di Girolamo De Michele
Questo racconto fa parte dell’antologia Sorci Verdi. Storie di ordinario leghismo, edizioni Alegre, 2011 [qui]
Nella Lega si lavora. Chi lavora fa carriera, chi non lavora va a casa
(Umberto Bossi, a proposito di Renzo Bossi, 2009)
Non serve certo un teologo per accorgersi di quanta confusione ci sia sotto il cielo
(on. Federico Bricolo, 2003)
10 marzo 2004, Madrid
Aeroporto Barajas, ore 20
Salutano gli autisti senza un cenno. Scendono in silenzio dall’auto, abiti scuri e occhiali uguale. Si dirigono al Terminal per il check in impugnando la valigetta come un’arma. Destinazione Monaco di Baviera: un grande hub. Da lì, Rabat, via Francoforte. In ogni città qualcuno ad aspettarli.
Importante non esserci, domattina: a Madrid.
10 marzo 2004, Treviso
Aeroporto Antonio Canova, ore 20
– Diocan, Deficiente, gheto pressia? Sei un cadenasso, mica puoi andar zo a Romaladrona onto come (segue un rutto), gli fa il Folaga.
– Va in mona, Zuan: io domani devo anche fave un dis… un dis… g’ho da pavlave, domani. In Pavlamento. E allova mi accompa… mi accompagni. E la smetti di chiamavmi Deficiente.
– Vaccadì, Deficiente, hai un fiato che schiaccia peggio di… (altro rutto) di un pallavolista. Non ci fanno neanche entrare sull’aereo.
– Te si pvopvio en bvasa cue… en bvasa cuevta… Mi, g’ho il tesse… il tessevino, dice appoggiandosi al Suv. E smetti di chiamavmi Deficiente…
– Te lo infilano su per il cul la carta da deputato, dice il Pantegana: quello al volante. ‘Scolta ben Deficiente, dice mostrando la boccia di vodka: si torna in città, e a Romaladrona ci vai domani!
E sigilla l’affermazione con un peto.
– Tromba de cul corpo san!, esclama l’Ascella.
10 marzo 2004, Madrid
Aeroporto Barajas, ore 20
Diocan, che mona! È salito sul taxi parlando al cellulare, ha risposto con un sì della testa a non sa più quale domanda del tassista, ed è sceso dal taxi senza guardarsi intorno, sempre al telefono, che non si perdesse il gancio con il grossista di coca a Barcellona finché gli accordi non erano definiti.
Adesso, davanti al Terminal sbagliato, lo capisce cosa aveva chiesto il tassista.
Non resta che tornare in camera.
E mentre Marangon sta per avviarsi ai taxi, il cellulare squilla.
Legge il nome sul display e pensa: allora è la mia serata fortunata.
10 marzo 2004, Treviso
Aeroporto Antonio Canova, ore 20
Scende dall’aereo, stringe la mano al collega che lo aspetta fuori, e sale in macchina. Convegno noioso, ma era importante esserci: soprattutto nella cena di lavoro di ieri sera. La cartellina con le relazioni degli altri cardiologi vola distrattamente sul sedile posteriore. Quasi non si accorge del gruppo di giovani insulsi attorno al Suv. Non riesce a non pensare che anche un Suv costa lavoro per guadagnarselo, e quelli lì… chi g’ha el pan no g’ha i denti, conclude senza riconoscere suo figlio in quello piegato che vomita: il Deficiente.
11 marzo, ore 01.30
Il Residence promette lusso & discrezione, dietro la porta delle venti casette colorate. Stasera lei è una donna famosa: è nel pieno dei suoi 15 minuti. Indossa solo i gioielli che pubblicizza nelle foto esposte nelle vetrine e sui giornali, e aspetta.
Lui è ancora più famoso. Da molto più di 15 minuti: è uno di quelli che l’orologio lo fanno andare, lui. Non si è ancora tolto i pantaloni: prima, appoggia con cura sul tavolino lo specchietto estratto dalla tasca, la carta di credito per tagliare le righe, e la scatolina delle pillole blu. Ne ha già presa una, ma ha proprio voglia di essere all’altezza della sua fama. Ne prende un’altra.
11 marzo, ore 6.40
Il Chirurgo non ci ha messo molto a capire che dev’essere successo qualcosa di grave, se il telefono del Senatore ha chiamato dieci minuti fa. E non era il Senatore a chiamare.
Una brìgola di mona. Il Senatore è circondato da una manica, un nugolo, un esercito, una legione di mona!, urla mentre comincia a chiamare con il cellulare nella destra, intrigandosi nei vestiti che cerca di infilarsi con la sinistra.
Mentre scende le scale con la cravatta in mano gli sale su un diocan che resta strozzato in gola.
Can o non can, non è il momento di bestemmiare.
11 marzo, ore 8.00
– Minchia, commissario, ce l’ha sentita la radio?
– Diocan, Caputo, laseme star che son invià laorar, un’altra di quelle beghe col Deficiente, vaccadì che mona, una volta sì e una no onto come on porco a bighelonar zigozago tra il corso e piazza Erbe. Coma etilico, diocan, si fosse annegato nel suo vomito…
– Stava mica da solo, commissario…
– Stava con la sua brìgola de butèi, allora. Fammi indovinare: il Pantegana, il Folaga e l’Ascella… Diocan, si fosse affogato nel vomito di uno di quella maraia de semi era anca meglio. Caputo, ma dov’è il cellulare di quell’altro mona di suo padre, che in clinica non c’è e a casa non risponde…
– Commissario, scusi davvero, ma l’ha… venga a sentire la radio, c’è stata una cosa davvero brutta in Spagna: la stazione dei treni, o la metro, non si capisce bene, due bombe…
– Spagna dove, Caputo?
– Madrid, commissario. Un sacco di morti.
– Vaccadì Caputo, son tre dì che tiro un bò, mi ricapita il Deficente in questura e il Chirurgo non si trova, e ti te n’esci con Madrid?
Poi il commissario Toso si calma. Guarda meglio la faccia di Caputo, e quella degli altri nell’ufficio. Ascolta il silenzio che fa da sfondo alle parole della radio («…riversi sulle rotaie, altri quasi interrati nella ghiaia nera, altri ancora confusi con ferraglie torte nei tre squarci prodotti dalle bombe in altrettanti vagoni. Ferrovieri e sopravvissuti hanno trasportato i feriti…») e capisce.
Marangon. L’operazione Màscara.
– Dov’era Marangon, diocan diocan, diamoci una mossa! Chi l’ha sentito per ultimo?
Di Biagio: l’ultimo è stato il casertano, tre giorni fa, da Siviglia. Agganciato il corriere e fissato l’appuntamento per l’acquisto della merce. Dieci chili di fecola: a Barcellona, giusto oggi.
– Vaccadì, Caputo, che spavento… mi trovi quel cellulare, adesso? Quello del Chirurgo, che il Deficiente chiuso nella stanza ormai spusa da freschin?
Il cellulare del Chirurgo: suona a vuoto.
Il secondo cellulare del chirurgo: quello su cui chiama suo figlio. Il Deficiente. Che stamattina non chiama. Non chiama da due giorni: brutto segno. Il Deficiente deve chiamare la sera prima per dire che sta prendendo l’aereo per Roma. E invece, niente: ha tirà el pero anca sta olta, pensa suo padre.
No: non pensa. Penserebbe: se avesse tempo. Se non avesse incollato all’orecchio il terzo cellulare.
Quello del Senatore.
Quello che ha squillato alle 6.30, e che da allora non s’è più spento.
– Te si insulso, Roberto, te lo dico io. Vaccadì, ma come ti funziona el sservel? Trasportare un ictus emorragico su e giù per i laghi invece di portarlo subito nell’ospedale della città più vicina. Ci metto due ore ad arrivare fin lì, mona! Due ore! Vuoi che mi freghi dello scandalo! Io sono un chirurgo, mica uno scribacchino: sono uno che salvo la gente, cosa mi frega di… ‘scolta, renditi utile: stai zitto, meglio star muto che dir stramboti. Resta in linea, che sento a Lugano…
Fuori dai gangheri come un portone sfondato, il Chirurgo. Se ci giochiamo il Senatore per una monata come questa…. E mentre pensa “monata” gli viene in mente il Deficiente: che ancora non ha chiamato. Mona d’un figlio, l’ho spedito a Romaladrona per toglierlo dal giro alcolico, mica per regalargli l’appartamento nella capitale.
Prende il cellulare, schiaccia i primi tasti, poi si ferma ad ascoltare la radio che ancora non dà la notizia, forse è vero che c’è un dio: «…palazzi mitragliati dalle schegge vedrà a lungo lo spettacolo intollerabile dei cadaveri mutilati, di membra, di teste spiccate, d’una ragazza con la bocca e gli occhi aperti seduta lì dov’è stata fulminata: non sarà possibile ricomporli fin quando…».
– Cos’è questa storia, Gino?, chiede all’autista. Terroristi, risponde: bombe a Madrid, baschi o islamici. Sui treni. Siamo quasi a Monza, dottore. Tre quarti d’ora, se siamo fortunati…
Se siamo fortunati deve averlo pensato Di Biagio mentre faceva il numero del Chirurgo e lo trovava libero. E il Chirurgo risponde.
– Guardi, non sto neanche a spiegargliela, dottore. Come al solito. Lo abbiamo preso su in piazza Erbe, dopo le segnalazioni che ci sono arrivate. Lui e altri tre. Uno è in coma etilico, il De… suo figlio, mi scusi, ci è andato vicino. Se ci manda qualcuno a ritirarlo…
– Ritirarlo chi? Mica un pacco postale, mio figlio è un deputato. Porti rispetto e stia lì, che mando qualcuno a prenderlo con la macchina. Ma è sveglio?
Di Biagio trattiene la risposta. Conta fino a dieci. Pensa alla carriera, alla moglie e al figlio da mantenere. Pensa al Chirurgo, quello che va sempre pronunciato con la maiuscola. Il numero uno in città. Uno dei più importanti d’Italia. Il cardiologo del Senatore.
Il padre del Deficiente: nu figghj’e’ndrocchia puro isso.
– No dottore, non è sveglio. L’hanno dovuto sedare. Scalmanava. C’era il pericolo che si facesse male… le solite cose…
E mentre Di Biagio dice «le solite cose», Caputo apre le mail e trova un messaggio di Marangon: “le solite cose”. L’intestazione in codice per l’operazione Màscara.
Da: Felipe
A: Diego Amando
Cc: Osvaldo
Oggetto: Le solite cose.
Faccio tappa a Madrid, cena vegan, ma mi sposto a Barna in nottata. I migliori Picasso sono lì, non al Prado. Hasta, F.
Felipe è Marangon, Diego Armando è Di Biagio, Osvaldo è il commissario Toso. La cena vegan significa che alloggia al Lope de Vega. Quindi stamattina è a Barcellona. A Barna, come dicono i castigliani.
Tutto bene, dunque.
Se non fosse che il diversamente scaltro si è svegliato.
E comincia a piangere. Perché nessuno lo ama. Perché tutti lo chiamano Deficiente: persino suo padre. Perché nessuno ha fiducia nelle sue capacità.
E del resto, pensa Di Biagio, se persino suo padre che è medico lo chiama Deficiente, un motivo ci sarà.
— Te lo dico il perché, Deficiente: da picolo sito cascà dala cunarèla, mormora Toso sbattendo la porta. La radio continua a sputare servizi, le orecchie colgono schegge di discorsi da Madrid: «treni aperti come scatolette … bolgia dantesca … dai tempi della guerra civile che non bombardavano …». E intanto sono saltate le reti telefoniche: a Madrid, non in Catalogna. E allora, perché Marangon non è raggiungibile?
– Vieni, Caputo, andiamo a mangiare qualcosa, così quando vengono a prendersi il Deficiente non mi tocca vederli…
Non gli va giù, al commissario Toso, che in Questura si debba tenere impegnata una stanza per i figli di papà che vanno a sbronzarsi nel fine settimana, e non gli si può fare neanche un verbale. Che il giorno dopo li ritrovi sul giornale a parlare di valori cristiani e messa in latino, relativismo dei valori e crocifissi nelle scuole.
— Non ci provare, Caputo: la pastissada non la mangio, chiaro? Non mangio cavalli. Sono animali intelligenti, i cavalli.
– Beh, commissario, se tutti ragionassero così…
– Beh cosa, Caputo?
– Allora quelli come il Deficiente potremmo mangiarceli… o no?
(Già: perché non possiamo?)
Toso ordina insalata e formaggio. Per due.
La prima doccia serve a svegliarlo.
La seconda a lavar via il freschin di dosso.
La terza a rimetterlo in piedi.
La dichiarazione per la stampa: in visita presso il convento lefevriano in Toscana, come sua abitudine, l’onorevole ha appreso in ritardo la notizia del grave malore che ha rischiato di privare il movimento della… no, guida non va bene… capo… no, non va… lìder: del suo lìder. Le rassicuranti notizie del primo pomeriggio eccetera eccetera… l’affetto del popolo padano che dalla nostra radio eccetera eccetera… la dimostrazione che nessun politico è amato tanto quanto il nostro eccetera…
Il Deficiente si siede. Beve un’altra tazza di caffè.
Ci vorrebbe una svolta, pensa. Un colpo d’ala. Si potrebbe pensare a un disegno di legge… vaccadì, in tre anni ne ha presentato uno solo, neanche arrivato in commissione…
Ripensa a quello che gli ha detto suo padre: sta tranquillo che te lo trovo io da fare a Roma. Ti trovo da lavorare, mona d’un Deficiente, cos’è che hai da dire?
– No o gnan avfià!, gli ha risposto.
Ecco, bene, muto: solo respirare. Capace solo di far casino coi tre semi lì, e scondarse soto le cotole de to mare, Deficiente. Ghe n’ho du maroni di te e della tua brigola… ma vedrai che ti sistemo io, non appena il Senatore torna dalla Svizzera.
– Svizzeva?
– Svizzera, certo: cosa ti aspettavi?
– Come Cavlo Cattaneo?
Il Chirurgo sospira. Ma da dove viene fuori questo Deficiente? Dalla mona de so mare, o da sotto un cavolo?
– Vaccadì, buteo, cerca di ragionare. Il Senatore l’è andà so de ropeton, mica uno scherzo. E quei mona che hanno aspettato a chiamarme son peggio dei tuoi fradei. Lo abbiamo ripreso per un pelo, ci vorranno mesi, e anche dopo… secondo te dove lo faccio curare?
– In Svizzeva?
– Ecco, bravo: se ci arriva anche un Deficiente come te… Adesso devo chiudere, ho il Roberto e il Francesco sull’altro telefono. Ma sta’ tranquillo che a te ci penso io.
– Ripeti con molta calma, Di Biagio.
Non c’è molto da ripetere. Perché non è che le cose cambiano se le dici una seconda volta.
Sono riusciti a mettersi in contatto con gli agenti spagnoli. Quelli che conoscevano Marangon. Hanno rintracciato un tassista che ha accompagnato al terminal 2 un passeggero che corrisponde alla descrizione di Marangon. Da quel terminal non partono aerei per Barcellona.
Lì il suo cellulare è stato agganciato da un altro cellulare, di proprietà di un altro agente infiltrato nella rete che scarica polvere bianca sul Veneto e va a lavare il denaro sporco in Spagna.
Marangon è tornato a dormire in albergo. Si è svegliato presto ed è uscito.
Non si sa per dove.
Anche l’altro agente, quello spagnolo, è uscito presto.
Non si sa per dove.
Anche di lui non si hanno più notizie.
A Madrid la popolazione è nelle piazze. Dona sangue, manifesta: ¡Aquì estamos!.
Comunicato di Al Qaeda: «Lo squadrone della morte è riuscito a penetrare nel cuore dei Crociati europei ed infliggere un colpo doloroso ad uno dei pilastri dell’alleanza crociata, la Spagna…»
Comunicato del senatore Cossiga: «È stata una scheggia impazzita dell’Eta ad agire con tali modalità a Madrid».
Comunicato del primario dell’ospedale: «Il Senatore è stato colpito da insufficienza cardiaca. Le sue condizioni seppur gravi sono stazionarie. Per poterlo dichiarare fuori pericolo è necessario aspettare le prossime 72 ore. Il paziente è attualmente intubato, ma la sua forte fibra e l’immediata reazione ai trattamenti sanitari consentono di nutrire un moderato ottimismo».
Attorno al tavolo del ristorante, i fedelissimi del Senatore possono distendersi. Fumare una sigaretta. Bere un bicchiere.
– È andata bene, dice il Chirurgo.
Il Ministro lo guarda negli occhi.
– Ce la farà. Fidati, ce la farà. Ma adesso…
Adesso, è il momento di presentare il conto. L’altra volta il prezzo è stata l’elezione del Deficiente.
– Non è bastato spedirlo a Romaladrona, sospira il Chirurgo. Deve diventare un biglietto di sola andata. Dovete trovargli qualcosa da fare. Qualcosa che lo tenga impegnato.
Si guardano.
– Hai in mente qualcosa?
– Trovategli un paio di collaboratori capaci.
– Capaci di cosa?
– Di tenere l’agenda di un sottosegretario.
Pausa di riflessione.
– Hai detto sottosegretario?
– Si: ho detto sottosegretario.