di Mauro Baldrati
Giacomo Leopardi, durante i brevi soggiorni a Bologna del 1825-26, rimase colpito dalla città e dai suoi abitanti: da un lato negativamente e dolorosamente, per gli sbalzi del clima e il freddo umido (il “bestialissimo freddo”, micidiale per la sua debole costituzione); dall’altro positivamente e gioiosamente per il carattere “allegrissimo, ospitalissimo” dei suoi abitanti. A Bologna, scriveva in una delle lettere milanesi, “nel materiale e nel morale tutto è bello, e niente è magnifico”.
Nel materiale: Leopardi aveva ragione. Bologna medievale, con le sue strade strette, tortuose, fasciate da portici lunghissimi, con le piazzette e le chiese, i giardini interni delle case nobiliari belli ma non splendidi come quelli milanesi, o romani, è molto bella, con straordinarie miniature, tonalità affascinanti, ma non magnifica. Non può competere con Firenze, o Venezia.
Ma per Leopardi la mancanza del magnifico non era un difetto, né una mancanza, ma un pregio: “in Milano il bello che vi è in gran copia, è guastato dal magnifico e dal diplomatico, anche nei divertimenti.” Lo splendore del “diplomatico” minacciava, guastava l’affettuosa bellezza che si confaceva al suo cuore.
Però Leopardi forse non conosceva a fondo un angolo di Bologna dove il magnifico risplende fiero, olimpicamente assestato sulla cima di un promontorio: la basilica di San Luca, che dall’alto del Colle della Guardia domina la città. È collegata al centro da un porticato lunghissimo (si dice il più lungo d’Europa), che parte dall’arco del Meloncello e permette di raggiungere San Luca anche durante una pioggia torrenziale senza mai aprire l’ombrello.
È un edificio settecentesco, con linee barocche, non particolarmente sfarzoso ma con una sua maestà, discretamente vezzoso con le piccole guglie e il complesso sistema di circoli concentrici (le volte, le cappelle). Forse Leopardi la visitò, magari percorrendo la strada che si inerpica sulla collina a bordo della carrozza della contessa Malvezzi, “dama di molto spirito e di molta cultura” della quale era innamorato, prima di ricevere da lei una cocente delusione (e quindi di cambiare la definizione in “quella puttana della Malvezzi”). Se ciò è avvenuto, non deve averne tratto una particolare impressione, soprattutto se la confrontava con le grandi chiese romane e fiorentine.
Ma sicuramente Leopardi, considerate le sue condizioni di salute e la malformazione alla colonna vertebrale, non può essere arrivato a San Luca da un’altra via, meno conosciuta, ma più impegnativa: un ripido sentiero che scala il fianco della collina partendo da Casalecchio di Reno, comune della Città Metropolitana Ovest, denominato “i Bregoli”. L’attacco è dal Parco della Chiusa, particolarmente amato da Stendhal che vi si recava quasi ogni mattina durante il suo soggiorno bolognese del 1817, quando aspettava invano una lettera di Metilde Viscontini Dembowski, la Métilde di cui era infelicemente innamorato. I Bregoli salgono fino alla Via di San Luca, con XIV “stazioni” che simboleggiano la salita al Golgota di Cristo. È una antica via di pellegrinaggio, come il lungo portico, sempre affollato di persone di ogni età e nazionalità che arrivano sudate, ansimanti, per tradizione, per il gusto dell’escursione, o semplicemente desiderose di chiedere una grazia alla potente Madonna di San Luca.
Leopardi forse non ha visto la basilica apparire dopo una curva della Via di San Luca, nel tardo pomeriggio, quando i toni magenta della luce solare prossima al tramonto fanno incendiare l’intonaco rosso, benché scolorito e bisognoso di un restauro urgente. Ne avrebbe ammirato la magnificenza, la regalità. L’avrebbe descritta in tutta la sua potenza “diplomatica”, non ancora sfregiata dagli osceni monumenti del XX secolo, i tralicci dei ripetitori radiotelevisivi e telefonici che la circondano e sembrano minacciarla coi loro artigli protesi verso il cielo.
I tralicci sono gli obelischi del vero, unico potere che domina l’economia, e il paesaggio: il Mercato. I colli di San Luca sono zone vincolate dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici, dove qualsiasi intervento, per quanto minimale (come per esempio la modifica di una piccola finestra nella corte interna di un edificio), è soggetto a parere. Ma non c’è Soprintendenza né divieto che possano fronteggiare il Mercato. La necessità del segnale televisivo che veicola pubblicità e consenso, o delle telecomunicazioni, esige risposte urgenti. E se i tralicci s’hanno da fare si fanno, in barba alle soprintendenze, ai piani paesaggistici e ai principi democratici di sussidiarietà.
Così sui porticati soprastanti le scale elicoidali che salgono alla basilica i tralicci incombono aggressivi, coi loro dardi elettromagnetici che inquinano chilometri quadrati di collina e insidiano la piccola zona magica e segreta del suo interno.
Perché all’interno della basilica, oltre alla leggendaria icona della potente Madonna che si dice proveniente da Costantinopoli, esiste un fulcro energetico di incredibile potenza. Me lo rivelò una famosa pranoterapeuta di nome Albertina (che io chiamavo Albertine), che coniugava la mistica con la scienza medica, cattolicissima e tuttavia attenta alle energie materiali che ci circondano e che noi stessi sprigioniamo, spesso in condizioni di squilibrio. Qui, nel punto segreto, che pochissimi conoscono (e che non deve mai essere rivelato, disse, con mio grande stupore), l’equilibrio viene ristabilito. Fu scoperto durante la costruzione di un antico eremo – sulle cui rovine è sorta la basilica – iniziata il 25 maggio 1194 dalla battagliera canonichessa Angelica Bonfantini, che lottò tutta la vita coi canonici renani, i priori del suo ordine, per essere indipendente (che significava soprattutto disporre delle ingenti donazioni che venivano elargite all’eremo). In questo punto tutte le energie che regolano la vita e il tempo si toccano, si scambiano, ritrovano l’armonia. Quando salgo alla basilica dai Bregoli sosto almeno venti minuti nel punto segreto, immobile, coi piedi paralleli coincidenti con la linea a piombo delle spalle, come prescriveva la signora Albertina. Non riesco ad allontanare del tutto un senso di disagio, perché colgo occhiate incuriosite dei presenti, e dei vecchissimi preti che ogni tanto fanno capolino. Ma resisto. L’esposizione aiuta nella guarigione dalle malattie, tutte le malattie, perché con la sua energia positiva aiuta la rigenerazione cellulare e il riequilibrio nervoso. La cosa è sicura, diceva la signora Albertina, perché gli Antichi sapevano, erano i depositari della conoscenza, oggi dimenticata o svilita. Sempreché, ovviamente, la violenza dell’inquinamento elettromagnetico non inibisca o corrompa la sua potenza.
Qui sosto immobile cercando di liberare la mente, guardando l’altare di marmo nero, sbirciando gli enormi quadri scuriti dal tempo di Guido Reni, Donato Creti, Il Guercino, Domenico Pestrini.
Non so se mi rivolgo alla potente Madonna di San Luca, una signora che, come direbbe l’angelo del telefilm Supernatural, nell’alto gruppo celeste ha un’enorme influenza, persino superiore a pezzi da novanta come San Gennaro, Sant’Ambrogio, Sant’Antonio. Però ha anche una lista d’ascolto sterminata, lunga quasi 300 anni e migliaia di chilometri di pellegrinaggi. Per cui sto in piedi al centro preciso del fulcro energetico in attesa di qualcosa, o di qualcuno che tuttavia non esce mai da un fortificato silenzio.
Per la verità non so se c’è davvero qualcuno in ascolto, non credo che esistano risposte certe. In ogni caso, comunque vada, sono di fronte a un gate, un cancello, una pista di decollo, sotto la cascata delle forze positive, nel cono di luce e dell’amore, pronto per lanciare i miei atomi nell’iperspazio del Caos.
(Nelle foto: un’antica cartolina di San Luca e una postazione di tralicci fotografata dall’affaccio della basilica)