerco sempre di farne a meno e accetto solo se chi mi invita insiste. Fino a 200 chilometri da casa ci vado gratis. Oltre chiedo il rimborso spese. Se non possono darmelo ci vado uguale, almeno fino a quando ne avrò tempo e modo. Quando mi chiedono quanto ho speso, dichiaro di solito meno di quanto ho speso davvero. I treni costano e la mia auto è una vecchia caffettiera che si mangia un litro d’olio alla settimana, per non parlare della benzina. Purtroppo non ho i soldi per cambiarla con una che consumi di meno, di nuova generazione. Non me la sento nemmeno di chiedere tutto quel che ho speso. In genere mi offrono da bere, la situazione è bella e il piacere di parlare con le persone mi basta a essere felice. In genere, ovviamente.
Però hai mercificato il Severino…
Se ogni volta che una vita viene raccontata da chi non l’ha vissuta e ci si fa un libro e ci si mette un prezzo e questa è una mercificazione, allora sì. In un mondo di merci, anche le memorie forse circolano come merci. Lo hanno fatto però gli stessi che mi accusano, visto che anche loro venti anni fa hanno stampato una raccolta di articoli Di Giovanni, ampiamente prefata, che costava undicimila delle vecchie lire. Se invece un libro con un prezzo sopra è un compromesso per far circolare le idee, per far conoscere un pezzo di storia che altrimenti andrebbe a scomparire… dov’è il problema?. Il libro poi non è mio, io l’ho tradotto perché l’autore, Osvaldo Bayer, di cui sono amico, mi ha chiesto di trovargli un editore visto che non capiva come fosse possibile che gli italiani, a distanza di 40 anni dalla prima edizione, non fossero interessati a questa storia.
Allora Bayer ci ha fatto i soldi e l’ha mercificato lui il Severino?
Bayer è stato condannato a morte da un gruppo clandestino di destra per questo libro e per un altro che ho tradotto sempre io, la Patagonia rebelde. E’ stato costretto due volte a andare in esilio, lui e la sua famiglia, e il libro su Severino l’hanno bruciato in piazza nel 1976.
Però avete preso dei soldi, un finanziamento dello stato argentino, per questo libro. Sono gli stessi che hanno ucciso Severino!
C’è un dipartimento di questioni culturali, in Argentina come in Spagna o in Messico (non in Italia perché se ne fregano della cultura) che sostiene di tanto in tanto le traduzioni di opere argentine all’estero. Una cosa normalissima che accade ovunque, con l’eccezione appunto dell’Italia. Tra il 2010 e il 2011 svariate decine di opere argentine sono state pubblicate in italiano, talvolta con questo stesso finanziamento. Io non lo conoscevo fino a quando un’altra editrice anarchica che ne ha usufruito me lo ha segnalato. E meno male che c’è. Nella scelta dei testi da finanziare hanno visto con favore anche l’opera di autori che negli anni della dittatura sono stati perseguitati, per rimarcare una distanza con il periodo delle dittature militari (iniziato nel 1930 con Uriburu, l’assassino di Severino, e terminato nel 1983 con la caduta del regime golpista di Videla e soci). Lo stato è stato e gli anarchici giustamente lo criticano, ma chi governa in Argentina non si considera colpevole della morte di Di Giovanni perché Uriburu era un militare golpista che condannò a morte Di Giovanni con la corte marziale dopo un colpo di stato, senza un processo regolare, governando de facto dopo aver deposto il governo in carica. Può sembrare paradossale, ma a quanto pare la vita non segue sempre gli schemi che uno si costruisce. Pensate che in Argentina hanno addirittura inserito una versione semplificata della Patagonia rebelde nei curricula di studi dei bambini delle scuole elementari della Patagonia, in gran parte di origine mapuche. I funzionari del Ministero dell’educazione sono gli stessi che sterminarono gli operai patagonici nel 1921? Si, no, boh. Anche lo stato non è sempre un blocco monolitico ma ha interstizi e contraddizioni.Tra i banchetti di L’altrolibro c’erano poi altri titoli finanziati dallo stesso programma.
Però Bayer come autore (e tu come traduttore) state travisando l’immagine di Severino
Ovviamente un biografo altera l’immagine del biografato, è così, sempre è stato così. Sono bugiarde anche le autobiografie, immaginiamoci il resto. Ovviamente il punto di vista di un anarcopacifista a oltranza, come si definisce Bayer, non è quello di chi mi ha contestato. E che ci posso fare io? E che doveva fare Bayer nel 1970? Non scrivere il Severino perché 40 anni dopo qualcuno in un altro continente, che probabilmente non è mai stato in Argentina, nel 2012, a Napoli, ha un’immagine diversa del Severino, che poi guarda caso è quella giusta? Oppure bisogna che chiunque abbia fatto qualcosa nella vita, prima di finire nella tomba, si debba scrivere la propria autobiografia per evitare di essere travisato e mercificato da chi viene dopo? Oppure è meglio lasciar tutto nell’oblio per evitare manipolazioni “biografiche”, sperando che il tuo biografo non sia un poliziotto? Stiamo scherzando? Il problema ovviamente è di punti di vista. In Italia Severino è sconosciuto ai più, e chi lo conosce di solito è un anarchico. Nel movimento, per sommi capi, le posizioni sono due: o lo si critica (un anarchico che ha ucciso altri anarchici, un violento) o lo si ammira (uno che non conosceva compromessi tra idea e azione). In Argentina Di Giovanni è conosciutissimo, ma è un simbolo, e i simboli sono ormai freddi come le icone russe: i tanos, i discendenti degli italiani emigrati, vedono in Di Giovanni il ricordo dell’epoca “eroica” dell’emigrazione, uno che è stato fucilato appunto perché italiano, al massimo perché antifascista; altri vedono in Di Giovanni l’emblema della lotta contro tutte le dittature, da quella di Uriburu che l’ha ucciso a quella di Videla che l’ha bruciato in effigie nel libro di Bayer; infine c’è anche, e siamo ai piani bassi delle balere e delle milonghe tanghere, chi si ricorda solo di aver sentito parlare di Severino perché aveva una storia travolgente con una ragazzina. Quasi tutti in Argentina lo guardano con stima, senza però troppa profondità. In Italia invece la situazione è diversa: sconosciuto ai più, è noto ai pochi (anarchici) in maniera polarizzata. Prima di Bayer, Di Giovanni in Italia credo non lo conoscesse nessuno, a parte i pochi superstiti del suo gruppo che erano potuti tornare in Europa dopo il fascismo, mentre per gli argentini era un bandito comune vestito con camicie nere di seta. Certo, le biografie alterano l’immagine di una persona così com’è costituita nel senso comune. Talvolta in meglio, riscattandola dalle falsità della polizia, per esempio. Se poi c’è chi pensa che Bayer abbia sbagliato tutto, non si può pretendere che i suoi libri brucino ancora in piazza. Mi sembra più sensato scriverne altri e raccontare il proprio punto di vista. La gente sa leggere.
Però i libri anarchici andrebbero autoprodotti, senza passare attraverso il mercato!
La questione è annosa, il dibattito non arriva a una conclusione e gli scazzi vanno avanti inutilmente da secoli. Ognuno alla fine fa quel che vuole. C’è chi si fa i concerti nel posto occupato e poi si fa il libro e lo manda a giro per posta ai suoi contatti, come le distribuzioni militanti, che lo tengono in conto vendita, e chi mette il codice a barre e spedisce al distributore che poi fa la resa e la fattura. Entrambi gli editori possono essere anarchici, indipendentemente da chi ritiene che l’unico vero anarchico sia lui stesso e che le uniche pratiche giuste siano le proprie. Per me entrambe le cose sono valide e ognuno si fa i cazzi propri e decide quale livello di contraddizione accettare. Indubbiamente la strada dell’autoproduzione stretta è più semplice, è anche più artigianale e meno contraddittoria. Il problema a volte è che rimani nel circuito. L’altro veicolo può estendere il raggio dei lettori, ma le spese sono alte e indubbiamente devi spesso avere a che fare con dinamiche di tipo commerciale. I compromessi aumentano e l’identità politica si contamina, sicuramente. A volte c’è chi fa un “libro—marchetta” per poi pubblicarne cinque più radicali che si sostengono sulle entrate del primo. Sono compromessi che alcuni editori accettano strategicamente. Chi la pensa altrimenti è libero di farlo e tanto di cappello, ma non può spaccare le palle a chi fa le cose in altro modo e ne riconosce la problematicità, anche rispetto agli ideali che professa. I problemi arrivano quando qualcuno pensa di aver ragione solo lui e che gli altri siano tutti traditori e mercificatori. In genere il risultato è un dogmatismo per cui io sono nel giusto e gli altri sono in malafede. Nel contesto che ci ospitava a Napoli, il 95 percento dei libri e il 70 percento degli stand avevano a che fare con piccoli editori con sensibilità politica di sinistra o libertaria che utilizzavano comunque i meccanismi dell’editoria commerciale. Gli stessi organizzatori dell’evento hanno una libreria che si sostiene con il bar annesso (e non fanno il caffè solo ai compagni ma anche ai turisti) e l’editore mi diceva che tra tanti libri sugli anni settanta, giustamente si rimettono in binario con un libro sulla canzone napoletana. Che male c’è? (Che c’è di male, direbbe un tale a Napoli).
Eppure Severino era un tipografo che lavorava in autoproduzione e non prendeva certo i soldi dallo stato. E poi non aveva niente a che fare con la circolazione commerciale del libro.
Certo, ma io non mi chiamo Severino e le mie pratiche sono altre dalle sue. E comunque Severino fu arrestato mentre usciva da una tipografia commerciale di Buenos Aires nel 1931 perché le sue macchine non gli garantivano la qualità che cercava. Quanto alla sua compagna, America Scarfò, ha gestito la casa editrice libertaria (e commerciale) con il corso più lungo della storia argentina del novecento, Americalee. Sono libri che trovate ancora nelle bancherelle dell’usato del Parque Centenario, se passate da Buenos Aires. Aveva una libreria, tra gli anni quaranta e gli anni sessanta del secolo scorso, che vendeva i libri della sua casa editrice. Lei era anche la direttrice editoriale e quando l’originale era in italiano lo faceva tradurre dai vecchi compagni d’azione di Severino. La ragazzina quattordicenne rimase amica di alcuni della vecchia banda e li aiutava economicamente facendoli lavorare come traduttori (coro: traditori, avete mercificato la vostra rabbia, siete dei sopravvissuti della rivolta, dei pensionati dell’utopia, dei rassegnati della rivolta, delle merde.. etc etc..).
Ti era già successo?
Di fare a panciate con qualcuno che ti dice sei una merda? Sì, a ricreazione. Alle elementari. O meglio, allora mi dicevano io sono il meglio non tu, ora mi dicono io sono anarchico, non tu…
Ma tu ti sei anche messo a firmare autografi?
Quello è stato un numero istrionico di un personaggio di Spaccanapoli troppo forte. Abbiamo passato il pomeriggio a bere e lui decantava le lodi del pollo arrosto di una rosticceria di via dei Tribunali. Prima della presentazione si è presentato con questo pollo e l’ha condiviso con me e con altri. Era eccezionale! Nel mezzo del casino mi ha detto…. Se sei così ricco per questo libro allora fammi una dedica… io mi son messo a ridere e gli ho scritto “viva il pollo” o “grazie per il pollo”… la cosa però suonava meglio in napoletano…
Ce l’hai con loro?
No, queste cose servono a fare chiarezza, a capire davvero dove stai andando e chi sono i tuoi veri compagni… Per me il cambiamento di rotta e la contaminazione con realtà diverse sono una questione esistenziale. Nella vita le pratiche e le sensibilità e le intelligenze devono mutare. L’importante è tenere in vista la meta, puntare la bussola nella giusta direzione. Può darsi che mi sbaglio. Me lo chiedo quasi ogni giorno e se dovessi realizzare che le mie pratiche e le mie idee sono conflittuali al punto da non poter tollerare la tensione, prenderò le mie decisioni. Ma lo farò io. Nessuno può dirmi cosa devo fare, nessuno può dirmi “guarda come sono coerente” solo perché è andato sempre a diritto.
Scriverai quindi d’ora in poi manuali per ricette, come ti hanno augurato?
Sto scrivendo la storia di come mio padre sia morto respirando amianto nelle acciaierie di mezza Italia. L’altra idea sarebbe scrivere un manuale per spiegare come tradurre libri antagonisti e riuscire comunque a mangiare. Inizia così… A novembre prendete la vanga, rovesciate la zolla e concimate con abbondante pollina… lavorate cercando di sentire il terreno sotto di voi, cercate di ammorbidirne la struttura… va bene un terreno sciolto, semiargilloso, non troppo sabbioso… indossate i guanti se i calli alle mani vi fanno male… poi a fine inverno tirate dei solchi con la zappa, mettete a dimora le lenticchie, due tre semi ogni dieci-quindici centimetri… crescono veloci e vi sfamano abbondantemente…