di Luigi Franchi
per S.
Vivo in un posto dove tutto quello che accade
sembra accadere per caso
una strada attraversa il paese
il paese è quella strada
nessuno ha scelto di vivere qui
ma c’è qualcosa che ci trattiene
perché anche se non c’è amore
a volte c’è qualcos’altro
Massimo Volume
A Bologna esiste una strada il cui nome evoca grandi bevute e sbornie colossali.
Nessuno si ricorda come tutto ebbe inizio, l’origine forse andrebbe ricercata laddove la storia si mescola alla leggenda e le fonti assumono la tinta del racconto fiabesco.
Al Pratello ci si arriva sempre per caso la prima volta, si viene trasportati da un flusso di esperienze vissute da altri, da una mano invisibile la cui spinta leggera ti invita a entrare in un mondo decisamente sopra le righe.
In quella via e nei suoi bar non c’è argomento al mondo che non sia stato oggetto di dibattito: ogni credo, filosofia, regista o scrittore ha vissuto a periodi alterni nell’Olimpo della cultura o nei bassifondi dell’avanspettacolo.
Nonostante le posizioni ideologiche sembrino sempre in lotta fra loro fino all’ultimo respiro, non esiste scontro dialettico che non termini con un abbraccio fraterno, sottolineato il più delle volte dal tintinnio rassicurante e pacificatore dei calici.
Nessuno lascia la via dei distillatori a mani vuote anche se spesso non è facile capire cosa è toccato in sorte.
Sarebbe come a dire che al Pratello prima si trova e poi si cerca.
Prima si dà un occhiata e poi si accende la luce.
Un giorno un ricercatore dell’università del Minnesota in visita sotto le due torri, dopo aver spulciato negli archivi polverosi del Comune e intervistato gli ultimi esemplari rimanenti di cantastorie bolognesi, riuscì a fornire la chiave del mistero racchiuso tra via Marconi e i viali.
Questa storia non è mai stata data alle stampe, è stato lo stesso ricercatore a raccontarmela.
Si dice che egli abbia assunto la via come sua nuova dimora e che qui illustri la propria scoperta a chiunque gli paghi un bicchiere di vino; i più esperti, invece, sostengono che sia lo spirito che abita il Pratello a non lasciarlo ripartire per l’America in modo tale da evitare che la spiegazione del mito venga divulgata e resa nota a tutti.
Cercherò di esporre i fatti così come mi sono stati raccontati, il più fedelmente possibile.
“C’era una volta una via come a Bologna ce ne sono tante: una strada, i portici ai suoi lati e poi case, case e case intermezzate qua e là da qualche negozietto e da qualche locanda .
In quel tempo ormai lontano l’inverno era assai più rigido che ora e chi non aveva la fortuna di abitare entro le mura era costretto a ripararsi nelle osterie per cenare e recuperare così le forze per intraprendere il faticoso viaggio verso la periferia della città.
Ogni cena era l’occasione per conoscere nuove persone, ogni bicchiere bevuto in compagnia la premessa di una futura amicizia.
Una sera Jack l’inglese, uno studente di scienze proveniente dalle fredde terre d’Albione, cominciò a discutere con l’oste della taverna Malebranche.
“L’ebbrezza non è altro che uno stato alterato della coscienza dovuto all’interazione dell’alcol che vendi col cervello di chi beve, dovresti imprimere col fuoco queste parole sulla porta del tuo locale. Quanto avete pagato i poeti maledetti perché dicessero che col vino si può raggiungere la verità?” chiese Jack.
L’oste non stette nemmeno ad ascoltarlo, pensando che il cliente dal volto triste fosse in preda agli stessi deliri alcolici che stava condannando.
Il tono alterato dello studente colpì molto una giovane ragazza che presto gli si avvicinò e disse:
“Per essere inglese lei parla molto bene la nostra lingua”.
“La lingua non è altro che un sistema di segni acustici disposti in maniera convenzionale. Essa serve per creare dei messaggi il cui attributo fondamentale deve essere la precisione. Uno studio razionale della stessa permette a chiunque di veicolare i propri pensieri” rispose Jack.
Accettando la risposta con un sorriso, la ragazza continuò:
“Pur essendo inglese, vedo che non sta bevendo della birra”.
“La birra fa ingrassare, rende ubriachi e molesti, fa compiere azioni non desiderate che spesso si scontrano con la buona morale” ruggì alterato Jack.
“Scommetto allora che lei non ha mai provato nemmeno a fumare quell’oppio di cui il suo conterraneo De Quincey parla spesso” azzardò la ragazza.
“Scommette bene, se le istituzioni pubbliche e i legislatori lo sconsigliano un motivo ci sarà, no? Io mi adeguo sempre a quanto mi viene detto di non fare” insinuò l’inglese.
“Da buon inglese immagino lei sia un grande appassionato di calcio” chiese la ragazza.
“Ma quale calcio e pallavolo, io sono uno studioso, devo leggere, leggere, leggere. Lo sport, la musica e tutti gli altri strumenti del demonio per far perdere tempo all’uomo sono da condannare. Questo è il mio passatempo preferito: guardo il mio orologio e suddivido perfettamente la giornata in base ai numerosi compiti che devo svolgere. Il resto lo lascio agli sfaccendati” esplose lo studente.
Durante tutta la conversazione Jack l’inglese non aveva distolto lo sguardo dal bancone della locanda, timoroso che degli stimoli esterni potessero scombussolare la sua rigida concatenazione di pensieri.
Mentre stava ripartendo con l’invettiva contro la dissoluzione dei costumi della sua epoca la ragazza gli pose gentilmente la mano sulla bocca costringendolo a voltarsi verso di lei.
Per Jack fu come trovarsi di fronte a uno specchio deformante: il viso sereno e sorridente della sconosciuta contrastava totalmente col suo volto sempre teso e adirato.
Alcuni clienti della locanda dall’orecchio acuto poterono sentire i primi scricchiolii dell’edificio di certezze che nel corso degli anni Jack si era costruito.
La ragazza, vedendolo ammutolito, iniziò a parlare di sé e del suo passato, sempre con la serenità che aveva colpito il giovane studioso.
Pian piano Jack scoprì che la maggior parte dei problemi che si era posto fino a quel momento non derivava da una sua radicata convinzione circa la bontà o meno di determinate azioni e di essersi precluso da tempo una quantità enorme di possibili esperienze e scoperte.
Quando la ragazza ebbe finito di raccontare, Jack si alzò per andarsene ma venne raggiunto da lei che lo fermò e gli disse:
“Per essere un inglese vedo che lei non sa nemmeno mettersi una sciarpa correttamente”.
Gliela sistemò e gli diede un bacio sulla guancia.
Jack s’incammino verso la periferia immergendosi nel gelo col sorriso sulle labbra.
Avrete notato anche voi come questa storia non spieghi per nulla la nube mitica che aleggia attorno al Pratello. Me ne accorsi anch’io quando il ricercatore dell’università del Minnesota ebbe terminato
il suo racconto.
Questo può derivare dal fatto che forse una spiegazione unica per descrivere la particolarità di quella via non esiste.
Forse ogni persona che c’è stata potrebbe raccontarvi una storia diversa, la sua.
Forse, senza rendermene conto, ho fatto anch’io la stessa cosa.